Fast fashion: prezzi stracciati, ma a quale costo? Temu fattura 50 miliardi: chi ci guadagna davvero?
Lo sappiamo ormai bene: quelle aziende cinesi sembrano nascere dal nulla e in pochissimo tempo sbancano e registrano fatturati da capogiro. È stato il caso di Shein, ora è la volta di Temu, la piattaforma di shopping online sbarcata in Italia nell’aprile 2023 e dai 90 milioni di utenti solo in Europa. Nonostante la giovane...

Lo sappiamo ormai bene: quelle aziende cinesi sembrano nascere dal nulla e in pochissimo tempo sbancano e registrano fatturati da capogiro. È stato il caso di Shein, ora è la volta di Temu, la piattaforma di shopping online sbarcata in Italia nell’aprile 2023 e dai 90 milioni di utenti solo in Europa.
Nonostante la giovane età, insomma, anche Temu è diventato un autentico colosso dell’e-commerce che ha già superato i 50 miliardi di euro di fatturato, vendendo di tutto e a prezzi super stracciati, dagli accessori tech all’abbigliamento, dai cosmetici ai mobili. Ma dietro ai prezzi bassissimi, c’è sempre qualcuno che paga il conto e qualcuno che incassa cifre a svariati zeri.
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Ne fanno il punto Milena Gabanelli e Mario Gerevini nell’inserto del Corriere della Sera DATAROOM.
L’indagine dell’Unione Europea
Temu è finita sotto la lente dell’Ue per presunte violazioni delle norme a tutela dei consumatori. Bruxelles accusa la piattaforma di non fare abbastanza per bloccare la vendita di prodotti pericolosi o illegali. Se riconosciuta colpevole, rischia una maxi-multa fino al 6% del fatturato globale.
I numeri del commercio online parlano chiaro: nel 2024 sono stati importati nell’Unione 4,6 miliardi di prodotti di basso valore (meno di 150 euro), quasi il doppio rispetto al 2023. Nove pacchi su dieci provengono dalla Cina, e nel 2023 sono stati sequestrati 17,5 milioni di articoli contraffatti.
La Unione europea ora sta valutando di eliminare l’esenzione fiscale per i pacchi sotto i 150 euro, introducendo una tassa di gestione per coprire i controlli doganali.
Chi incassa i profitti?
E qui arriva il punto cruciale: dove finiscono i soldi di Temu?
Come spiega Milena Gabanelli, la società che controlla la piattaforma è PDD Holdings, ufficialmente registrata a Dublino, con sede centrale a Shanghai e sede legale e fiscale alle Isole Cayman. Non a caso, è quotata al Nasdaq di Wall Street con una capitalizzazione di circa 170 miliardi di dollari, più di Nike e quasi quanto Inditex (la holding di Zara).
A capo di questo impero c’è Colin Zheng Huang, ex ingegnere di Google e oggi tra gli uomini più ricchi della Cina. E dove finisce la sua parte di guadagni? Nei conti di tre finanziarie (Walnut Street ltd, Walnut Management ltd, Steam Water ltd) e in un trust di famiglia, tutti domiciliati alle Isole Vergini Britanniche, un noto paradiso fiscale. Risultato? Profitti miliardari esentasse.
Secondo le ricostruzioni, Huang controlla il 34,6% delle azioni di PDD Holdings e il 60% dei diritti di voto, il che significa che il suo patrimonio personale supera oggi i 60 miliardi di dollari, ben oltre i 43 miliardi stimati da Forbes.
Temu, TikTok e Shein: lo stesso schema fiscale
Non è un caso isolato: Temu, TikTok e Shein condividono lo stesso fiscalista e la stessa strategia di ottimizzazione fiscale. I tre fondatori – Colin Huang (Temu), Zhang Yiming (TikTok) e Xu Yangtian (Shein) – hanno stabilito la gestione delle loro finanze nello stesso ufficio a Cayman.
Il bilancio di PDD Holdings lo conferma chiaramente:
Le Isole Cayman attualmente non riscuotono tasse su individui o società in base a profitti, redditi o guadagni.
Il meccanismo è semplice: Temu vende prodotti di aziende cinesi spesso sconosciute e talvolta non conformi alle normative europee, i consumatori occidentali li acquistano attirati dai prezzi bassi, mentre i profitti finiscono nei paradisi fiscali, al riparo dalle imposte.
Chi paga il vero costo?
Mentre colossi come Temu prosperano, le aziende europee che rispettano le normative e pagano le tasse subiscono la concorrenza sleale. Il dumping commerciale e fiscale sottrae ricavi ai produttori onesti e mina il mercato interno, senza contare l’impatto ambientale e sociale di un’economia basata su prodotti usa e getta, spesso difficili da smaltire.
Temu è solo l’ultimo tassello di un sistema ben collaudato che sposta ricchezze colossali verso mete esentasse. E alla fine, a pagare il conto, sono i consumatori, le imprese locali e l’intero ecosistema economico.
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