Ecco cosa rivela l’autobiografia di Papa Francesco | L’analisi del vaticanista Carlo Di Cicco
Ripubblichiamo l’analisi che il vaticanista Carlo Di Cicco (scomparso un anno fa) aveva scritto per noi. Un testo datato marzo 2024. Di Cicco è stato vice direttore dell’Osservatore Romano. Se si legge partendo dalla fine arrivando a leggere da ultimo il primo capitolo di “Life- La mia storia nella storia” giunto in libreria come autobiografia […] L'articolo Ecco cosa rivela l’autobiografia di Papa Francesco | L’analisi del vaticanista Carlo Di Cicco proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Ripubblichiamo l’analisi che il vaticanista Carlo Di Cicco (scomparso un anno fa) aveva scritto per noi. Un testo datato marzo 2024. Di Cicco è stato vice direttore dell’Osservatore Romano.
Se si legge partendo dalla fine arrivando a leggere da ultimo il primo capitolo di “Life- La mia storia nella storia” giunto in libreria come autobiografia di papa Francesco, si prova la sensazione di scoprire una persona di umanità intensa, con qualcosa, tuttavia, che lo rende significativo e importante in questo secolo tra passato e futuro del mondo, dove gli uomini trascorrono molto tempo a farsi del male.
Francesco, invece, è vissuto buona parte della sua vita impegnandola a fare del bene nel quotidiano, senza attendere momenti straordinari per accorgersi del prossimo. E questo vivere dimesso lo ha reso un po’ alieno e insieme tanto attraente poiché il suo essere e il suo fare interrogano le coscienze. In qualche modo si ha l’indefinita sensazione che – in tempi calamitosi di passaggio a un’epoca di rottura antropologica nella quale l’uomo rischia di non essere più il costruttore della sua fortuna – sia stato mandato da Dio come un samaritano vivente per risvegliare la sua Chiesa a farsi “ospedale da campo” entro la storia presente sul filo dell’autodistruzione.
La sua narrazione biografica in realtà è piuttosto un pensiero sull’oggi alla luce di fatti, attese, percorsi di ieri, rivisitati con lo sguardo al futuro. “Se fossi andato dietro a tutte le cose dette e scritte su di me, – spiega – non avrei avuto più tempo per far nulla e avrei avuto bisogno di un consulto dallo psicologo una volta alla settimana! Comunque avevo letto da qualche parte quell’affermazione, “Francesco sta distruggendo il papato”, e oggi cosa posso dire? Che la mia vocazione è quella sacerdotale: prima di tutto sono un prete, sono un pastore, e i pastori devono stare in mezzo alle persone, parlare con loro, dialogare, ascoltarle, sorreggerle, e vegliare su di esse. Oggi non è più giusto creare distanze, Gesù non stava al di sopra del popolo, era parte del popolo e camminava insieme ad esso”.
Parole che richiamano alla mente Giovanni XXIII, ricordato dalla gente come il “papa buono”, il quale confidò una volta che se si fosse chinato ogni volta a raccogliere le pietre malevoli scagliate alle sue spalle, non si sarebbe mai potuto rialzare. L’autobiografia di Francesco è coraggiosa perché umana, spoglia di miracolismo su cui una certa mentalità clericale e non solo, fonda il proprio carisma.
La sua vita, – dall’infanzia a successore di Pietro – il papa la ricorda con un racconto personale di sé, nel contesto sempre presente di significative tappe storiche dell’ultimo secolo che hanno segnato un lento e progressivo tramonto della leadership dell’Occidente caduto in confusione crescente rispetto alla propria anima umanistica e al clamore dei popoli e delle culture che chiedono pari diritti e dignità. Francesco si è fatto portavoce dei poveri considerandoli fratelli degni di sedere allo stesso tavolo dove si prendono decisioni che riguardano tutti.
Se questo vale come richiamo e stimolo per gli organismi politici internazionali e i governi nazionali, l’agire di Francesco per la Chiesa significa urgenza di un risveglio evangelico. La Chiesa di Francesco da ospite del salotto buono è richiamata a farsi “ospedale da campo” per ogni genere di sofferenti, esclusi, fragili. Una Chiesa verso il riequilibrio di responsabilità tra donne e uomini, clero e laicato. Più sensibile a spendersi per il Regno di Dio e la sua giustizia.
In quest’ottica appare centrale nel racconto biografico il capitolo XII riservato a chiarire il suo rapporto con Benedetto che con la rinuncia lo aveva posto nell’inedita convivenza con un papa emerito. In assenza di una normativa canonica, questo “unicum” storico è stato sfruttato alla grande da nostalgici e avversari del cambiamento. Bergoglio per evitare analogo disquisire precisa che, qualora si creassero le condizioni sanitarie di una sua rinuncia, egli diventerà “vescovo emerito di Roma” anziché papa emerito e risiederà come semplice confessore nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Il titolo del capitolo XII è “Le dimissioni di Benedetto XVI”.
Non a caso, pur considerando gli altri tredici capitoli, lo ritengo lo snodo centrale dell’autobiografia bergogliana. Mi pare sia lì la chiave di lettura autentica del protagonista della Leife narrata. Il confronto, quasi mai disinteressato e oggettivo, tra i fan di Benedetto e di Francesco ha, infatti, rappresentato una delle spine più dolorose per papa Francesco chiamato fin dalla sua elezione a imprimere uno slancio deciso e complessivo alla Chiesa nel solco di un’azione riformatrice già inaugurata da Ratzinger. Il dualismo fittizio – accreditato nella narrazione mediatica – tra Francesco e Benedetto poteva diventare una vera pietra d’inciampo, pericolosa per l’unità della fede cristiana, in un momento di caos mondiale guerresco. Il racconto di Francesco si dipana intorno ad alcuni snodi del Novecento fino all’oggi contemporaneo.
La seconda guerra mondiale culminata nel fungo devastante della Bomba di Hiroshima e Nagasaki; la nascita dell’Unione Europea, la Guerra fredda, la caduta del Muro di Berlino e l’11 settembre, la recessione economica del 2008; la pandemia di Covid. Alcuni squarci storici sullo sterminio degli ebrei e la dittatura di Videla in Argentina. Con l’intermezzo su Maradona e il calcio. Per coloro che hanno avuto la possibilità di seguire gli eventi del pontificato di Francesco questa “Life” edita da HerperCollins può apparire già nota. Ma è un inganno.
Nell’introduzione, Fabio Marchesi Ragona, giornalista di Mediaset, spiega la sua funzione di narratore che “cuce” insieme i vari momenti della narrazione in prima persona di Bergoglio. La prospettiva scelta è quella di considerare la vita singola come un racconto che si svolge entro la storia più grande del mondo. Ragona cita in proposito un ampio richiamo di Francesco in un ciclo di catechesi del 2022 dedicato al discernimento: “La nostra vita è il libro più prezioso che ci è stato consegnato”, un libro “che tanti purtroppo non leggono, oppure lo fanno troppo tardi, prima di morire. Eppure, proprio in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie… Possiamo chiederci: ho mai raccontato a qualcuno la mia vita? […] Si tratta di una delle forme di comunicazione più belle e intime, raccontare la propria vita. Essa permette di scoprire cose fino a quel momento sconosciute, piccole e semplici, ma come dice il vangelo, è proprio dalle piccole cose che nascono le cose grandi”.
Il racconto di “Life” restituisce il logico confluire degli eventi piccoli e grandi della vita di Jorge Mario Bergoglio che si snoda da “un paese alla fine del mondo” fino a Roma dove viene eletto 266° successore di Pietro. Dal momento che ha scelto il nome di Francesco il racconto si fa storia. Tanto più che Francesco ha lasciato ormai un segno indelebile non solo nella sua Chiesa, ma di fronte al tempo presente con il suo motivato richiamo alla politica e all’economia internazionali a cambiare segno e percorso perché l’umanità sofferente, con la casa comune in grave pericolo, rischia davvero tutto. Egli ha gridato che ormai è tempo di prendere coscienza di essere giunti come umanità alla soglia doppiamente irreversibile di distruzione (guerra atomica e catastrofe ambientale) se non si pone mano energica a mutare strada.
Pur nella coscienza del rischio di essere una voce che grida nel deserto – come il Battista ai tempi di Erode – Francesco conferma con la qualità della sua vita che non cesserà di annunziare un futuro di speranza legato a scelte concrete di solidarietà e di rinuncia all’egoismo individuale e collettivo che ha caratterizzato in modi e ispirazioni differenti il capitalismo e il comunismo, le cui differenze si sono oramai assottigliate fin quasi a sparire. Il capitolo XII sulle dimissioni di Benedetto XVI serve a rimuovere la falsa contrapposizione tra Benedetto e Francesco che nuoce alla Chiesa e ne ritarda la riforma. Francesco richiama alcuni episodi chiave per ribadire l’analogo sperare, suo e di Benedetto, in una Chiesa povera e dei poveri. A tal proposito mi pare centrale il richiamo di Francesco all’Assemblea di Aparecida dove nel 2007 si radunò l’episcopato latinoamericano.
Il cardinale Bergoglio presiedeva la commissione per elaborare il documento finale dei lavori e aveva come primo collaboratore il teologo don Victor Manuel Fernandez allora docente all’Università Cattolica argentina e nominato lo scorso anno prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede. In quell’occasione Bergoglio e Ratzinger lavorarono di concerto dal momento che le indicazioni di Benedetto, il cardinale Bergoglio le condivise pubblicamente a motivo della carica innovativa che portavano nella teologia cattolica. Una delle affermazioni più forti di Benedetto suonava così: “L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”. Era finalmente il via libera alla Chiesa dei poveri. Anzi Benedetto ne formulava in una riga il fondamento cristologico che nessuno avrebbe potuto mettere in questione dopo gli anni difficili della teologia della liberazione che in Argentina si canalizzò nella “teologia del popolo”.
Francesco rivela il suo sogno per il futuro: “Che la nostra sia una Chiesa mite, umile e servitrice, con gli attributi di Dio e dunque anche tenera, vicina e compassionevole […] Immagino una Chiesa madre, che abbracci e accolga tutti, anche chi si sente sbagliato e chi in passato è stato giudicato da noi”. “Io sono venuto – dice Gesù nel Vangelo di Giovanni – perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Potrebbe essere il filo rosso che giustifica una vita e un pontificato senza precedenti.
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