Food delivery, ecco le ipotesi di contratto per i rider. Parla Turi (Nidil Cgil)
"Una delle ipotesi su cui lavoriamo con Assodelivery per i rider è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla partita IVA”, spiega Roberta Turi, Segreteria Nidil CGIL Nazionale, in una conversazione con Start Magazine

“Una delle ipotesi su cui lavoriamo con Assodelivery per i rider è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla partita Iva”, spiega Roberta Turi, Segreteria Nidil Cgil, in una conversazione con Start Magazine
Il food delivery è solo la punta dell’iceberg dell’on demand economy. La gig economy comprende una larga platea di lavoratori, che fino a pochi anni fa non possedevano una coscienza di classe. Un gap che ha impedito ai rider di definire meglio la loro posizione contrattuale e di bilanciare flessibilità e diritti. Tuttavia, negli ultimi anni questi lavoratori stanno utilizzando canali social per confrontarsi e coordinarsi collettivamente, aderendo anche alle organizzazioni di categoria. “
Dal 2017, abbiamo iniziato a intercettare questi lavoratori, portando avanti azioni legali. Una delle ipotesi su cui lavoriamo con Assodelivery è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla partita Iva”, spiega Roberta Turi, segreteria Nidil Cgil. Cosa chiedono questi lavoratori? Un salario più alto (72%), maggiori garanzie e tutele (40%), più stabilità e supporto (30%), secondo una recente indagine condotta dal sindacato. Un panorama che potrebbe cambiare ancora, se il fondo di investimento olandese Prosus riuscirà ad acquistare Just Eat per 4,1 miliardi di euro. Infatti, l’operazione potrebbe avere un impatto significativo sul settore del food delivery in Italia.
Quali sono le principali sfide che pone la “on demand economy” al mondo del lavoro e alle organizzazioni sindacali? Come le state affrontando?
La Cgil sta investendo molte risorse in questo settore perché riteniamo essenziale tutelare i lavoratori delle piattaforme digitali. Questo tipo di economia sta crescendo rapidamente e coinvolge già decine di migliaia di persone. Tuttavia, la sindacalizzazione è ancora bassa, soprattutto perché molti sono inquadrati come lavoratori autonomi e non sanno di poter contare su un sindacato. Inoltre, molti di loro hanno più lavori part-time.
Il food delivery è un settore nuovo e i rider sfuggono spesso agli schemi tradizionali della rappresentanza dei lavoratori. Come state affrontando questo tema? Sono emerse delle “best practices”? È in programma un nuovo contratto collettivo tra l’associazione delle piattaforme AssoDelivery e i sindacati che rappresentano i lavoratori atipici?
Il food delivery è solo la punta dell’iceberg. I rider sono i lavoratori più visibili della gig economy e attirano l’attenzione non solo del sindacato, ma anche dei media. Tuttavia, il problema riguarda un numero molto più ampio di lavoratori della on-demand economy, che per anni si sono organizzati autonomamente perché esclusi dai modelli tradizionali di rappresentanza. Negli ultimi anni, qualcosa sta cambiando. I rider, ad esempio, utilizzano canali social per confrontarsi e coordinarsi collettivamente. Dal 2017, abbiamo iniziato a intercettare questi lavoratori, portando avanti azioni legali per definire meglio la loro posizione contrattuale e bilanciare flessibilità e diritti. Un risultato significativo è stato l’accordo collettivo ottenuto dopo una causa contro Uber Eats, che ha garantito tutele a migliaia di lavoratori licenziati dall’azienda. Questo successo ha spinto molti altri rider a unirsi al sindacato. Attualmente, stiamo conducendo un’indagine sulle condizioni di lavoro nel settore e proponendo un questionario ai rider autonomi. L’obiettivo è raccogliere dati utili per costruire una nuova piattaforma sindacale in grado di rispondere meglio alle loro esigenze.
Cosa sta emergendo dal questionario?
Dal questionario emerge che la priorità principale per i lavoratori è un salario più alto, richiesto dal 72% degli intervistati. Oltre il 40% chiede anche garanzie su un minimo di ore lavorative e tutele come malattia, ferie e maternità pagate. Infine, il 30% desidera maggiore stabilità, più supporto e la possibilità di accedere agli slot orari senza subire penalizzazioni.
A proposito di penalizzazione, quanto impatta l’algoritmo?
Glovo utilizza un sistema di punteggio basato su un algoritmo che valuta diversi parametri di performance. I rider con un ranking più alto hanno accesso prioritario ai calendari e possono prenotare le ore di lavoro settimanali, garantendosi così una maggiore continuità di ordini. Tuttavia, chi ha un punteggio basso rischia di non riuscire a lavorare. Deliveroo, invece, afferma di non operare discriminazioni attraverso l’algoritmo. La piattaforma funziona con un sistema di free login, senza la necessità di prenotare turni in anticipo: i rider possono ricevere ordini dal momento in cui si collegano all’app. Questo modello, teoricamente più flessibile, punta a ottimizzare l’efficienza delle consegne, ma non offre garanzie sui volumi di lavoro.
I rider chiedono più diritti ma sembrano anche molto legati alla flessibilità e all’autonomia. Cosa ne pensa?
La maggior parte dei rider svolge questo lavoro perché non ha trovato alternative. Lo dimostra il calo degli studenti nel settore e l’aumento di migranti e lavoratori espulsi dal mercato del lavoro tradizionale. Molti scelgono la flessibilità non per convenienza, ma per necessità: i migranti hanno esigenze specifiche, come il bisogno di tornare a casa, mentre molti italiani fanno 3 o 4 lavori per sopravvivere, segno del dilagare del lavoro povero. Ci sono anche pensionati in difficoltà economica che si dedicano a questa attività. Alcuni lavoratori preferiscono la partita IVA perché per anni lo Stato l’ha incentivata con misure come il regime forfettario. Tuttavia, questa tendenza avrà conseguenze sul sistema di welfare e sulle pensioni future, poiché sempre più lavoratori non versano contributi adeguati. La vera domanda è: quale futuro vogliamo costruire per la collettività?
Quali sono i principali temi ancora da affrontare sul fronte dei diritti dei rider? C’è unità sindacale? Ci sono differenze? C’è partecipazione dei lavoratori alle assemblee?
Assodelivery ci ha contattato per avviare un confronto su un possibile accordo che garantisca più diritti ai rider. Stiamo valutando la tipologia di rapporto di lavoro che possa mantenere l’autonomia, ma con maggiori tutele sociali. Una delle ipotesi su cui lavoriamo è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla partita Iva. Per coinvolgere direttamente i rider, stiamo organizzando assemblee sindacali e proponendo alternative concrete. Per noi è fondamentale che i lavoratori siano rappresentati anche ai tavoli di trattativa. Di recente, le piattaforme di food delivery hanno risposto positivamente a una nostra richiesta e hanno attivato una bacheca sindacale elettronica, attraverso la quale i rider sono stati informati su un calendario di assemblee. Abbiamo già svolto la prima assemblea a Firenze, dove è stata aperta una Casa dei Rider, con la partecipazione di circa 40 lavoratori. Una volta concluso questo primo ciclo di incontri, ci confronteremo con gli altri sindacati per definire proposte concrete su salario, tipologia contrattuale, trasparenza degli algoritmi e pagamento del tempo di attesa.
Immaginare di ottenere un contratto nazionale di lavoro subordinato è irrealistico?
Finora, Assodelivery ha sempre rifiutato l’ipotesi di un contratto di lavoro subordinato per i rider. Per questo motivo, stiamo valutando soluzioni alternative, tenendo conto della direttiva UE, che l’Italia dovrà recepire entro il 2026. È fondamentale sottolineare che un contratto di lavoro subordinato non escluderebbe la possibilità di garantire una certa flessibilità ai lavoratori. Una delle nostre principali preoccupazioni è evitare che, nel caso di un nuovo accordo, si creino forme di dumping economico che mettano a rischio le condizioni contrattuali dei lavoratori subordinati del settore, in particolare quelli di Just Eat, inquadrati con il contratto collettivo nazionale della logistica. Just Eat è attualmente l’unica grande azienda del settore ad applicare ai rider un contratto collettivo nazionale di lavoro subordinato, rinnovato di recente.
Il fondo di investimento olandese Prosus ha messo sul piatto 4,1 miliardi di euro per comprare Just Eat, ex startup del food delivery, in forte crisi da parecchio tempo. Quale conseguenze avrebbe questa operazione, se andasse in porto? Rimescolerebbe lo scenario italiano del delivery?
Non è semplice prevedere quali conseguenze avrà l’acquisizione da parte del fondo olandese Prosus, ma potrebbe avere un impatto significativo sul settore del food delivery in Italia. Per questo motivo, la FILT-CGIL, che rappresenta i rider di Just Eat, ha chiesto subito un incontro con l’azienda per discutere le possibili implicazioni dell’operazione. Intanto, i segnali dalla borsa sono stati positivi.