In Italia ci sono anche tanti ospedali che curano (bene)
Nonostante le difficoltà e le polemiche spesso interessate, il Sistema nazionale che cura gratis gli italiani è un modello, dove l’assistenza pubblica si integra con quella privata. Dai trapianti all’avanguardia alla ricerca oncologica, dall’ortopedia alla cardiologia: Panorama racconta, da Nord a Sud, le eccellenze negli ospedali della Penisola.Nel Paese della rabbia che rende miopi, non riusciamo più a scorgere i diamanti che brillano. Schiavi della polemica e del rancore, guardiamo alla nostra sanità e vediamo solo disfatte e presunte malefatte: liste d’attesa, Pronto soccorso intasati, ospedali inadeguati, casi di malasanità, vera o presunta. E così perdiamo di vista l’altra metà della storia: il sorriso del bambino di cinque anni che esce dall’ospedale con un polmone nuovo, o quello di Martina guarita dal tumore al seno. Paola, che ha subìto quattro trapianti, le speranze di chi inizia una terapia sperimentale per il cuore in un polo di ricerca all’avanguardia o aspetta la nuova cura per l’Alzheimer: che arriverà, perché siamo in Italia. E qui la sanità, oltre a essere universalistica e gratuita, funziona. Non tutte le volte che vorremmo, ma non esiste diatriba politica che possa svalutare il modello nazionale: un sistema per tutti, che riesce a integrare così bene pubblico e privato che spesso il paziente nemmeno si accorge delle differenze. «L’ambulanza ha portato qui mia madre due ore fa» racconta Alberto M. nella sala d’attesa del Pronto soccorso di Humanitas (oltre 50 mila accessi all’anno, con quasi il 25 per cento di codici rossi e arancioni, dato più alto tra i DEA di II livello) che «copre» il complesso quartiere di Rozzano (Milano), dove la cronaca nera è all’ordine del giorno: altro che Ps-fighetto per benestanti. «No, non sapevo che questo fosse un ospedale privato» continua Alberto. «Solitamente vado al Policlinico. Mia mamma verrà ricoverata qui, l’importante per noi è che il servizio sanitario funzioni e sia gratuito e universale».A testimoniare quanto lo sia, ci sono anche le classifiche di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari, che nell’ultimo rapporto basato sull’analisi di 1.363 ospedali pubblici e privati, ha identificato le migliori strutture italiane del 2023: l’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, quella delle Marche di Ancona e proprio l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. Quest’ultimo, nel 2024 ha effettuato 18.400 terapie oncologiche ambulatoriali e trattato in SSN 5.070 pazienti bisognosi di interventi chirurgici per tumore: a fronte di rimborsi fermi da anni. Che la nostra sanità sia per tutti lo dicono anche (altri) numeri: nel 2023, i ricoveri ospedalieri in Italia sono stati quasi otto milioni, cioè circa 44 milioni di giornate di ospedalizzazione. Nello stesso anno, sono stati registrati 18,27 milioni di accessi in Pronto soccorso. E in quelli privati del Gruppo San Donato, ancora nel 2023, nella sola Lombardia sono state assistite 262.460 persone, che come Alberto non si sono nemmeno accorte di non essere in un ospedale pubblico, perché sono state sempre prese in carico e curate gratuitamente. Nel dettaglio: il Ps del San Raffaele, con i suoi 73.259 accessi del 2023, ha praticamente gli stessi numeri del Policlinico milanese e si avvicina molto ai dati di Niguarda, entrambi pubblici. Nonostante tutte le difficoltà e le criticità del sistema sanitario (sul quale nessun governo in passato ha seriamente investito), i 18 milioni di accessi in Ps e gli otto milioni di ricoveri nei reparti testimoniano come il Paese sappia dare risposte ai cittadini. Rimane, purtroppo, il deficit della medicina di base: troppi italiani sono già senza medico di famiglia (si calcola fra i tre e i quattro milioni) e la situazione peggiorerà con l’ondata di pensionamenti dei professionisti della salute previsti per i prossimi anni. Inoltre, proprio negli ambulatori del territorio si prescrivono troppi esami inutili, soprattutto per accertamenti come ecografie, tac, risonanze magnetiche, spesso soltanto come «medicina difensiva» e senza una reale esigenza clinica.Oggi si stima - in base ai dati della Società italiana di radiologia medica e interventistica - che circa il 40 per cento dei controlli fatti siano inappropriati. Questo causa un effetto a cascata sulle liste d’attesa: se provando a prenotare un esame urgente ci sentiamo dare appuntamento anche diversi mesi dopo, non bisogna prendersela soltanto con gli ospedali, i medici e - ultimo - le istituzioni. La responsabilità sta anche a noi, quando reclamiamo mille analisi, e soprattutto ai nostri sanitari che, talvolta per sfinimento ma soprattutto perché non hanno in ambulatorio nemmeno gli strumenti adeguati per fare una semplice ecografia o un elettrocardiogramma, ci rimandano alle prenotazioni ospedaliere. Le speranze, a questo punto, risiedono nella riforma sulla medicina di base, a cui si sta lavorando proprio in queste settimane e che si conta possa finalmente riuscire dove troppi hanno fallito: facendo cio


Nonostante le difficoltà e le polemiche spesso interessate, il Sistema nazionale che cura gratis gli italiani è un modello, dove l’assistenza pubblica si integra con quella privata. Dai trapianti all’avanguardia alla ricerca oncologica, dall’ortopedia alla cardiologia: Panorama racconta, da Nord a Sud, le eccellenze negli ospedali della Penisola.
Nel Paese della rabbia che rende miopi, non riusciamo più a scorgere i diamanti che brillano. Schiavi della polemica e del rancore, guardiamo alla nostra sanità e vediamo solo disfatte e presunte malefatte: liste d’attesa, Pronto soccorso intasati, ospedali inadeguati, casi di malasanità, vera o presunta. E così perdiamo di vista l’altra metà della storia: il sorriso del bambino di cinque anni che esce dall’ospedale con un polmone nuovo, o quello di Martina guarita dal tumore al seno. Paola, che ha subìto quattro trapianti, le speranze di chi inizia una terapia sperimentale per il cuore in un polo di ricerca all’avanguardia o aspetta la nuova cura per l’Alzheimer: che arriverà, perché siamo in Italia. E qui la sanità, oltre a essere universalistica e gratuita, funziona. Non tutte le volte che vorremmo, ma non esiste diatriba politica che possa svalutare il modello nazionale: un sistema per tutti, che riesce a integrare così bene pubblico e privato che spesso il paziente nemmeno si accorge delle differenze. «L’ambulanza ha portato qui mia madre due ore fa» racconta Alberto M. nella sala d’attesa del Pronto soccorso di Humanitas (oltre 50 mila accessi all’anno, con quasi il 25 per cento di codici rossi e arancioni, dato più alto tra i DEA di II livello) che «copre» il complesso quartiere di Rozzano (Milano), dove la cronaca nera è all’ordine del giorno: altro che Ps-fighetto per benestanti. «No, non sapevo che questo fosse un ospedale privato» continua Alberto. «Solitamente vado al Policlinico. Mia mamma verrà ricoverata qui, l’importante per noi è che il servizio sanitario funzioni e sia gratuito e universale».
A testimoniare quanto lo sia, ci sono anche le classifiche di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari, che nell’ultimo rapporto basato sull’analisi di 1.363 ospedali pubblici e privati, ha identificato le migliori strutture italiane del 2023: l’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, quella delle Marche di Ancona e proprio l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. Quest’ultimo, nel 2024 ha effettuato 18.400 terapie oncologiche ambulatoriali e trattato in SSN 5.070 pazienti bisognosi di interventi chirurgici per tumore: a fronte di rimborsi fermi da anni.
Che la nostra sanità sia per tutti lo dicono anche (altri) numeri: nel 2023, i ricoveri ospedalieri in Italia sono stati quasi otto milioni, cioè circa 44 milioni di giornate di ospedalizzazione. Nello stesso anno, sono stati registrati 18,27 milioni di accessi in Pronto soccorso. E in quelli privati del Gruppo San Donato, ancora nel 2023, nella sola Lombardia sono state assistite 262.460 persone, che come Alberto non si sono nemmeno accorte di non essere in un ospedale pubblico, perché sono state sempre prese in carico e curate gratuitamente. Nel dettaglio: il Ps del San Raffaele, con i suoi 73.259 accessi del 2023, ha praticamente gli stessi numeri del Policlinico milanese e si avvicina molto ai dati di Niguarda, entrambi pubblici. Nonostante tutte le difficoltà e le criticità del sistema sanitario (sul quale nessun governo in passato ha seriamente investito), i 18 milioni di accessi in Ps e gli otto milioni di ricoveri nei reparti testimoniano come il Paese sappia dare risposte ai cittadini. Rimane, purtroppo, il deficit della medicina di base: troppi italiani sono già senza medico di famiglia (si calcola fra i tre e i quattro milioni) e la situazione peggiorerà con l’ondata di pensionamenti dei professionisti della salute previsti per i prossimi anni. Inoltre, proprio negli ambulatori del territorio si prescrivono troppi esami inutili, soprattutto per accertamenti come ecografie, tac, risonanze magnetiche, spesso soltanto come «medicina difensiva» e senza una reale esigenza clinica.
Oggi si stima - in base ai dati della Società italiana di radiologia medica e interventistica - che circa il 40 per cento dei controlli fatti siano inappropriati. Questo causa un effetto a cascata sulle liste d’attesa: se provando a prenotare un esame urgente ci sentiamo dare appuntamento anche diversi mesi dopo, non bisogna prendersela soltanto con gli ospedali, i medici e - ultimo - le istituzioni. La responsabilità sta anche a noi, quando reclamiamo mille analisi, e soprattutto ai nostri sanitari che, talvolta per sfinimento ma soprattutto perché non hanno in ambulatorio nemmeno gli strumenti adeguati per fare una semplice ecografia o un elettrocardiogramma, ci rimandano alle prenotazioni ospedaliere. Le speranze, a questo punto, risiedono nella riforma sulla medicina di base, a cui si sta lavorando proprio in queste settimane e che si conta possa finalmente riuscire dove troppi hanno fallito: facendo cioè in modo che l’assistenza sul territorio funzioni meglio e per più ore, e soprattutto che si aggiorni, per una risposta più adeguata alle necessità attuali.
Tutto ciò è sufficiente? Certo che no, e per questo nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati 2,37 miliardi di euro in più per il 2025 e 4,12 per il 2026, arrivando al record della storia d’Italia per il fondo sanitario nazionale: 136,48 miliardi nel 2025 e 140,6 nel 2026. Si parla di un finanziamento complessivo, per il nostro Ssn, pari al 6,3 per cento del Pil. Numeri che contribuiscono a fare della sanità della Penisola un’eccellenza in molti settori: anche grazie a una ispirazione di fondo che non guarda solo alla malattia, ma alla persona. «L’Italia ha saputo costruire, negli anni, un modello di sanità “umana”, vicina ai pazienti» afferma Paolo Veronesi, direttore del programma di Senologia dell’Ieo, Istituto europeo di oncologia di Milano, che nel 2024 ha compiuto 30 anni. «L’ha fatto anche grazie a medici come mio padre Umberto, che sapevano guardare oltre e non si sono mai fatti scoraggiare dalle difficoltà. Se oggi il livello raggiunto dalle nostre cure è altissimo e siamo attrattivi anche all’estero c’è un motivo, ed è il modo in cui curiamo e facciamo ricerca». In oncologia, oltretutto, quattro ospedali italiani (Ieo, Istituto nazionale dei tumori, Policlinico Gemelli e Humanitas) sono tra i primi 40 al mondo per qualità delle cure, secondo la classifica stilata dalla rivista americana Newsweek. L’Istituto di Veronesi, numero 15 nel «ranking», precede persino la Cleveland Clinic statunitense. E proprio alla ricerca deve la vita Martina, che incontriamo al bar dell’Ieo. La testa avvolta in un foulard, il sorriso di chi ha ritrovato la speranza. «Il mio tumore era uno di quelli che pochi anni fa sarebbero stati una condanna a morte. Ma grazie allo screening l’ho scoperto in tempo, e sono qui. Con la speranza che le cure evolvano ancora e io possa, un giorno, dichiararmi davvero guarita».
Anche tra Roma e Napoli la sanità esprime livelli davvero alti: l’IRCCS Policlinico Gemelli è un punto di riferimento per tutte le patologie, con vette di eccellenza: il reparto di Neurologia di Paolo Calabresi è all’avanguardia per la cura di Alzheimer e Parkinson, il Comprehensive Cancer Center di Giampaolo Tortora cura quasi 60 mila pazienti all’anno, oltre un quinto dei quali arriva da fuori Regione, con oltre 17 mila interventi. A Napoli troviamo il massimo esperto di melanoma al mondo, e cioè Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Pascal, che è un pioniere nell’uso delle molecole immuno-oncologiche.
E se un’inutile propagande sminuisce le nostre eccellenze, arrivando ad accusare un ospedale come l’IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano di eseguire troppi interventi alla colonna vertebrale solo perché remunerativi, non c’è che da rispondere con i fatti. «Siamo gli unici in Italia e tra i pochi in Europa ad avere ottenuto la certificazione d’eccellenza Eurospine come Centro di Chirurgia vertebrale» spiega a Panorama Roberto Bassani, direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia vertebrale dell’istituto e membro del direttivo della Società italiana di Chirugia vertebrale. «Siamo anche uno dei centri nazionali di riferimento: quindi utilizziamo percorsi e algoritmi precisi e standardizzati, e grazie a questi protocolli sia nella selezione del paziente sia nell’applicazione delle tecniche chirurgiche adatte, il malato ha un rischio minore di operazioni non indicate e di complicazioni». Il 70 per cento dei pazienti arriva al Galeazzi-Sant’Ambrogio per interventi di chirurgia complessa, spesso addirittura chirurgia di revisione. «In pratica» conclude il direttore «Ri-operiamo persone che non hanno avuto benefici da pregressi interventi, e che frequentemente ci vengono inviati da altri ospedali». Bassani ha anche sviluppato una tecnica chirurgica mininvasiva (che ora prende il suo nome) per operare i pazienti attraverso una incisione intorno all’ombelico. Per imparare questa procedura, arrivano in Italia medici da tutta Europa e Stati Uniti. Se quindi possiamo avere - sempre gratuitamente - il meglio, perché davanti a un problema alla schiena dovremmo andare altrove?
L’Italia è oggi all’avanguardia anche nel campo dei trapianti. È a Bergamo, all’ospedale Papa Giovanni XXIII, che l’équipe del professore Michele Colledan ha effettuato uno dei pochissimi trapianti di polmone da donatore vivente mai eseguiti in Europa, su un bambino di cinque anni. Il nosocomio lombardo ha raggiunto nel 2024 i 197 interventi in un anno, mentre a 1.500 chilometri di distanza, all’ISMETT di Palermo, i trapianti dell’anno scorso sono stati 280. Mai così tanti in Sicilia, con pazienti che arrivano anche dall’estero. «Se dovessi pensare a un caso in particolare» racconta Salvatore Gruttadauria, direttore del Dipartimento per la Cura e lo Studio delle Patologie addominali IRCCS-ISMETT UPMC «penso a Paola, una giovane pugliese che ha affrontato quattro trapianti di fegato e, dopo il secondo, ha deciso di portare avanti una gravidanza, andata a buon fine». Anche nella disastrata zona di Messina, dove ultimamente si sono verificati tanti casi di malasanità, esistono al Policlinico un reparto di Neuroradiologia guidato da Sergio Vinci e una Stroke Unit che hanno salvato molte vite, spesso anche di crocieristi alle prese con ictus.
Siamo al vertice anche nella cardiologia: l’IRCCS Centro cardiologico Monzino di Milano è al 19esimo posto tra i migliori del mondo, sempre secondo la classifica di Newsweek. E cura tutti. «L’idea di partenza» afferma Giulio Pompilio, direttore scientifico del centro, «è stata unire la clinica alla ricerca. Chi fa ricerca è costretto a farsi delle domande, e questa in medicina è la cosa più difficile: ancor più che trovare le risposte. La ricerca ti obbliga a studiare, ad approfondire in laboratorio e nella pratica clinica, per trovare soluzioni che prima non esistevano. Questa cultura è dinamica e ispira tutti i professionisti che lavorano qui, con ricadute pratiche estremamente reali». A questo punto possiamo dire che non esiste una branca della medicina - accessibile a tutti - nella quale l’Italia non offra il meglio: all’IRCCS San Raffaele di Milano, per esempio, a dirigere il reparto di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva è Silvio Danese, che nel ranking di Expertscape basato sulle pubblicazioni scientifiche, è il numero uno al mondo tra gli scienziati che si occupano di malattie croniche infiammatorie intestinali, come la sempre più diffusa malattia di Crohn. Non a caso nel suo reparto arrivano, per imparare, medici da tutti i Paesi.
Così come avviene all’estremità opposta della Penisola: al Policlinico di Catania c’è uno degli unici quattro centri al mondo in grado di effettuare il trapianto di utero. Qui, nell’agosto 2020, una donna di 31 anni è stata sottoposta a questa procedura dall’équipe del professor Pierfrancesco Veroux. L’intervento è durato 24 ore, e dopo due anni la donna è riuscita a partorire una bambina, che si chiama Alessandra. Nelle foto del battesimo, accanto ai genitori c’erano i medici che hanno eseguito l’operazione. Perché un trapianto o una terapia innovativa non sono mai solo tecnica o scienza. E la buona sanità non è esclusivamente in numeri, dati e progressi della medicina. Ma è anche nella possibilità concreta che questo patrimonio sia a disposizione di tutti, e in una cultura dell’empatia che, nonostante disagi e mancanze, resta un punto di forza, nelle corsie dei nostri ospedali.