India e Pakistan sull’orlo della guerra, cosa sta succedendo

Rivali strategici ed eterni, fin dalla loro indipendenza, i due Paesi asiatici riaccendono lo scontro per la regione contesa del Kashmir. E spaventano il mondo coi timori di un'escalation militare e nucleare. Cosa rischiamo

Mag 7, 2025 - 14:17
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India e Pakistan sull’orlo della guerra, cosa sta succedendo

India e Pakistan spaventano il mondo. Le potenze nucleari riaccendono un conflitto mai sopito e presente praticamente da sempre, da quando cioè il Pakistan si è reso indipendente nel 1947 staccandosi dall’India.

La tensione fra i due Paesi è incarnata dal territorio del Kashmir, da decenni conteso e preda della violenza. Nuova Delhi ha fatto piovere missili di precisione sulla parte pakistana, provocando decine di vittime tra morti e feriti. Un attacco compiuto in risposta all’attentato di fine aprile, lanciato da militanti islamici a Pahalgam, che ha causato la morte di 28 persone, principalmente turisti indiani.

Tensione altissima tra India e Pakistan: come si è arrivati all’escalation

Il 22 aprile un gruppo di uomini armati ha sferrato un attacco terroristico a Pahalgam, una cittadina dell’Himalaya chiamata “la Svizzera dell’India” perché ambita meta turistica, soprattutto dai locali. Ci si arriva solo a piedi o a cavallo. Non una novità nell’incessante guerriglia che infiamma da decenni il confine tra i due Paesi, ma senza dubbio l’attentato contro civili più sanguinoso degli ultimi anni. L’assalto è stato poco dopo rivendicato dal Fronte di Resistenza, costola “fantasma” della formazione armata indipendentista islamista denominata Lashkar-e-Taiba. Si tratta di ribelli del Kashmir che portano avanti la lotta insurrezionalista dal 1989: chiedono l’indipendenza o l’annessione al Pakistan. L’attacco è inoltre avvenuto mentre il vicepresidente statunitense J. D. Vance era in una visita di quattro giorni in India. Un elemento nient’affatto secondario, pienamente inserito nella crisi dell’ordine internazionale aggravata dagli sconvolgimenti prodotti dall’amministrazione di Donald Trump. Con i nemici dell’Occidente pronti ad approfittarne.

Da parte sua, l’India non è certo rimasta a guardare e ha sferrato missilistici contro tre città pakistane: Kotli, Bahawalpur e Muzaffarabad. Nuova Delhi ha spiegato di aver lanciato “l’Operazione Sindoor” per colpire nove basi terroristiche, che “sono state distrutte”. Anche dal nome scelto per l’iniziativa bellica traspare tutto il contrasto e l’astio tra due popoli nemici strategici: “sindoor” è un pigmento rosso utilizzato da molte donne indù, soprattutto in occasione di un matrimonio, e richiama il colore del sangue. Come quello versato dai pakistani nell’attentato. Le relazioni diplomatiche sono piombate ai minimi storici, con l’India che ha espulso diplomatici pakistani e chiuso i confini, mentre il Pakistan ha risposto espellendo diplomatici indiani, chiudendo lo spazio aereo e sospendendo l’Accordo di Shimla del 1972 per la risoluzione bilaterale dei conflitti. E abbattendo cinque aerei indiani.

La guerra dell’acqua

Il raid indiano ha danneggiato anche una centrale idroelettrica, inasprendo anche un altro aspetto del conflitto col Pakistan: la chiamano la “guerra dell’acqua”, in quanto l’India ha sospeso un trattato sulla condivisione delle risorse idriche del fiume Indo, vitali per il Paese confinante. L’accordo fu siglato nel 1960, con la mediazione della Banca Mondiale, per regolamentare l’uso delle acque del sistema fluviale transnazionale e finora aveva resistito alle numerose escalation tra i due Paesi. La sua sospensione potrebbe causare gravi carenze idriche in Pakistan, già colpito da siccità e calo delle precipitazioni.

La scia di attacchi reciproci potrebbe dunque non finire qui. Il premier pakistano Shehbaz Sharif ha parlato di “attacchi vigliacchi” e avvisato che Islamabad “ha tutto il diritto di rispondere con la forza a questo atto di guerra”. Dichiarazioni che hanno infiammato ulteriormente la situazione alla frontiera, con scambi di colpi di artiglieria pesante.

Perché India e Pakistan si fanno la guerra

Cominciamo dall’elemento principale di ogni disamina geopolitica: i popoli e il loro sentimento comunitario. Da un lato abbiamo un Paese fieramente musulmano, tanto da chiamare la sua capitale Islamabad (“città dell’Islam”, fortino della fede lontano dai luoghi sacri di Mecca e Medina), ma non una nazione in senso tecnico. Lo stesso nome Pakistan è un acronimo derivato dalle iniziali di diverse regioni del subcontinente indiano: Punjab, Afghanistan, Kashmir, Sindh e Baluchistan. In senso propagandistico, il termine voleva indicare le aree dove la popolazione musulmana era maggioritaria e che sarebbero state il fulcro per la creazione di uno Stato musulmano indipendente. A coronamento del sentimento anti-indiano c’è anche il fatto che la parola “Pakistan” in urdu, lingua che non è altro che una localizzazione dell’hindi, significa anche “terra dei puri”. Dall’altro lato abbiamo un’altra potenza atomica, che di nazioni al suo interno ne ha invece fin troppe. Il più grande ostacolo alla proiezione esterna dell’India sulla scena internazionale è proprio la forte instabilità interna.

L’opposizione tra i due Paesi unisce dunque fattori religiosi, sociali e geopolitici. Il pomo della discordia, come accennato, è il Kashmir: territorio a maggioranza musulmana, tra i più militarizzati del mondo e conteso fin dal 1947, anno in cui entrambi i Paesi ottennero l’indipendenza dal Regno Unito. Da allora furono protagonisti di centinaia di episodi di guerriglia e di quattro guerre dirette:

  • la prima nel 1947-1948, quando gruppi pakistani invasero il Kashmir scatenando la reazione militare dell’India. Fu infine siglato un cessate il fuoco mediato dall’Onu e alla creazione della Linea di Controllo, che non costituisce un confine internazionale riconosciuto ma divide di fatto le zone del Kashmir controllate da Nuova Delhi da quelle controllate da Islamabad;
  • nel 1965, quando il Pakistan tentò di infiltrarsi nel Kashmir indiano, scatenando un conflitto su vasta scala. Anche in questo caso fu sottoscritta una tregua finale, ma non definitiva;
  • nel 1971, quando deflagrò il conflitto per l’indipendenza del Bangladesh;
  • nel 1999, anno del conflitto di Kargil che vide ancora una volta l’infiltrazione di forze pakistane in posizioni strategiche nel Kashmir indiano. Il gigante asiatico rispose con una campagna militare di riconquista.

Da anni l’India accusa il Pakistan di sostenere gruppi armati che operano oltre confine. La strage di Pahalgam ha colpito fortemente l’opinione pubblica indiana, con conseguenti forti pressioni sul governo ultra-nazionalista del primo ministro Narendra Modi. Con sullo sfondo il grande scontro del nostro tempo: quello fra Stati Uniti e Cina.

Perché il Kashmir è così importante e cosa c’entra la Cina

Il Kashmir rappresenta una regione strategica non soltanto per India e Pakistan, ma anche per la Cina di Xi Jinping. Oltre a ospitare le sorgenti di fiumi come l’Indo, essenziali per l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico di entrambi i Paesi, controllare questo territorio offre un notevole vantaggio militare: chi lo controlla, domina l’accesso all’Himalaya. Dicevamo della tendenza dei rivali degli Usa ad approfittare del momento di stanchezza e instabilità dell’ordine globalizzato per moltiplicare i fronti caldi e di tensione. E chi più della Cina corrisponde a questa descrizione. Pechino, grande nemico anche della vicina India, sostiene politicamente e militarmente il Pakistan ed esercita un controllo diretto sull’Aksai Chin, una regione del Kashmir storicamente rivendicata da Nuova Delhi.

Il Kashmir rappresenta uno snodo cruciale per il Dragone cinese perché collega il Tibet allo Xinjiang, cioè due regioni “ribelli” che perseguono l’indipendenza dalla Repubblica Popolare. Non solo: il Kashmir è un passaggio obbligato per le rotte terrestri delle Nuove Vie della Seta, cioè il progetto di controglobalizzazione con cui Pechino vuole insidiare commercialmente e geopoliticamente gli Usa in Asia Centrale ed Europa. Come il Pakistan, anche la Cina è coinvolta in frequenti tensioni di confine con l’India lungo un’altra Linea di Controllo, denominata Lac, nell’Himalaya orientale. Il sostegno cinese al Pakistan, sia in ambito militare che diplomatico, rappresenta dunque una minaccia viva (anche se inverosimile, visto che Pechino non è pronta a proiettarsi militarmente oltre confine) di un’escalation fra tre potenze nucleari.