Donald Trump dà il via libera alla controversa estrazione mineraria dai fondali marini

Gli Stati Uniti aggirano il multilateralismo autorizzando l’estrazione mineraria dai fondali marini in acque internazionali L'articolo Donald Trump dà il via libera alla controversa estrazione mineraria dai fondali marini proviene da Valori.

Mag 9, 2025 - 08:08
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Donald Trump dà il via libera alla controversa estrazione mineraria dai fondali marini

Nei primi cento giorni del suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ce l’ha messa tutta per smantellare qualsiasi forma di tutela per il Pianeta. Ha disposto il ritiro dall’Accordo di Parigi, ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale pur di intensificare le trivellazioni alla ricerca di petrolio e gas (anche in Alaska), ha rilanciato addirittura il carbone. Sempre attraverso ordini esecutivi, bypassando qualsiasi dibattito democratico. Mancavano all’appello soltanto le profondità oceaniche, ma ha prontamente rimediato. Attraverso l’ennesimo decreto presidenziale con cui, aggirando l’autorità internazionale preposta, apre all’estrazione mineraria dai fondali marini. Con altrettanta tempestività, la filiale statunitense della canadese The Metals Company (Tmc) ha presentato una richiesta di sfruttamento di tali risorse ai fini commerciali. Sarebbe la prima in assoluto nel mondo.

Cos’è l’estrazione mineraria dai fondali marini

L’estrazione mineraria dai fondali marini, deep sea mining in inglese, è funzionale a sfruttare le risorse custodite nei fondali oceanici anche a notevoli profondità, spesso oltre i mille metri. L’ordine esecutivo di Trump cita espressamente i noduli polimetallici sparsi sui fondali, soprattutto nelle pianure abissali. È noto ad esempio che la zona di Clarion-Clipperton, tra le Hawaii e il Messico, contiene enormi giacimenti di manganese misto a ferro, nichel, rame e cobalto.  Le sorgenti idrotermali, invece, danno origine a depositi di solfuri, spesso di forma massiccia o globulare, che racchiudono metalli come argento, oro, rame, manganese, cobalto e zinco. Ancora diverse sono le croste di manganese che si formano sulle montagne sottomarine.

Le tecniche per trovare, raggiungere ed estrarre queste risorse sono tuttora pionieristiche e sperimentali. Che si adoperino sistemi di benne o di aspirazione idraulica, quel che è certo è che si agisce su un ecosistema in gran parte sconosciuto. Con interventi invasivi che, dopo aver estratto le risorse, riversano gli scarti in mare formando grandi nubi di sedimenti, deleterie per la vita sottomarina. È per questo che organizzazioni ambientaliste come Greenpeace fanno da tempo pressione per una moratoria globale sull’estrazione mineraria dai fondali marini.

Anche una parte del mondo della finanza ha preso posizione. Nel 2023 trentacinque istituzioni finanziarie, con un totale di 3.300 miliardi di euro di asset in gestione, hanno sottoscritto un documento in cui chiedono ai governi che fanno parte della Isa di «proteggere gli oceani e a non procedere con l’estrazione in acque profonde fino a quando i rischi ambientali, sociali ed economici non saranno stati compresi a fondo e le alternative ai minerali di acque profonde non saranno state completamente esplorate». Tra i firmatari c’è anche Etica Sgr.

A chi spetta il compito di regolamentare l’estrazione mineraria dai fondali marini

Ad oggi, infatti, questa pratica esiste soltanto a livello di progetti e test, ma non è ancora avviata su scala commerciale. Il governo della Norvegia voleva mettere a disposizione delle società minerarie un’area di 280mila chilometri quadrati all’interno delle proprie acque territoriali. Alla fine del 2024, però, ha dovuto accantonare questo piano. La motivazione non era ambientale bensì politica: era un compromesso necessario per aggiudicarsi il sì dell’opposizione alla legge di bilancio. Presumibilmente, il capitolo si riaprirà dopo le elezioni parlamentari in programma per l’autunno.

Per quanto riguarda le acque internazionali, invece, il compito di emanare un regolamento sull’estrazione mineraria dai fondali marini spetta alla International Seabed Authority, un’autorità internazionale nata nel 1994 per volere delle Nazioni Unite. Ne fanno parte i 158 Stati che aderiscono alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Quest’ultima stabilisce che il fondale al di là della zona economica esclusiva dei singoli Stati, insieme alle risorse che contiene, è un patrimonio comune dell’umanità: ed è l’unico principio che non può essere modificato né oggetto di deroghe. Il tema dello sfruttamento minerario, dunque, è complicato e controverso. A tal punto che, sebbene se ne discuta da anni, un testo ancora non esiste.

L’ordine esecutivo di Donald Trump (che scavalca l’Onu)

Gli Stati Uniti non hanno ratificato l’Unclos ma si sono adeguati ai suoi principi e alle sue norme. Almeno fino a questo secondo mandato di Trump, per certi versi ancora più spregiudicato rispetto al precedente. L’ordine esecutivo di fine aprile, infatti, dice che gli Stati Uniti devono «accelerare lo sviluppo responsabile delle risorse minerarie dei fondali marini». E dà mandato di accelerare il processo di revisione e rilascio delle licenze, sia per l’esplorazione sia per lo sfruttamento commerciale, anche in aree che vanno oltre la giurisdizione nazionale. Questa è la novità assoluta, per cui Trump si appella al Deep Seabed Hard Mineral Resources Act del 1980.

La società canadese The Metals Company ha immediatamente colto la palla al balzo. Da tempo aveva messo gli occhi sulla zona di Clarion-Clipperton, anche usando come intermediario il governo di Nauru – nazione insulare poverissima che sperava di risollevarsi proprio col deep sea mining – per fare pressione sulla International Seabed Authority. A fine marzo, The Metals Company si era proprio appellata alla vecchia legge statunitense degli anni Ottanta per annunciare l’intenzione di rivolgersi all’amministrazione a stelle e strisce. E il 29 aprile, appena uscito l’ordine esecutivo, attraverso la propria sussidiaria americana ha presentato la richiesta per l’avvio delle estrazioni a fini commerciali in acque internazionali.

L’azione unilaterale di Trump «crea un pericoloso precedente»

«Vale la pena sottolineare che il decreto esecutivo degli Stati Uniti fa riferimento alla “liberazione delle risorse minerarie e naturali offshore dell’America”. Tuttavia, questo può riguardare solo le risorse presenti sul fondale marino e sul suolo oceanico statunitense, perché tutto ciò che si trova oltre è patrimonio comune dell’umanità», replica Leticia Reis de Carvalho, segretaria generale della International Seabed Authority.

«Questo significa che siamo tutti parte in causa rispetto a ciò che accade negli abissi. Significa anche che qualsiasi azione unilaterale non solo minaccia un trattato faticosamente negoziato, con decenni di cooperazione internazionale e di attuazione di successo, ma crea anche un pericoloso precedente che potrebbe destabilizzare l’intero sistema di governance globale degli oceani».

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