“La protesta debole”, i movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No global (recensione)
«In Italia la parabola discendente del movimento No global non ha lasciato eredità se non una diffusa rassegnazione che è stata variamente articolata e rappresentata, qualche anno dopo, da movimenti e da partiti ‘’populisti’’ di destra e di sinistra». Così recita la quarta di copertina del libro di Alessandro Barile, La protesta debole (ed. Mimesis […] The post “La protesta debole”, i movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No global (recensione) appeared first on L'INDIPENDENTE.

«In Italia la parabola discendente del movimento No global non ha lasciato eredità se non una diffusa rassegnazione che è stata variamente articolata e rappresentata, qualche anno dopo, da movimenti e da partiti ‘’populisti’’ di destra e di sinistra». Così recita la quarta di copertina del libro di Alessandro Barile, La protesta debole (ed. Mimesis Passato Prossimo), una ricerca sui movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No global, un arco di tempo che va dal 1990 al 2003. Barile, sociologo e storico direttore dell’area di ricerca “Territorio e società” presso l’Istituto di Studi Politici S. Pio V di Roma, conosce bene quei movimenti sociali avendoli vissuti in prima persona. «Gli anni Novanta, quelli del movimento della Pantera, sono un po’ una frontiera storiografica per leggere questo fenomeno – ci spiega Barile – ormai la ricerca storica si sta spostando sempre più verso quel decennio».
Il libro ripercorre a ritroso quegli eventi, fino al movimento dell’85, quello delle rivolte universitarie, scoppiato dopo poco meno di un decennio di pace sociale: erano gli anni ’80, quelli del disimpegno politico, succeduto agli impegnatissimi anni ’70. Era anche il tempo del punk, dell’eroina e dell’edonismo reaganiano. Quel piccolo movimento studentesco che spezzava il silenzio di quel decennio, rimase però un episodio isolato. Fu dagli anni ’90, col movimento della Pantera (come è noto venne chiamato così perché in coincidenza con le proteste, scoppiate all’università di Palermo e poi diffusesi in mezza Italia, apparve misteriosamente una pantera nera nelle campagne intorno a Roma, notizia che catturò l’opinione pubblica per diverse settimane) che prende forma un tipo di protesta in Italia che non si vedeva da vent’anni. Ma c’è qualcosa di diverso rispetto all’operaismo di stampo essenzialmente marxista di quei vent’anni prima, spiega l’autore.
«Nel modo di manifestarsi della protesta degli anni novanta, nelle idee che la sorreggono, si insinua una certa capacità di interagire con la società reale ma sorgono anche una serie di problemi non valutati correttamente e che impediranno alla sinistra di svolgere il suo ruolo». Quali? Innanzitutto, la mancanza di una strategia, dice: «I movimenti sociali, per loro stessa natura, vivono di picchi e di momenti bassi. Perciò se non c’è un pensiero strategico dietro capace di resistere in quei momenti di bassa, la mobilitazione alla fine disperde immediatamente anche il buono che aveva creato. Cioè non costruisce “istituzioni” dal basso, come quelle che ci furono nel Novecento. Queste rivolte e le istanze che portano con sé vanno avanti e si rafforzano non per via empirica, cioè noi partecipiamo e poi vediamo quello che viene ma si costruiscono attraverso una strategia politica. Quale strategia politica ci fu negli anni Novanta o nei primi anni Duemila? Qual era?» Non c’era, quindi. «Infatti. E lì rimaniamo al carattere utopico di quella mobilitazione. Per meglio dire e per spiegare l’aggettivo del titolo del mio libro, la ‘debolezza’, non è relativa alla forza mobilitante di quella partecipazione che in realtà era altissima però non era fondata su una strategia politica, al di là della quotidianità, al di là delle parole».
Barile analizza anche quello che rappresentò quasi il simbolo della protesta degli ultimi decenni: il G8 di Genova. «Lo scontro con lo Stato che avviene a Genova in qualche modo rappresenta quel Movimento che procedeva e andava incontro alla mobilitazione e alla manifestazione – dice – caratterizzandosi su di un piano molto simbolico e mimato dello scontro. Ecco direi che in quell’occasione invece si scontra con un apparato reale dello Stato, che appunto determina una crisi organizzativa e poi direttamente politica, perché le due questioni sono sempre legate nel modo in cui il conflitto può essere riprodotto, quando la controparte non sta più sul terreno del simbolico e della mimesis». Rapporto difficile con le lotte “ideologiche” degli anni Settanta: «Negli anni novanta si creò una cesura con quelle lotte di venti anni prima. Ma fu una cesura non ragionata perché quei movimenti, la cosiddetta sinistra extraparlamentare, funzionavano sì da modello positivo ma furono anche un fardello, con il loro carico di ‘militanza totalizzante‘. Quell’operazione di ‘’liberazione’’ non venne mai analizzata fino in fondo».
La speranza di una rinascita di un movimento ribelle forte? «Forse soltanto a livello globale, internazionale. Non è detto che poi non influisca su quello nazionale. È sempre una dialettica di posizioni».
[di Giancarlo Castelli]
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