La missione di Bergoglio. La Chiesa torna tra i piccoli dopo gli scandali del passato
Con la giornata mondiale dei bambini e non solo ha ridato voce ai giovanissimi. Anche su temi come la guerra per sostenere il dialogo e parlare di sogni.

Nella casa di Pietro. La Chiesa che Bergoglio ha tanto amato cercando di “ripararla”, di rinnovarla nelle tempeste della storia del nostro tempo, avviando processi, come diceva lui, indicando strade e metodi (come ad esempio la sinodalità), per costruire e ricostruire unità e fraternità per tutti, todos, todos, todos, come ripeteva spesso, dando speranza e misericordia e con la preoccupazione di non escludere nessuno dalla grazia.
Quella dell’altroieri è stata una mattina speciale. In questo 23 aprile, nel giorno di San Giorgio, l’onomastico del Papa, proprio il successore di Pietro faceva il suo ingresso nella sua Basilica, come un discepolo di Gesù che è tornato alla Casa del Padre. Nello spaesamento naturale di questa grande comunità cattolica, che si trova temporaneamente senza il suo Pastore, gli 80 cardinali presenti, al termine del rito, hanno camminato ordinatamente, molti rigorosamente in fila indiana, uno dietro l’altro, verso la Porta della Preghiera che porta all’uscita. Questa compostezza, discreta ma di sostanza, come “una brezza leggera”, è evocativa, secondo me, del cosiddetto Fattore D, il fattore Dio, che talvolta scompare in questi giorni da alcune analisi sulla Chiesa e sul Papa che verrà, sovente ridotte a ragionamenti su trame di potere, tensioni tra punti di vista diversi, divisioni e contrapposizioni. In realtà, tutto sarebbe forse anche più chiaro se si partisse dal fatto che la Chiesa (e lo dimostra la sua tenuta di 2mila anni) è soprattutto una grande realtà spirituale, fondata e alimentata dall’amore di Dio, di un Dio che si è fatto piccolo e si è sacrificato per la salvezza di tutti e del mondo. E allora il fattore D, così efficacemente espresso dal raccoglimento e dai passi silenziosi e fermi dei cardinali verso il Conclave, emerge come il fattore Decisivo, che va preso in considerazione anche quando si affrontano temi complessi come quelli del governo della Chiesa, che Papa Francesco ha cercato con le sue riforme di migliorare, certo non di renderlo incerto o rinchiuso in se stesso.
Qui voglio ricordare in particolare un aspetto della sua modernità. La scelta di riportare, dopo gli scandali, la Chiesa tra i bambini. Fatte e chiarite le regole, i bambini dovevano tornare al centro. L’istituzione della Giornata Mondiale dei Bambini, e del Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini, presieduto da padre Enzo Fortunato, è una grande novità di Papa Francesco, che ha contribuito anche a ridare la voce dei bambini nei media sulla pace, sul dialogo, sui sogni e le sofferenze. Nel febbraio dell’anno scorso, proprio in vista della Prima Giornata Mondiale allo stadio Olimpico e della celebrazione della messa in piazza San Pietro (a cui seguì un intervento di Roberto Benigni), colpì ascoltare Papa Francesco che durante l’udienza per gli organizzatori chiese di interrogarsi sulle sofferenze dei bambini: perché i bambini soffrono? Che cosa possiamo fare?
Era anche, pur in una forma nuova, il grido rinnovato di un grande leader spirituale e mondiale per fermare le guerre e per costruire la fraternità e ricostruire l’umanità smarrita, partendo dai bambini. Non hanno ascoltato i miei appelli fin qui, ora proviamo a ripartire dai bambini. Questo sembrava il suo spirito, il suo pensiero, per far riscoprire lo stupore di una piccolezza, e promuovere la costruzione di ponti, uscendo dalle ideologie e dalle incomprensioni reciproche. Dialogo per negoziare, capirsi, nel rispetto della propria dignità e di quella degli altri, come dimostra la diplomazia della misericordia spiegata nei suoi interventi programmatici all’inizio di ogni anno al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede. In questo come nel campo della morale, la sua visione spirituale è preminente: la fede basata sulla speranza che non delude e sull’amore precede e illumina, nel discernimento, ogni scelta. Difficile da esprimere a parole, perché è qualcosa di profondissimo, perché attiene all’esperienza diretta con la grazia di Dio, eppure senza la comprensione di questo fattore D, non è completo il racconto (anche mediatico) delle vicende della Chiesa.