Hitler suicida ottant’anni fa: così il dittatore distrusse il suo popolo
Il 30 aprile 1945, Adolf Hitler si spara in bocca togliendosi la vita, nell’ufficio del bunker sotterraneo di Berlino. Dal 3 febbraio il capo del nazismo è costretto a vivere sottoterra, nel rifugio antiaereo scavato nel giardino della cancelleria. Le ultime immagini di Hitler risalgono al 20 marzo 1945 quando decora con la Croce di […] L'articolo Hitler suicida ottant’anni fa: così il dittatore distrusse il suo popolo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Il 30 aprile 1945, Adolf Hitler si spara in bocca togliendosi la vita, nell’ufficio del bunker sotterraneo di Berlino. Dal 3 febbraio il capo del nazismo è costretto a vivere sottoterra, nel rifugio antiaereo scavato nel giardino della cancelleria. Le ultime immagini di Hitler risalgono al 20 marzo 1945 quando decora con la Croce di ferro venti ragazzini.
La Seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania, per volontà del suo capo, produce un bagno di sangue senza eguali nella storia dell’umanità strappando alla vita oltre 68 milioni di persone, il 64% civili. La furia distruttrice del nazismo si ritorce anche sul popolo tedesco che aveva osannato il suo dittatore. La Germania lascia sul terreno 7.418.000 di morti perdendo 5.318.000 di militari. Rispetto al 1939, muore quasi un tedesco su dieci. Non è certo sul peso di questo computo umano che il dittatore si toglie la vita. Il 28 aprile l’Armata rossa è a soli mille metri dal suo rifugio. L’atto suicida è soltanto la presa d’atto, fuori tempo massimo, della fine.
Se c’è un tratto che accomuna la condotta di Hitler nel corso del conflitto (in modo particolare dalla fine del 1941, con il preannunciarsi di uno scontro di lunga durata in territorio sovietico) è una visione bellica connaturata da un forte irrealismo unita a una spinta sterminatrice, acuitasi con lo stallo del conflitto in Russia. Non a caso, il 20 gennaio 1942 si dispone, nella conferenza di Wansee, l’attuazione del piano di eliminazione degli ebrei in Europa. L’apparato genocidario inficia l’efficacia della macchina bellica. Lo scacchiere militare è quasi sempre travisato dagli ufficiali nazisti sotto l’influsso di Hitler, salvo poche eccezioni, fra queste il generale Heinz Guderian.
Una costante dei dittatori (anche Stalin e Mussolini tra questi) è l’assoluta noncuranza per la vita dei propri uomini, preferiti cadaveri piuttosto che arresi o in ritirata. Hitler, più volte, ne dà una chiara dimostrazione come quando rifiuta di autorizzare la resa della Sesta armata a Stalingrado, lasciandola disintegrare dai sovietici.
Con i primi mesi del 1943 le prospettive di vittoria per i nazisti si sono esaurite. È in questo lasso di tempo, conclusosi nell’aprile 1945, che la vocazione suicida di Hitler si riversa ancora di più sul proprio popolo lasciandogli infliggere morte e umiliazioni. Da qui in poi, di fronte alla superiorità militare degli alleati, Hitler contrappone al nemico la sua visione di caduta eroica – come se il sangue versato andasse a futura gloria del suo popolo – anziché segnarne la decimazione. Un pensiero, figlio di una mitologia sacrificale, che già Hitler nel Mein Kampf esprime associando la morte in battaglia alla “forza creatrice”.
L’irrealismo del capo è comune anche ai più alti vertici nazisti: è il caso di Hermann Göring, successore designato nel giugno 1941, e di Heinrich Himmler, responsabile della polizia e comandante delle SS. Entrambi, negli ultimi giorni del conflitto, voltano le spalle a Hitler, illudendosi che possa ancora esistere uno stato nazista dopo la guerra. In questa ottica, scavalcando il capo, i due, ciascuno in autonomia, vorrebbero avviare separate negoziazioni con gli anglostatunitensi. I sibili delle cannonate sulle macerie di Berlino portano Hitler a valutare una pace separata addirittura con l’Unione Sovietica.
Come chi non accetta responsabilità nella sconfitta, Hitler sfoga la sua ira contro i generali, accusandoli di non avere seguito i suoi ordini, imputando semmai a se stesso di non avere effettuato una purga sui vertici militari, come a suo tempo aveva compiuto Stalin. Il 23 aprile 1945 Hitler assume il comando della difesa di Berlino, si illude che gli assalitori finiscano in trappola, nel quadro di un’operazione semplice che potrebbe concludersi in qualche giorno, ma le armate sono in dissoluzione. Il capo accampa un solo motivo: il tradimento.
Poco prima di morire, Hitler rivendica nel suo testamento politico lo sterminio degli ebrei raccomandando il mantenimento delle leggi razziali. In uno dei suoi incontrollati moti di rabbia, Hitler era arrivato a ritenere persino giusta l’estinzione dei tedeschi, nel momento in cui non si sono rivelati in grado di distruggere i nemici.
Poco prima di togliersi la vita, Hitler sposa Eva Braun (anche lei suicida con il marito) disponendo che il suo cadavere e quello della moglie siano inceneriti. I corpi sono portati nel giardino della cancelleria e dati alle fiamme nel pieno del bombardamento sovietico.
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