Economia Usa in frenata: la Fed lancia l’allarme “Trumpcession”
La Fed di Atlanta prevede nel primo trimestre un calo dell’attivitàeconomica del 2,8%. Trump parla di un prevedibile “periodo ditransizione” dell’economia. Morgan Stanley si aspetta da qui a finegiugno un calo dell’S&P500 del 5%

Donald Trump non esclude la possibilità di una recessione per
l’economia americana. In un’intervista rilasciata nelle ultime ore a Fox
News il presidente Usa ha parlato di un prevedibile “periodo di
transizione” dell’economia. Trump non ha escluso che i dazi
potrebbero aumentare e ha dichiarato: “Quello che stiamo realizzando ha
una portata enorme: stiamo riportando ricchezza in America e per fare
questo ci vuole tempo”.
Nelle ultime ore nelle sale operative e tra gli economisti è iniziata a circolare una nuova espressione: “Trumpcession”. Una parola che indicherebbe proprio l’arrivo imminente di una recessione negli Stati Uniti. A rilanciare questa possibilità è stata la Fed di Atlanta, che nelle sue proiezioni sul Pil ha previsto un calo dell’attività economica nel primo trimestre nell’ordine del 2,8%. Va detto che il GDPNow, l’indicatore economico della Fed di Atlanta che ha stimato il fortissimo calo del Pil, è estremamente volatile, ma tanto è bastato ad allarmare la comunità finanziaria in questa fase di surriscaldamento della guerra commerciale internazionale.
La volatilità dei mercati globali e le turbolenze geopolitiche innescate dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca hanno portato ad un forte aumento della volatilità sui mercati finanziari. Fra gli economisti è partito il confronto delle posizioni su dove è indirizzata l’economia Usa.
“Non credo che si parlerà di recessione negli Stati Uniti. L'economia statunitense è resistente, direi, nonostante Donald Trump”, ha dichiarato lunedì alla Cnbc Holger Schmieding, capo economista della Berenberg Bank.
Dopo avere definito Trump un “agente del caos e della confusione”, Schmieding ha affermato che “lo zigzagare del presidente su dazi dimostra che non ha la minima idea delle potenziali conseguenze delle sue politiche tariffarie”. Tuttavia, “i consumatori statunitensi hanno denaro da spendere e probabilmente lo faranno”.
L’economista di Berenberg osserva che il mercato del lavoro negli Stati Uniti rimane ragionevolmente solido e afferma: “Con i prezzi dell'energia che scendono e probabili tagli alle tasse in arrivo, oltre a un po’ di deregolamentazione, non credo che ci sia un rischio imminente di recessione”.
Le preoccupazioni di Schmieding non sono per i prossimi 12 mesi, ma quello che succederà negli anni successivi. “Ciò che sta diventando sempre più chiaro nel lungo periodo – ha detto l’economista di Berenberg - è che Trump sta danneggiando la crescita tendenziale degli Stati Uniti, cioè la crescita negli anni successivi al 2026. Inoltre, è a favore di un aumento dei prezzi per i consumatori statunitensi, il che significa, a mio avviso, che la Fed non ha motivo di tagliare i tassi con Trump che dalla Casa Bianca semina caos e confusione”.
Ma non tutti gli strategist sono così tranquilli su quello che ci aspetta nei prossimi 12 mesi.
Ad esempio, Michael Wilson di Morgan Stanley dice che l'S&P 500 scenderà del 5% (fino a 5.500 punti) nella prima metà dell'anno per il prevedibile rallentamento degli utili societari a causa dei dazi e della contrazione della spesa pubblica Usa.
Wilson si aspetta che nella seconda metà dell’anno l’indice rimbalzi fino a 6.500 punti, ma “il percorso sarà probabilmente volatile, poiché il mercato continua a contemplare questi rischi per la crescita, che potrebbero peggiorare prima di migliorare”, si legge in un report dell’economista citato da Blooomberg.
Anche altre grandi istituzioni finanziarie, tra e quali JP Morgan e RBC Capital Markets, hanno corretto le precedenti previsioni rialziste per il 2025, poiché i dazi del presidente Donald Trump alimentano i timori di un rallentamento della crescita economica. Dall’inizio dell’anno l'S&P 500 è sceso di circa il 2%, con gli investitori che hanno messo in discussione le alte valutazioni del settore tech.
Sebbene nessuno degli economisti abbia ancora ridotto i propri obiettivi di fine anno, si avverte un crescente senso di incertezza a sole tre settimane dal record storico dell'S&P 500. Secondo un'analisi di Piper Sandler, storicamente il consensus degli strategist (la media dei loro obiettivi) è sempre in ritardo di circa 60 giorni rispetto ai movimenti effettivi del mercato.
Wilson ha detto che l'S&P 500 potrebbe scendere del 20% con la probabilità di una recessione. “Non siamo ancora a quel punto, ma le cose possono cambiare rapidamente e quindi è utile riconoscere il ribasso nel caso dell'Orso per gestire il proprio rischio”, ha detto l’economista di Morgan Stanley.
Dall’altra parte c’è chi considera un fatto positivo il calo controllato della Borsa americana. Charlie McElligott, strategist cross-asset di Nomura Securities, vede diminuire le probabilità di un crollo del mercato dopo la moderata flessione registrata finora dall'indice S&P 500.