Gianni Amelio: "Ottant’anni di tenerezza: ho imparato ad amare"
Il grande cineasta festeggiato a Rimini con il premio “Cinema e industria“ "Che fare per la nostra arte? Sono d’accordo con Avati: sul ministero e sulla libertà".

Ottant’anni compiuti lo scorso gennaio: "È un’età molto bella, in cui non hai niente da dimostrare. O lo hai dimostrato prima, oppure ti metti l’animo in pace. Ma soprattutto, è un’età in cui si è più comprensivi verso gli altri. Se ho imparato qualcosa, è ad amare le persone". È sereno, si sente leggero, libero Gianni Amelio. Parla senza remore: di diritti civili, del nuovo papa, e del presente del cinema italiano. Un cinema al quale ha dato moltissimo. Più di cinquant’anni di lavori per la tv e per il grande schermo. Di storie raccontate con uno sguardo intimo, profondo, mai banale. Film come Il ladro di bambini, Lamerica, Hammamet, La tenerezza, Così ridevano, Campo di battaglia hanno sempre trovato un angolo inedito dal quale guardare le cose.
In una carriera lunga mezzo secolo, Amelio ha vinto tre volte l’Efa, il massimo riconoscimento europeo; il Leone d’oro a Venezia, per Così ridevano. Il Globo d’oro alla carriera, tre David di Donatello, otto Nastri d’argento. Stasera riceverà, a Rimini, il premio Cinema e industria, istituito da Confindustria Romagna. È lui l’ospite d’onore del festival “La settima arte“ diretto da Roy Menarini.
Amelio, prima di tutto, che cosa rappresenta per lei questo premio?
"È un premio che lega cinema e industria, ed è un concetto fondamentale: il cinema è arte, ma è anche un prodotto industriale. In America lo sanno da sempre, in Italia spesso lo si dimentica. Se si separano le due cose, si commette un errore irreparabile".
C’è un suo film al quale si sente più legato?
"I due film più amati dal pubblico sono Il ladro di bambini e Hammamet. Ma c’è un altro film che amo, che mi racconta: Lamerica. Un film che parla di tutte le migrazioni del passato. Io faccio parte di una famiglia di migranti da generazioni: mio nonno, mio padre, mio zio sono emigrati in Argentina. Mio padre se ne è andato quando ero piccolo, ha lavorato fra Buenos Aires e Rosario; è tornato quando io avevo quindici anni".
In questi giorni inevitabile chiederglielo: quali sono le sue prime impressioni sul nuovo papa?
"Mi ha molto colpito il fatto che le ultime parole di papa Francesco e le prime di papa Leone XIV siano state identiche: un appello alla pace. È questa la priorità del nostro tempo. Penso a Gaza, all’ Ucraina, ma anche all’India, all’Africa. Il nuovo papa mi ha colpito anche per un altro aspetto…".
Quale?
"Ho visto una foto di lui, ragazzo. Assomiglia in modo incredibile al protagonista del mio primo film, La fine del gioco. Ho ritrovato in lui lo sguardo di quel bambino calabrese! In quella foto percepisco la stessa carica umana di papa Francesco".
Che rapporto ha con la fede? "Sono profondissimamente cristiano, ma in modo tutto mio. Considero Cristo il più grande filosofo della Storia, il pensatore più illuminato da quando è nato l’uomo. Ammiro il suo insegnamento umano, proprio quello che viene calpestato tutti i giorni".
Negli ultimi anni il dibattito nella Chiesa si è focalizzato sulla apertura alle coppie omosessuali. Che cosa ne pensa? "Credo che certe cose vadano gestite prima dagli Stati, senza pretendere la benedizione ecclesiale. Secondo il mio modesto avviso, affinché la Chiesa si liberi di certi pregiudizi ci vuole tempo".
Lo Stato che cosa dovrebbe fare?
"In Italia siamo in ritardo rispetto ad altre nazioni. È vero che sono state riconosciute le unioni civili. Ma la verità è che adozioni e matrimoni fra due donne o fra due uomini fanno ancora scandalo".
Le adozioni sono difficili anche per le coppie eterosessuali.
"È vero, si impiegano degli anni: magari incontrano un bambino di pochi mesi e lo possono adottare quando ha dieci anni. Ma cosa vogliamo, che vivano negli orfanotrofi? Quello delle adozioni è un problema che riguarda tutti".
Il trionfo di Vermiglio ai David che effetto le fa?
"Lo reputo un film bellissimo, sono felice. Credo che ci sia un cinema italiano con uno sguardo coraggioso, penetrante: penso a Maura Delpero, ma anche a Francesco Costabile, l’autore di Familia, o a Laura Samani di Piccolo corpo".
Pupi Avati ha sollecitato la politica a sostenere di più il cinema italiano. Che ne pensa?
"Ha detto cose molto chiare e condivisibili. Mi sembra giusto che invochi un ministero del cinema, e che spinga la politica a sostenere la libertà della creazione cinematografica".
Ultima cosa. A quando il prossimo film?
"Sto scrivendo un film che spero di poter girare entro la fine dell’anno".