Gli Usa di Trump tra dazi, debito e debolezza del dollaro: la view di Ubs WM

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca sta imprimendo una nuova, netta svolta alla politica economica americana. A lanciare l’allarme — con un’analisi lucida e approfondita — è Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italia, che nel report settimanale “Dall’altra parte del tavolo” riflette sulle scelte strategiche dell’amministrazione repubblicana e sugli impatti globali.... Leggi tutto

Apr 30, 2025 - 09:35
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Gli Usa di Trump tra dazi, debito e debolezza del dollaro: la view di Ubs WM

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca sta imprimendo una nuova, netta svolta alla politica economica americana. A lanciare l’allarme — con un’analisi lucida e approfondita — è Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italia, che nel report settimanale “Dall’altra parte del tavolo” riflette sulle scelte strategiche dell’amministrazione repubblicana e sugli impatti globali.

“Per noi europei è difficile capire le ragioni del malcontento dell’elettorato americano che si cela dietro le drastiche ricette economiche annunciate dall’amministrazione Trump”, afferma Ramenghi. Una contraddizione apparente, visto che “dal 2010 allo scorso anno il PIL reale degli Stati Uniti è cresciuto mediamente del 2%, oltre il doppio rispetto allo 0,9% dell’eurozona”.

Dietro questa crescita, sottolinea l’analista, si cela una miscela esplosiva di “produttività, crescita demografica, investimenti in conto capitale” e, soprattutto, “forti stimoli monetari e fiscali” – come i 5000 miliardi di dollari mobilitati in risposta alla pandemia, “un multiplo rispetto al Recovery Fund europeo”.

Ma il prezzo si sta facendo sentire. Le finanze pubbliche americane si sono indebolite: “I disavanzi fiscali dal 2008 allo scorso anno sono stati mediamente del 6,3%, il doppio rispetto alla zona euro”, mentre “il rapporto debito/PIL ha raggiunto il 123%, il livello più alto dal 1946”.

Non solo. Anche la posizione patrimoniale netta verso l’estero è crollata: “Negli Stati Uniti è passata da marginalmente negativa alla fine del secolo scorso a un passivo di circa l’80% del PIL”, contro una posizione positiva dell’Italia, oltre il 12%.

Nonostante questi squilibri, i mercati hanno finora continuato a sostenere gli asset americani. Tuttavia, Ramenghi osserva che “a Washington sembra esserci una visione diversa” che spiega “la brusca accelerazione di Trump sui dazi, con la volontà di avere un dollaro debole e di tagliare in modo draconiano la spesa pubblica come promesso dal DOGE di Elon Musk”.

Il riferimento sarcastico a Musk — figura sempre più influente — introduce un’ulteriore dimensione politica, suggerendo che le scelte economiche di Trump siano anche mosse da logiche di potere e visioni geopolitiche nuove. “Oggi Trump e il partito repubblicano sembrano immaginare un sistema multipolare in cui diverse grandi potenze hanno aree d’influenza regionale”, scrive Ramenghi.

Le conseguenze potrebbero essere gravi: “I dazi potrebbero avere un impatto negativo sulla crescita a lungo termine degli Stati Uniti, interrompendo i flussi commerciali e scoraggiando gli investimenti”. Le multinazionali si troverebbero a fare i conti con “costi più elevati” e un’erosione del vantaggio competitivo.

Intanto, anche gli indicatori di mercato iniziano a riflettere il nuovo scenario. “Da inizio anno le azioni statunitensi hanno sottoperformato quelle del resto del mondo e fatto peggio di quelle europee di oltre 12 punti percentuali”, scrive Ramenghi, precisando che “un evento del genere è capitato di rado”.

Non tutto è perduto: le dimensioni dell’economia americana e la forza delle sue multinazionali restano un punto di riferimento. “Il mercato azionario americano potrebbe offrire buone opportunità di recupero, specie su temi di lungo termine come intelligenza artificiale, elettrificazione e longevità”, osserva l’esperto.

Anche sul fronte obbligazionario ci sono aperture: “Le obbligazioni di buona qualità ci sembrano interessanti in considerazione dei rendimenti relativamente elevati e della stabilità che possono offrire ai portafogli”.

Infine, una riflessione sulla politica monetaria: “La Banca centrale europea ha una governance più complessa e uno statuto più concentrato sull’inflazione, che fanno sì che non sia tra le più reattive; per questo il dollaro potrebbe rimanere debole, soprattutto se si rafforzassero le voci, per ora mai confermate, relative a un accordo di Mar-a-Lago per svalutarlo”.

In uno scenario così incerto, conclude Ramenghi, “la domanda di oro da parte delle banche centrali e degli investitori privati dovrebbe rimanere elevata”, segnale classico di una fase di transizione e instabilità.