Il riarmo farà bene all’economia europea?
ReArm Europe, il piano per il riarmo europeo, prevede potenziali investimenti da 800 miliardi di euro. Ci saranno effetti benefici per l'economia europea? Numeri, commenti e analisi

ReArm Europe, il piano per il riarmo europeo, prevede potenziali investimenti da 800 miliardi di euro. Ci saranno effetti benefici per l’economia europea? Numeri, commenti e analisi
Aumento delle spese militari e revisione delle regole fiscali. In una parola, riarmo. Il summit straordinario del Consiglio europeo ha dato il via libera al piano della Commissione Ue per riarmare il Vecchio continente. L’ok è arrivato da tutti i 27, pur con alcune riflessioni ancora in corso. ReArm Europe, presentato da Ursula von der Leyen, prevede possibili investimenti dal valore complessivo di 800 miliardi di euro per i prossimi quattro anni. E lo fa grazie alla concessione di allentare le maglie del Patto di stabilità, dando la possibilità ai paesi europei di aumentare il proprio debito oltre le regole attuali, sbloccando così potenzialmente 650 miliardi di euro. Gli altri 150 miliardi della quota totale sono compresi in un fondo della Commissione, da cui le varie capitali potranno attingere, in prestito, per investire sulla difesa.
LE PRIME CONSEGUENZE DEL RIARMO EUROPEO
L’urgenza europea, dettata principalmente dalle mosse di Donald Trump, si scontra con i dubbi riguardo l’effettiva volontà del continente di mobilitare tali risorse. E riguardo gli effetti a cascata sull’economia europea. La prima conseguenza immediata – che in realtà sta avvenendo a fasi alterne già da alcuni mesi, da quando il nuovo presidente statunitense è stato eletto – è stato l’aumento in Borsa delle aziende europee della difesa.
LO STATO DELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA DIFESA
Ora, però, i produttori europei di armi sperano ci sia un cambio di approccio e una spinta allo sviluppo industriale del continente. Le importazioni della difesa provengono in gran parte dai paesi fuori l’Ue, per il 70%. Di queste, quelle provenienti dagli Stati Uniti la fanno da padrone, visto che sono pari al 55% delle importazioni tra il 2019 e il 2023, ha sottolineato oggi il Sole 24 Ore. Un dato emblematico di come l’Europa sia dipendente dalle aziende americane. Solo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina si è assistito a una crescita degli scambi intra-europei, che tra il 2011 e il 2021 erano costantemente calati, mentre dal 2022 ha iniziato ad aumentare, arrivando al 20% nel 2023.
I DUBBI SULLE RICADUTE ECONOMICHE
Come ricorda Reuters, però, non è detto – soprattutto all’inizio – che un aumento della spesa per la difesa possa significare una crescita generale dell’economia. Le spese militari, infatti, rispetto a quelle su infrastrutture civili, hanno, in linea di massima, ricadute diverse. In primis perché i tempi sono dilatati, il che rende necessario un costante flusso di finanziamenti negli anni, a prescindere da cambi di governo e del loro colore politico. Uno scenario non sempre scontato. E poi perché, vista la frammentazione delle industrie della difesa europee, non si hanno – a parte rari casi – colossi con dimensioni tali da massimizzare i vantaggi delle spese.
Rimane inoltre il dubbio sulle potenziali conseguenze di un aumento delle spese militari rispetto alle altre voci di bilancio, tra welfare, infrastrutture civili e transizioni verde. “Se parte della spesa per la difesa venisse finanziata tramite tagli da altre parti, potremmo addirittura assistere a una situazione in cui, almeno nel breve periodo, una maggiore spesa per la difesa avrebbe un moltiplicatore negativo”, ha detto il responsabile macroeconomico globale di Ing, Carsten Brzeski, citato da Reuters.
L’ATTENZIONE E I BENEFICI DELLA RICERCA SUL PIL
Ci sono però risvolti potenzialmente positivi. Il rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea premeva sull’importanza della ricerca e dell’innovazione nel settore della difesa, un settore in cui l’Europa spende neanche un decimo di quanto facciano gli Stati Uniti. Sulla base di questo, un rapporto del Kiel Institute ha rimarcato la necessità di una crescita delle spese nella ricerca e nello sviluppo militare, perché in prospettiva sul lungo periodo potrebbe portare a guadagni ingenti. Lo stesso report stima che un aumento della spesa per la difesa dal 2% al 3,5% del Pil avrebbe un costo di circa 300 miliardi di euro ogni anno, ma è una somma “che potrebbe generare una quantità simile di attività economica aggiuntiva”, afferma il presidente dell’istituto Moritz Schularick. Cioè un aumento del Pil tra lo 0,9% e l’1,5% all’anno.
LA SVOLTA TEDESCA E GLI IMPATTI SU ITALIA ED EUROPA
In tutto questo bisogna registrare la svolta della Germania. Prima paese frugale, ora ben contento di rivedere le regole fiscali per rafforzare la propria difesa. Il piano del prossimo cancelliere Friedrich Merz è di modificare il vincolo di bilancio per aumentare gli investimenti pubblici. Compresi quelli sulle armi. Se la spinta fiscale troverà riscontro nell’incremento della domanda interna tedesca, potrà avere ripercussioni importanti anche sull’Italia, che ha tante aziende integrate nel sistema tedesco. E il rafforzamento di campioni nazionali tedeschi potrebbe essere lo slancio per nuove collaborazioni e innovazioni interne all’Ue, spiegano i professori Donato Di Carlo e Marco Simoni sul Sole 24 Ore.
Intanto, Berlino e le sue aziende del settore della Difesa stanno riflettendo anche su altro. La crisi dell’industria automobilistica che colpisce particolarmente la Germania sta portando diverse compagnie a chiudere stabilimenti e poli industriali. Alcune aziende però hanno annunciato una loro riconversione nella produzione di equipaggiamenti e mezzi militari, dando di nuovo impulso all’economia del paese.