L’analisi di Bruno Vespa, iniziamo a togliere i dazi che ci siamo imposti
L’automotive in Europa è stato messo in ginocchio dal Green Deal. Comunque l’Italia non negozierà da sola: l’Ue è forte solo se resta unita.

Roma, 5 aprile 2025 – Per i governi europei questo è il momento più difficile dai tempi della pandemia. Le Borse hanno avuto crolli che non si vedevano dall’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Non sappiamo quale sia la strategia di Trump e se il boom dei mercati finanziari promesso di nuovo mentre Wall Street crollava sia frutto di calcolo o di follia. Ma il quadro va esaminato con calma. Analizzando con maggiore attenzione gli allegati al tabellone mostrato dal presidente americano, si scoprono per esempio due novità interessanti per il mercato italiano. Non risultano allo stato penalizzati i farmaci: quelli italiani – leader in Europa – sono insostituibili per il mercato americano e quindi non è conveniente renderli più costosi. I dazi sulla componentistica – elemento chiave della meccanica – sono stati rinviati a maggio: senza di loro l’industria americana si fermerebbe. Se le è difficile approvvigionarsi altrove, conviene a Trump punire il business interno?
Antonio Tajani – ministro del Commercio internazionale oltre che degli Esteri – dà per scontato che l’Unione europea ritirerà lo stupido dazio sul whisky americano, che aveva portato a minacce terribili da parte di Trump. Servirà ad annullare il dazio americano sul vino europeo? L’Italia punta in avvio della trattativa a ridurre al 10 per cento i dazi del 20 e auspicabilmente a chiudere la partita zero a zero. Forse questa è un’utopia, ma è ragionevole aspettarsi un quadro migliore di quello temuto. Trump vuole ridurre, se non annullare, il deficit della sua bilancia commerciale che con l’Italia è di 39 miliardi. Potremmo comperare più gas e armamenti che non possono essere realizzati dall’industria europea. Non i prodotti agricoli e la carne che Trump vorrebbe nei nostri supermercati. Un italiano medio campa molto di più di un miliardario americano perché non usiamo Ogm e anabolizzanti in maniera massiccia come fanno loro.
L’Italia che fa in tutto questo? Giorgia Meloni è certamente delusa dell’approccio americano, ma ritiene – come la Germania, al contrario della Francia – che non convenga aprire una guerra commerciale che potrebbe danneggiarci seriamente. Il 18 aprile vedrà a Roma il vicepresidente americano Vance e presto andrà a trovare Trump, come previsto da tempo. Ma non potrà permettersi una trattativa individuale, perché l’Europa è forte solo se unita. L’Europa ha le armi cariche, ma prima di sparare è meglio negoziare. Con gli americani, guardando punto per punto le singole merci, abbiamo scoperto che su una cinquantina di articoli principali i nostri dazi agli Usa sono sempre (spesso di poco, talvolta di tanto, come nelle auto) superiori a quelli americani. Il 25 per cento sulle auto è un dazio folle, ma fino a oggi era del 2,5 per cento mentre il nostro sulle auto americane è del 10.
Bisogna insomma mettere un po’ di ordine e Maros Sefcovic, il commissario slovacco al commercio (collega di lungo corso di Tajani), è un negoziatore molto abile. Ma l’Italia (e non solo) deve negoziare anche con Bruxelles. Prima che dai dazi di Trump, le auto europee sono state messe in ginocchio dal Green Deal, cioè dal divieto di produrre solo veicoli a combustione dal 2035. Cominciamo a toglierci i dazi che ci siamo messi da soli, per dirla con Draghi. E tutto andrà meglio.