I dazi gelano l’economia mondiale per l’Italia Pil in frenata allo 0,7%

Idazi di Donald Trump, e la relativa esplosione di incertezza, cominciano a sottrarre decimi alla crescita globale. A misurare gli effetti di questi primi due convulsi mesi di disordine commerciale è l’Ocse, che nel nuovo quadro di previsione dà una generale sforbiciata alle aspettative di Pil a tutte le latitudini. Rispetto a dicembre, un’era politica […] L'articolo I dazi gelano l’economia mondiale per l’Italia Pil in frenata allo 0,7% proviene da Iusletter.

Mar 18, 2025 - 12:09
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I dazi gelano l’economia mondiale per l’Italia Pil in frenata allo 0,7%

Idazi di Donald Trump, e la relativa esplosione di incertezza, cominciano a sottrarre decimi alla crescita globale. A misurare gli effetti di questi primi due convulsi mesi di disordine commerciale è l’Ocse, che nel nuovo quadro di previsione dà una generale sforbiciata alle aspettative di Pil a tutte le latitudini. Rispetto a dicembre, un’era politica fa, la stima per l’economia mondiale scende di due decimi quest’anno, al 3,1%, e di tre il prossimo, al 3%; quella per l’Europa di tre decimi entrambi gli anni; quella per l’Italia di due decimi quest’anno, allo 0,7% – ben sotto l’1,2 che si attende il governo – , e di tre per il prossimo, allo 0,9%. A pagare di più però rispetto a dicembre sono il Messico, che perde oltre due punti pieni di Pil e ora viene indicato in recessione per il biennio, il Canada, quasi un punto e mezzo in meno, e gli stessi Stati Uniti, due decimi menoper questo 2025 e cinque per il 2026.È solo l’inizio però. I calcoli dell’Ocse considerano infatti i dazi già in vigore, cioè di fatto quelli imposti ai vicini Nordatlantici e alla Cina, non le “tariffe reciproche” che potrebbero colpire il mondo, Europa compresa, il 2 aprile. «Un’ulteriore frammentazione dell’economia globale è una preoccupazione chiave », si legge nel rapporto. Che fa una stima: se i dazi salissero di un altro 10% e i partner degli Stati Uniti rispondessero con ritorsioni reciproche, sparirebbero altri tre decimi di crescita globale nell’arco di tre anni, mentre l’inflazione aumenterebbe di quattro decimi.

«L’Italia è un grande esportatore, se il pianeta diventa più protezionista ovviamente ne soffrirà», ha detto il capo economista dell’Ocse Alvaro Santos Pereira. Anche nello scenario dell’escalation però, come in quello a “dazi correnti”, i Paesi dell’area nordamericana di libero scambio, Messico in primis, poi il Canada e gli stessi Stati Uniti, sarebbero i più colpiti sia nella crescita che nei prezzi. Più dell’Europa.

È la conferma che i dazi fanno male prima di tutto a chi li mette, cosa di cui sembrano rendersi sempre più conto anche cittadini, imprese e investitori americani. Ieri un significativo messaggio lo ha dato la Camera di commercio americana in Europa, ricordando (a Trump, senza citarlo) che la relazione commerciale tra Stati Uniti ed Europa è la «più reciprocamente benefica sulla Terra», ben al di là dei soli scambi di beni: l’economia transatlantica vale 9.500 miliardi di dollari, cifra in cui entrano anche lo scambio di servizi (a tutto favore degli Stati Uniti), gli investimenti bilaterali, i posti di lavoro creati, i rapporti infragruppo tra le società madre americane o europee e le loro controllate in Europa o negli Stati Uniti, le cui vendite “locali” superano di gran lunga il valore dei beni commerciati su cui si concentra l’accusa mossa da Trump alla Ue di “fregare” gli StatiUniti.

Almeno per ora però il presidente americano non sembra curarsi dei segnali d’allarme, neppure quelli che arrivano dall’interno, e ha anzi detto di essere disposto a tollerare una dose di danni collaterali. Quanti danni? Si capirà di più il 2 aprile, quello che lui ha definito il “giorno della liberazione”, ma su cui l’amministrazione – scriveBloomberg – starebbe ancora cercando la quadra. Intanto però Trump conferma la decisione dei dazi del 25% su acciaio e alluminio L’Europa aspetta l’apertura di un vero negoziato, tra ritorsioni annunciate e concessioni messe sul tavolo. Intanto ha lanciato un’indagine sul mercato dell’alluminio, per proteggere le aziende dall’ulteriore quota di importazioni a basso costo, in particolare cinesi, che potrebbero essere deviate verso le sue sponde dalle barriere di Trump.

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