Intelligenza artificiale: l'Europa è davvero così indietro? Risponde l’esperta
Quando si parla di Intelligenza Artificiale, l’Europa sembra correre col freno a mano tirato. Infatti, mentre Stati Uniti e Cina spingono l’acceleratore su ricerca, investimenti e applicazioni concrete, il Vecchio Continente arranca tra leggi ambiziose e burocrazia soffocante. Ma cosa sta succedendo davvero? A spiegarcelo, in questo nuovo episodio di Like a Pro(f) – il format di Skuola.net che porta tra i banchi digitali gli esperti del mondo reale – è Mariangela Pira, giornalista economica tra le più autorevoli in Italia. Nel suo intervento, senza giri di parole, mette a fuoco un nodo cruciale: l’AI Act, ovvero la legge europea sull’intelligenza artificiale, è stato approvato, sì, ma resta bloccato da decine di provvedimenti attuativi. E, intanto, la competizione globale va avanti. Con una differenza sostanziale: noi regoliamo, gli altri investono. [tiktok]@skuolanet/video/7501249475973795094[/tiktok] Indice Europa, l’AI che non parte L’innovazione c’è, ma resta chiusa nei cassetti 50 miliardi contro 800: la sfida persa in partenza Europa, l’AI che non parte “L’Unione Europea ha tantissimi problemi – racconta Mariangela Pira – e l’intelligenza artificiale è uno di questi”. Il motivo? Troppa burocrazia, poca capacità di trasformare la teoria in pratica. L’AI Act, la legge pensata per regolamentare il settore in chiave etica e trasparente, è passata, “ma mancano ancora 60 provvedimenti attuativi”. Il risultato è che mentre l’Europa discute, gli altri agiscono. Con un paragone incisivo, Pira riprende le parole dell’ex premier Mario Draghi: “Lasciate stare i dazi: siete voi europei che vi ‘autodazziate’, con tutte queste regole che vi date da soli”. L’innovazione c’è, ma resta chiusa nei cassetti Il vero problema, però, non è solo normativo. È anche e soprattutto strutturale. “Noi in Europa non riusciamo a trasformare quello che nasce nelle università in impresa”, spiega l’esperta. Le idee ci sono, le competenze anche. Ma manca il ponte tra ricerca e mercato, quella capacità di fare innovazione vera, che invece Stati Uniti e Cina padroneggiano. Negli USA, i progetti legati all’AI vengono subito sostenuti da investimenti enormi. Da noi? Molto meno. 50 miliardi contro 800: la sfida persa in partenza Il confronto è impietoso. In questo settore, “gli americani investono almeno 7-800 miliardi di dollari, noi europei appena 50”, dice Pira. E allora la domanda sorge spontanea: “Cosa vogliamo fare con 50 miliardi?”. Con queste cifre, la partita è sbilanciata già in partenza, e di molto. E se non si cambia passo, non basta avere una buona legge: semplicemente, si resta irrilevanti sul piano dell’innovazione concreta. Per ora, la sensazione è che l’Europa giochi in difesa, mentre il resto del mondo sperimenta, osa, innova. Servirebbe, come sottolinea Pira, un cambio di rotta – politico, economico e culturale – prima che sia troppo tardi.

Quando si parla di Intelligenza Artificiale, l’Europa sembra correre col freno a mano tirato. Infatti, mentre Stati Uniti e Cina spingono l’acceleratore su ricerca, investimenti e applicazioni concrete, il Vecchio Continente arranca tra leggi ambiziose e burocrazia soffocante.
Ma cosa sta succedendo davvero? A spiegarcelo, in questo nuovo episodio di Like a Pro(f) – il format di Skuola.net che porta tra i banchi digitali gli esperti del mondo reale – è Mariangela Pira, giornalista economica tra le più autorevoli in Italia.
Nel suo intervento, senza giri di parole, mette a fuoco un nodo cruciale: l’AI Act, ovvero la legge europea sull’intelligenza artificiale, è stato approvato, sì, ma resta bloccato da decine di provvedimenti attuativi. E, intanto, la competizione globale va avanti. Con una differenza sostanziale: noi regoliamo, gli altri investono.
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Europa, l’AI che non parte
“L’Unione Europea ha tantissimi problemi – racconta Mariangela Pira – e l’intelligenza artificiale è uno di questi”.
Il motivo? Troppa burocrazia, poca capacità di trasformare la teoria in pratica. L’AI Act, la legge pensata per regolamentare il settore in chiave etica e trasparente, è passata, “ma mancano ancora 60 provvedimenti attuativi”.
Il risultato è che mentre l’Europa discute, gli altri agiscono. Con un paragone incisivo, Pira riprende le parole dell’ex premier Mario Draghi: “Lasciate stare i dazi: siete voi europei che vi ‘autodazziate’, con tutte queste regole che vi date da soli”.
L’innovazione c’è, ma resta chiusa nei cassetti
Il vero problema, però, non è solo normativo. È anche e soprattutto strutturale. “Noi in Europa non riusciamo a trasformare quello che nasce nelle università in impresa”, spiega l’esperta. Le idee ci sono, le competenze anche. Ma manca il ponte tra ricerca e mercato, quella capacità di fare innovazione vera, che invece Stati Uniti e Cina padroneggiano.
Negli USA, i progetti legati all’AI vengono subito sostenuti da investimenti enormi. Da noi? Molto meno.
50 miliardi contro 800: la sfida persa in partenza
Il confronto è impietoso. In questo settore, “gli americani investono almeno 7-800 miliardi di dollari, noi europei appena 50”, dice Pira. E allora la domanda sorge spontanea: “Cosa vogliamo fare con 50 miliardi?”.
Con queste cifre, la partita è sbilanciata già in partenza, e di molto. E se non si cambia passo, non basta avere una buona legge: semplicemente, si resta irrilevanti sul piano dell’innovazione concreta.
Per ora, la sensazione è che l’Europa giochi in difesa, mentre il resto del mondo sperimenta, osa, innova. Servirebbe, come sottolinea Pira, un cambio di rotta – politico, economico e culturale – prima che sia troppo tardi.