La riscossa di Fantozzi, chi l’avrebbe detto: per tutti era una nullità. Ma oggi sarebbe un Vip

Creato da Paolo Villaggio, compie cinquant’anni: l’impiegato più vessato d’Italia. Rispetto ai precari odierni aveva però una casa, la macchina. E faceva le vacanze

Mar 26, 2025 - 05:52
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La riscossa di Fantozzi, chi l’avrebbe detto: per tutti era una nullità. Ma oggi sarebbe un Vip

Roma, 26 marzo 2025 –  ​​​​​​Già mezzo secolo? Il tempo passa, Fantozzi mai. Era il 27 marzo 1975 quando nei cinema italiani uscì la prima puntata dell’infinita saga cinematografica del ragioniere più famoso d’Italia, finita soltanto con Fantozzi 2000 – La clonazione, ventiquattro anni e nove film dopo. L’anniversario viene celebrato con un nuovo restauro del primo Fantozzi, dopo quello assai discusso del 2015, e da una proiezione al cinema Barberini di Roma con tre “figli” dei protagonisti: quella di Paolo Villaggio, Elisabetta, quello del regista Luciano Salce, Emanuele, e l’attore Plinio Fernando che in tutti i film (salvo gli ultimi) interpretò Mariangela.

Su Fantozzi è impossibile dire qualcosa di nuovo, perché tutti sanno tutto e gli italiani si dividono in due categorie: quelli che ammettono di ridere rivendendolo per l’ennesima volta e quelli che mentono. Il personaggio è già consacrato all’immortalità, sdoganato dalla Crusca e dalla Treccani (“Fantozziano. Di persona: impacciato e servile con i superiori. Di accadimento: penoso e ridicolo”), indagato nelle sue derivazioni e ispirazioni letterarie, da Gogol al Monsù Travet di Bersezio alle “mezzemaniche” di Courteline, recentemente portato in teatro da Davide Livermore come archetipo tragico. Resta la maschera comica più popolare del Paese, ma questo ritratto dell’italiano medio è diventato anche un personaggio planetario.

“Fantozzi ragionier Ugo, matricola 1001/bis, dell’Ufficio sinistri” della Megaditta: e allora avanti con l’autobus preso al volo, la partita scapoli-ammogliati, il veglione di Capodanno anticipato dal maestro Canello, la partita a biliardo con il conte Catellani, il nuvolone degli impiegati, il megadirettore galattico, la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, i congiuntivi rigorosamente sbagliati, la roulette del duca conte Semenzara, gli impiegati crocifissi in sala mensa, la Coppa Cobram (diventata nel frattempo una vera frequentatissima corsa ciclistica amatoriale con obbligo di dress code improbabile), la signorina Silvani, il ragionier Filini, il geometra Calboni, le poltrone in pelle umana e quella “cagata pazzesca” (novantadue minuti di applausi!) della Corazzata Potëmkin, della quale peraltro non furono concessi i diritti e che quindi nel Secondo tragico Fantozzi Salce diresse ex novo, ribattezzandola “Kotiomkin” e attribuendola a un fantomatico Serghej M. Einstein (e comunque, fra parentesi, il film di Ejzenštejn – quello vero – non occupa “diciotto bobine” ma dura in tutto 75 minuti).

Quando un personaggio diventa un riferimento collettivo e intergenerazionale così plebiscitato va oltre la critica: Fantozzi è l’Italia, come lo spaghetto e la Nazionale, l’esodo di Ferragosto e la crisi di governo, la pizza e Sanremo. E tuttavia, ripensato oggi, l’intero corpus fantozziano, nove libri e dieci film, si colora semmai di una certa nostalgia per almeno due ragioni. La prima: Fantozzi “nasce” letterario e cinematografico. Il primo libro di Villaggio, pubblicato nel 1971, vendette un milione di copie; il primo film fu campione d’incassi della stagione ’74-’75. Insomma, il fenomeno Fantozzi è forse l’ultimo grande successo pre-televisivo della storia nazionale: l’italiano medio trionfò su media come il libro e il film che oggi sono considerati élitari, di nicchia, da Ztl. Seconda amara considerazione. Fantozzi è certo “la quintessenza della nullità”, come lo definì Villaggio; d’altronde, sempre lui, “il mondo è fatto per la maggior parte da persone che nella vita hanno fallito. Grazie a Fantozzi ho fatto in modo che alcuni neppure si accorgessero di essere nullità. O al limite ho fatto sì che non si sentissero soli”. Le vaghe ipotesi di palingenesi o almeno di critica sociale che affiorano nell’epopea di questo perdente di successo non si sono poi verificate; continuiamo a essere, tutti, gli impiegati di qualcun altro.

Però negli anni Settanta il ragionier Ugo viveva in un dignitoso appartamento a equo canone; aveva un lavoro a tempo indeterminato; manteneva con il suo stipendio moglie, figlia e Bianchina; andava in vacanza, sia pure funestata dalla nuvoletta e dall’organizzazione Filini; e dopo la routine impiegatizia lo attendeva una pensione magari modesta ma sicura. Rispetto alle nostre attuali incertezze e precarietà, chi è davvero la merdaccia?