La guerra passa anche dai porti. Dal Rearm europeo ai piani Nato, con il “controllo” israeliano
Anche i porti italiani sono crocevia di traffici di armi e oggetto di ampliamento per far fronte alle esigenze militari L'articolo La guerra passa anche dai porti. Dal Rearm europeo ai piani Nato, con il “controllo” israeliano proviene da Valori.

Entro la fine del 2025, secondo il Libro bianco della difesa europea (il noto piano Rearm), la Commissione europea adotterà una “comunicazione congiunta sulla military mobility”. Accompagnata da proposte di legge da parte dei Paesi membri che saranno tenuti a completare l’adeguamento di ferrovie, strade, porti, aeroporti per renderli a duplice uso, civile e militare. Un processo che va avanti dal 2018 ma recentemente ha avuto un’accelerazione. Delle ferrovie abbiamo già parlato: ora ci occupiamo dei porti, crocevia di traffici di armi e oggetto di ampliamento per far fronte alle esigenze militari. Con la spinta militarista che punta a bypassare ogni “strozzatura” alla military mobility, anche i controlli e le richieste di autorizzazioni (ai sensi della legge 185/90) rischiano di essere significativamente ridotti.
La ribellione del Calp di Genova contro il passaggio di armi nei porti
Il porto di Genova si trova alle estremità del Corridoio ferroviario europeo Reno-Alpino, che serve alla movimentazione di merci, armi e truppe da Genova a Rotterdam e viceversa. Tanto che a inizio 2024 un finanziamento di 29 milioni è stato destinato all’ammodernamento del bacino portuale di Sampierdarena, nel porto di Genova, all’interno del Terzo bando Connecting Europe Facility (Cef) Transport 2021-2027 dedicato alla military mobility. Parallelamente continuano i lavori di dragaggio e ampliamento del porto, finalizzati all’ingresso di grandi navi da crociera e portacontainer, in un gigantismo senza fine.
Nel porto di Genova sono nate le grandi proteste del Collettivo autonomo lavoratori portuali contro il passaggio di armi, estese anche agli altri porti italiani. Nel maggio 2019 i portuali del Calp si rifiutarono di caricare sulla nave saudita Bahri Yanbu due casse di esplosivi destinati alle operazioni contro lo Yemen. Innescando la rivolta dei portuali a Livorno, Salerno, Ravenna. Negli ultimi due anni si è assistito ad altri blocchi per fermare il transito di navi che portavano armamenti verso Israele, come Zim e Katrine.
Ma non c’è solo la spinta europea. Tra i progetti di ampliamento ricordiamo il programma Basi Blu, per adeguare i porti agli standard militari della Nato. Così anche i porti di Taranto, Augusta, La Spezia e Brindisi, che già ospitano basi militari e zone già pesantemente contaminate dall’inquinamento pregresso, sono oggetto di dragaggio dei fondali, costruzione di nuove banchine, ampliamento delle reti di distribuzione carburanti. Aumentando l’impatto ambientale in zone già contaminate. Un programma che toccherà anche i porti “secondari” di Cagliari, Messina, Ancona, Venezia, Napoli e Livorno, «destinati a ospitare il naviglio militare minore di nuova costruzione». Il programma Basi Blu è concepito secondo un piano di sviluppo pluriennale, la cui conclusione è prevista nel 2033. Il finanziamento iniziale ammonta a 2,5 miliardi di euro.
Da Ravenna agli altri porti, i traffici di armi continuano
Il porto di Ravenna, all’estremità del corridoio ferroviario Baltico-Adriatico, è il punto di snodo di traffici civili e militari verso il Medio Oriente. Anch’esso è interessato da un progetto di ampliamento e approfondimento dei fondali per permettere l’attracco di navi container sempre più grandi. Un progetto ufficialmente “civile” ma che inevitabilmente servirà anche ai traffici militari, all’insegna del dual use.
Un porto, quello ravennate, crocevia di traffici d’armi, più o meno legali. Il 4 febbraio scorso ha fatto scalpore il sequestro di 14 tonnellate di componenti per cannoni. Il carico, dal valore di 250mila euro, proveniva da una ditta di Lecco (Valforge) e doveva essere trasportato in Israele. L’azienda produttrice, però, non aveva l’autorizzazione a esportare materiale bellico ai sensi della legge 185 del 1990. Il committente di tale ordine era Israel Military Industries Ltd (Imi), principale produttore israeliano di armi. Nel 2024, come spiega l’ordinanza del Tribunale del riesame di Ravenna, lo stesso imprenditore lecchese aveva organizzato quattro spedizioni analoghe per conto di Ashot Ashkelon Industries, altra grande produttrice di armi sussidiaria di Imi. Anche in questo caso i pezzi sono stati spediti a Israele, sorpassando senza problemi ben tre dogane, dagli aeroporti cargo di Bologna e Milano.
È percorso da traffici militari anche il porto di Livorno, strategico per la vicinanza a Camp Darby. Così come quello di Monfalcone (in provincia di Gorizia), sebbene sia civile e non abilitato al movimento d’armi. O, ancora, i porti di Capodistria e Trieste, sebbene il territorio libero di Trieste dovrebbe essere disarmato e neutrale sotto tutela Onu. Weapon Watch, osservatorio sui porti del Mediterraneo, ha segnalato che all’inizio del 2025 una nave ro-ro chiamata «Severine», battente bandiera maltese, è stata avvistata anche nel porto di Ortona. Lì aveva fatto tappa per caricare i mezzi militari prodotti da Tekne, destinati probabilmente al conflitto in Ucraina.
La cybersecurity nei porti affidata ad aziende israeliane
Il trasbordo di esplosivi e materiale bellico nei porti civili è ovviamente un elemento di grave rischio, sia per i residenti sia per i lavoratori. Ma su tutto aleggia riserbo e segretezza: spesso gli stessi lavoratori non sono a conoscenza di cosa parte e cosa arriva. In alcuni casi la cybersecurity di porti, aeroporti e altri snodi critici viene affidata proprio ad aziende israeliane, facendo sorgere non pochi dubbi sulla imparzialità di tali controlli. D’altra parte sono tra le più esperte al mondo, in quanto da decenni “sperimentano” cybersecurity, controllo e sorveglianza proprio nei territori occupati palestinesi. Violando ogni basilare diritto umano e alimentando l’apartheid.
A Genova l’azienda palermitana KLS, che tuttora gestisce parte della sicurezza del porto, nel 2022 aveva stretto una partnership con l’israeliana Lotan HLS & Defense, specializzata in antiterrorismo e cybersecurity, legata all’esercito israeliano. Non sappiamo se questa collaborazione ancora sia in atto: KLS non ha ancora risposto alla nostra richiesta di chiarimento.
La digitalizzazione del porto di Ravenna a un’azienda legata all’esercito israeliano
A Ravenna invece, nel settembre 2024, in occasione di un convegno sulla cybersecurity, l’autorità portuale dichiarava: «Con l’obbligo, a partire dal 1° gennaio 2024, di implementare la piattaforma Maritime Single Window (Msw), la digitalizzazione dei porti diventa essenziale per facilitare lo scambio di informazioni tra le navi durante l’arrivo, la permanenza e la partenza ma comporta anche rischi crescenti di attacchi cyber. La nuova direttiva NIS2 dell’Unione europea, in vigore dal 18 ottobre 2024, richiede misure di sicurezza avanzate e una gestione rigorosa della catena di approvvigionamento per proteggere queste infrastrutture essenziali. Grazie all’ampia e profonda esperienza nella OT cybersecurity e nella cyber resilienza, Gruppo Itway e Radiflow garantiscono la salvaguardia dei processi ottimizzando il budget per la sicurezza e gestendo al tempo stesso il rischio nel rispetto delle normative».
Resta sullo sfondo il legame tra Radiflow e l’esercito israeliano. Il Ceo di Radiflow, Ilan Barda, proviene infatti dalla Information Security division delle Forze di difesa israeliane (Idf). Yehonatan Kfir, manager di Radiflow, ha “servito” per dieci anni nell’Idf Intelligence Corp Elite R&D Unit e nella Unit 8200 (che si occupa di cyber guerra e spionaggio). Radiflow fa parte di un consorzio israeliano per garantire sicurezza alle infrastrutture critiche, la cui capofila è la holding militare-industriale Rafael Advanced Systems LTD
Gli appelli della società civile a fermare il traffico di armi e la militarizzazione dei porti
Ma non basta. Perché il porto di Ravenna è uno di quelli in cui verrà testata una nuova tecnologia di security marittima e sottomarina all’interno del progetto europeo Undersec, finanziato dai fondi Horizon, per «l’individuazione di potenziali oggetti pericolosi o illegali in ingresso al porto». Guarda caso, proprio Rafael Advanced Systems fa parte anche dell’equipe internazionale che dovrà implementare questa nuova tecnologia. Oltre a Rafael Advanced System, il team internazionale comprende anche l’università di Tel Aviv e il ministero della Difesa di Israele. Il progetto risale all’ottobre del 2023 e verrà implementato entro il 2026.
Le associazioni ravennati aderenti alla Campagna Fari di Pace hanno recentemente scritto all’autorità portuale di Ravenna. «Chi si occupa della sicurezza dei porti, compreso il controllo di armi o loro componenti in transito? Che ruolo hanno le aziende che vantano strette collaborazioni con le forze armate israeliane? Si tratta di un controllo poco “imparziale”, soprattutto quando si tratta di controllare carichi militari diretti a Israele. Vi è inoltre il rischio che controllo e sorveglianza possano avvenire a discapito dei lavoratori “scomodi”, che magari vogliono opporsi al traffico di armi». Da Genova, da Ravenna così come da altri porti, si sta alzando un accorato appello per fermare il traffico di armi e la militarizzazione dei porti.
L'articolo La guerra passa anche dai porti. Dal Rearm europeo ai piani Nato, con il “controllo” israeliano proviene da Valori.