Il pasticcio dell’Europa, spiazzata da Trump sull’Ucraina
L’imbarazzante balbettio dell’Europa spiazzata dalla mossa, peraltro ampiamente annunciata in campagna elettorale, di Donald Trump dell’apertura alla Russia per concordare one to one un piano di pace che metta fine alla guerra in Ucraina, è la ciliegina amarognola sulla torta andata a male confezionata dei pasticcieri-pasticcioni di Bruxelles. I sepolcri imbiancati dell’Unione europea scoprono con […]

L’imbarazzante balbettio dell’Europa spiazzata dalla mossa, peraltro ampiamente annunciata in campagna elettorale, di Donald Trump dell’apertura alla Russia per concordare one to one un piano di pace che metta fine alla guerra in Ucraina, è la ciliegina amarognola sulla torta andata a male confezionata dei pasticcieri-pasticcioni di Bruxelles.
I sepolcri imbiancati dell’Unione europea scoprono con sgomento di aver pedissequamente servito, senza ottenere ricompense né politiche né economiche, gli interessi americani nei tre anni trascorsi dall’invasione russa dell’Ucraina; di essersi svenati, bruciando nel 2024 la bellezza di 326 miliardi di euro nella difesa (132 dei quali prodigati in armi e denaro all’Ucraina, gli Usa si sono fermati a 114 miliardi di aiuti), con un aumento del 30% rispetto al 2021. E c’è la previsione di accrescere la spesa militare di altri 100 miliardi di euro, entro il 2027, ossia entro dopodomani.
Zeklenski urla che non accetterà le decisioni assunte da Trump e Putin e reclama per l’Ucraina una sedia al tavolo dei negoziati di pace. Dimentica di aver escluso la Russia quando con Usa e Ue discettavano delle condizioni per far tacere le armi e Zelenski prometteva che Kiev non avrebbe mai accettato mutilazioni del suo territorio, salvo ammettere in seguito di non avere le forze per riconquistare le zone occupate dai russi, tantomeno per tornare ad innalzare la bandiera gialloblu sulla Crimea annessa da Mosca nel 2014.
Aumentare ancora la spesa in armamenti, portandola subito al 3% e in breve prospettiva al 5% del Pil nazionale, assecondando la perentoria richiesta del muscolarismo politico di Donald Trump. Ecco qua tutta la risposta articolata dal Vecchio Continente all’ukaze degli Usa.
Più armi, più missili, più bombe, più arei e più carri armati. Ma per adoperarle come e contro chi? Il sottinteso è chiaro. Contro la Russia, che secondo i cervelloni di Bruxelles continuerà a rappresentare l’unica minaccia ai sacri confini occidentali. Tanto più che Trump ha detto e ripetuto che l’Europa dovrà cavarsela da sola e che l’ombrello militare Usa sul Vecchio Continente (eredità della guerra fredda) verrà chiuso o almeno drasticamente ridotto.
È singolare che la sanguinosa e devastante lezione ucraina non abbia insegnato nulla ai cosiddetti governanti europei, prigionieri di uno schema mentale, abilmente fomentato e arricchito di fake news dalla propaganda filo-atlantista, che attribuisce a Putin (un fior di gaglioffo, un dittatore sanguinario) l’intenzione, una volta liquidata la pratica ucraina, di aggredire a mano armata uno dei Paesi confinanti, probabilmente i Baltici o, perché no, la Finlandia. Comunque un Paese che fa parte della Nato.
È noto che qualunque atto di ostilità nei confronti dei un Paese membro dell’Alleanza Atlantica, in base all’articolo 5 del Trattato, provocherebbe ipso facto la reazione dell’intera struttura militare della Nato, Stati Uniti in testa.
È realistico, o puramente logico, immaginare che Putin voglia scatenarsi in una impresa che porterebbe allo scoppio di una vera guerra, convenzionale o – chi può escluderlo? – nucleare nel cuore dell’Europa?
Macron aveva dichiarato di essere pronto a inviare soldati francesi a combattere in Ucraina e nel frattempo in Africa perdeva il controllo del Ciad e della Costa d’Avorio, storicamente legati alla Francia. La Germania di Scholz ha spedito a Kiev armi al marzo 2024 per un valore di 7 miliardi di euro. Armi non soltanto difensive. Oggi ha sospeso le forniture. L’Italia chissà quali armi (difensive? offensive?) sulle nostre forniture militari vige il segreto di Stato.
Boris Johnson, allora premier britannico, un mese dopo l’invasione russa – un mese, non un anno dopo – era piombato a Kiev inviato da Biden e aveva costretto Zelenski a rifiutare l’accordo già raggiunto con Putin, tramite la mediazione del presidente turco Erdogan, per il cessate il fuoco e l’avvio del negoziati di pace.
La guerra a Putin s’aveva da fare a tutti i costi, noi europei e gli americani, per servire gli interessi degli Usa a disarticolare la Russia a renderla docile e inoffensiva. Mentre l’Europa avrebbe dovuto coltivare interessi del tutto opposti: stringere accordi commerciali con Mosca, garantirsi le forniture energetiche a basso costo (il gas americano ci costa quattro volte tanto) interrotte dalle bombe e dal sabotaggio dell’oleodotto North Stream causato dagli ucraini con la copertura di Washington.
L’Europa aveva tutta la convenienza a rafforzare i legami con questo enorme Paese. La Russia è il più esteso al mondo, 17.0978.242 km2 e fra i meno popolati (circa 140 milioni di abitanti) in rapporto al territorio nazionale. Ha enormi risorse naturali e nessun bisogno di cercarle altrove. Qualcuno dovrebbe spiegarlo all’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e la sicurezza, l’estone Kaja Kallas, che vive nel terrore dell’invasione russa del suo Paese e fomenta la politica di riarmo dell’Unione anziché, come il suo ruolo le imporrebbe, esplorare vie diplomatiche per riaprire il dialogo con la Russia.
L’Europa farebbe bene a preoccuparsi di arginare la marea montante dei vari movimenti sovranisti e nazionalisti che guadagnano terreno e consensi dalla Francia, passando per la Germania (dove il 23 febbraio si andrà alle urne con l’incubo del previsto successo elettorale della destra di Adf).
Il successo prevedibile e previsto nei sondaggi dei movimenti di estrema destra è frutto anche delle politiche guerrafondaie di Bruxelles che hanno sottratto (e promettono di sottrarre ulteriormente) risorse preziose al welfare. Scuola e sanità pubbliche, lotta al cambiamento climatico (già uscito dall’agenda della Commissione presieduta da von der Leyen), politiche del lavoro, assistenza alle categorie più deboli. Nulla di questi argomenti sembrano interessare i capoccioni dell’Ue, intenti a scavarsi la fossa nella quale purtroppo saranno anche i popoli a precipitare rovinosamente negli anni a venire.