Il business milionario dei vestiti usati: così gli abiti lasciati nei cassonetti della Caritas arricchiscono la Camorra
I cassonetti gialli che vediamo ogni giorno nelle nostre città, spesso contrassegnati dal logo Caritas, sembrano simboli di solidarietà. Ma dietro quella parvenza di beneficenza si nasconde un sistema altamente redditizio, dove i veri beneficiari sono aziende private – talvolta con legami alla criminalità organizzata – e non certo le persone in difficoltà. Secondo un’inchiesta...

I cassonetti gialli che vediamo ogni giorno nelle nostre città, spesso contrassegnati dal logo Caritas, sembrano simboli di solidarietà. Ma dietro quella parvenza di beneficenza si nasconde un sistema altamente redditizio, dove i veri beneficiari sono aziende private – talvolta con legami alla criminalità organizzata – e non certo le persone in difficoltà.
Secondo un’inchiesta condotta da Luigi Pelazza per Le Iene, i vestiti che pensiamo vadano ai bisognosi finiscono per generare un giro d’affari da circa 200 milioni di euro l’anno, di cui solo l’1% è realmente destinato a progetti solidali. Il resto ingrassa le casse di società private che pagano una piccola percentuale per utilizzare il marchio Caritas sui contenitori.
Dalla donazione alla vendita internazionale
Per dimostrare la traiettoria dei vestiti donati, la redazione ha nascosto un GPS all’interno di una borsa, depositata in un cassonetto a Milano. Dopo un primo passaggio in un deposito dell’hinterland, gli abiti sono stati trasportati fino alla provincia di Napoli, per poi arrivare, dopo un mese, in un’azienda a Maddaloni, in provincia di Caserta, che li rivende in tutto il mondo.
Il guadagno? Impressionante. I vestiti vengono acquistati a 40 centesimi al chilo e poi rivenduti a 3-5 euro. Un profitto superiore al 1.000%, completamente legale ma moralmente agghiacciante vista la natura caritatevole della raccolta.
Caritas e cooperative: poca trasparenza, troppi intermediari
Il presidente della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, ha ammesso che la loro organizzazione riceve tra i 300 e i 500mila euro all’anno da queste collaborazioni. Eppure, su 11mila tonnellate di vestiti raccolti, il ricavato stimato si aggira attorno ai 60 milioni di euro. Le cooperative sociali che gestiscono il sistema vendono a loro volta a società che, come rivelato nell’inchiesta, chiedono parte dei pagamenti in nero.
Anche la Direzione investigativa antimafia ha puntato i riflettori su queste realtà, rilevando collegamenti con la camorra. Le aziende coinvolte spesso non igienizzano i capi come previsto dalla normativa.
Il messaggio è chiaro: ciò che appare come un atto di generosità finisce per alimentare un circuito opaco, dove la solidarietà viene mercificata e il guadagno diventa l’unico vero obiettivo. Anche le raccolte promosse dai comuni sembrano rientrare nello stesso sistema. Chi dona, pensando di fare del bene, non immagina che il suo gesto possa arricchire la criminalità.
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Fonte: Le Iene
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