Impagnatiello, dal ruolo di carnefice al tentativo di vittima: il ricorso che sfida la memoria di Giulia
Condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Tramontano, Alessandro Impagnatiello punta all’appello per cancellare premeditazione e crudeltà. Ma la giustizia riparativa può davvero essere concessa a chi ha pianificato e calcolato ogni dettaglio del delitto?

Neppure l’ergastolo ha fermato la recita.
Alessandro Impagnatiello non si è mai tolto il costume. Ha solo cambiato parte. Prima il compagno amorevole di Giulia Tramontano. Poi l’uomo pentito. Ora il carnefice che, in punta di diritto, prova a diventare vittima della sua stessa storia imbastendo il processo d’appello. E lo fa col mestiere di chi è abituato a modulare le espressioni, a dosare le parole, a scegliere con cura il volto da indossare.
Nel ricorso voluto dai suoi legali c’è tutto: la richiesta di far sparire la crudeltà, di cancellare la premeditazione, di concedergli le attenuanti generiche. E come se non bastasse, il tentativo estremo: accedere alla giustizia riparativa. Una parola che, nel suo caso, suona come un sanguinario ossimoro. Chi ha pianificato l’omicidio della madre di suo figlio, chi ha cercato veleni sotto falso nome, chi ha servito caffè al gusto di morte, non ripara, ma calcola. E chi calcola non si redime. Al massimo, contratta. La giustizia riparativa si trasforma in nel tentativo disperato di sembrare umano.
Il pentimento non si chiede. Si dimostra. E Impagnatiello non ha mai mostrato nulla, se non una lucida coerenza: quella del narcisista che vuole decidere anche come essere ricordato. La premeditazione non è un orario scritto su un atto. È il veleno nascosto. È la scelta di aspettare il momento giusto per uccidere, mentre intorno tutto continua come se niente fosse. La crudeltà non sta solo nelle 37 coltellate. Vive nei tentativi di lavare via il sangue, di bruciare il cadavere e nel desiderio di farlo sparire per sempre.
Dietro la richiesta delle attenuanti generiche non sembra esserci un uomo che si pente. Ma un uomo che negozia il suo castigo. Che gioca la carta del dolore non per rispetto verso chi ha distrutto, ma per ottenere un beneficio. L’accesso alla giustizia riparativa non può essere concesso a chi ha agito con freddezza e spietatezza. Non può essere aperto a chi ha gestito l’omicidio come una sceneggiatura, passo dopo passo. A chi ha indossato la maschera del compagno disperato dopo aver digitato per mesi “veleno per aborti” con dita sicure. Come ha detto Franco Tramontano, padre di Giulia: “Potrai fare ricorso in appello e in cassazione, potrai evitare l’ergastolo, ma ciò che non potrai evitare è essere ricordato per quello che sei: un vile assassino”.E per un narcisista patologico overt, non esiste condanna più devastante di questa.
Non l’isolamento. Non la cella.
Ma lo specchio della memoria pubblica che non riflette più l’uomo che voleva sembrare.
Solo quello che è. Un carnefice.