Il cardinale Német: "Missionario e poliglotta. Così è stato scelto Prevost"
L’arcivescovo di Belgrado: idee chiare già alle Congregazioni generali "Il presidente Trump proverà a prendersi il merito, è un uomo senza vergogna".

CITTà DEL VATICANO
"In Serbia si ama ripetere che dove si è in due vi sono quattro opinioni. Come dire, riuscire a mettere d’accordo 133 prelati sul Papa da eleggere era tutt’altro che facile. Ma quando si mette al lavoro lo Spirito Santo...". Ha la battuta pronta il cardinale Ladislav Német, 68 anni e una bonarietà che dispensa a piè mani ai pellegrini desiderosi di ricevere la sua benedizione prima d’incanalarsi sotto il Colonnato del Bernini e sgusciare fuori da una piazza San Pietro che ribolle di fedeli all’indomani del Conclave. "A me la chiedete, signori, la benedizione? Qui sotto la statua dell’Apostolo fa già tutto lui", sorride l’arcivescovo di Belgrado prima di avvicinarsi a una coppia di argentini e tracciare due segni della croce sopra le loro teste. Il semplice clergyman non è riuscito a mimetizzarlo fra la folla che adesso reclama selfie e preghiere. Lui si mostra a suo agio, non si sottrae. Nemmeno alle nostre domande.
Quattro scrutini e avete eletto Leone XIV, ma non doveva essere un lungo Conclave?
"Questo è quello che pensavano i giornalisti, gli influencer, i politici e altri".
Voi eravate tranquilli che sarebbe andata diversamente?
"Quando abbiamo iniziato il pre Conclave, ovvero le Congregazioni generali, si è visto subito che avevamo un’idea chiara di dove volevamo condurre la nostra Chiesa e su quali caratteristiche avrebbe dovuto avere il nuovo Pontefice. Quelle riunioni sono state decisive".
Chi cercavate come successore di Pietro?
"Un missionario, qualcuno che conoscesse la Chiesa universale, fosse un poliglotta e non avesse fatto esperienza solo in una diocesi o in un determinato ufficio".
Insomma, non il profilo del favorito della vigilia, Pietro Parolin... La vostra scelta è ricaduta sul meno statunitense degli statunitensi: Robert Prevost è uno yankee latinos?
"Non so se sia proprio così".
È stato missionario e vescovo a lungo in Perù.
"Vero, ma, prima di diventare priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, è stato provinciale a Chicago. Insomma, ha una pluralità d’identità culturali, quella personale è tutto un altro aspetto. Quanto a yankee...".
Che cosa?
"Beh, non userei quella parola. Ha un’accezione in sé per sé negativa".
Chi è allora Leone XIV?
"Un gentiluomo, che conosce il primo, il secondo e il terzo mondo. Ha lavorato come religioso e ha alle spalle delle esperienze molto vaste anche come generale degli agostiniani".
È già il Papa della pace, “disarmata e disarmante“ così come l’ha tratteggiata dal loggione centrale di San Pietro, presentandosi per la prima volta al mondo?
"Quello è stato un discorso incredibile e sorprendente. Ma è di questo che abbiamo bisogno, della pace, non della guerra e della corsa agli armamenti".
Può essere contento il presidente americano, Donald Trump, di avere un Pontefice statunitense del tipo di Prevost?
"Questo non lo so, di certo tra poco dirà che è grazie a lui se abbiamo un Papa americano".
Mente sapendo di mentire?
"Lui fa così, lo abbiamo già visto con quell’immagine in cui era vestito in talare bianca".
Cosa ha provato quando è circolato quel post?
"Vergogna, Trump è un uomo senza vergogna, un politico non molto sviluppato sotto il profilo culturale".
Leone XIV ha parlato anche di sinodalità. Si procede con questa eredità di Francesco?
"Sì, si va avanti".
Anche su riforme come il diaconato femminile?
"Si, senza escludere nessuno. Todos, todos".