Diego De Silva: "L’amore è sempre libertà. Vale anche nella separazione, nessuno appartiene a nessuno"
“I titoli di coda di una vita insieme“: il nuovo romanzo dedicato all’arte di dirsi addio "Non so se serva impartire un’educazione emotiva. Io ho imparato per fascinazione..." .

"L’amore non ammette padroni: è vivo quando si riconosce alla persona amata la libertà dismettere di amare in qualunque momento". Lo scrittore partenopeo Diego De Silva riflette sull’importanza, in ogni relazione, di poter dire la parola “fine” e lo fa a partire dal suo ultimo romanzo I titoli di coda di una vita insieme (Einaudi). Quando il loro matrimonio giunge al capolinea, Fosco e Alice decidono di ritrovarsi in una casa condivisa per ripercorrere gioie e dolori, "per attraversare in due i rimpianti fino a esaurire la sofferenza". Intendono così restituire dignità alla loro storia, scegliendo con cura le parole per dirsi addio.
De Silva, quanto è importante il dialogo anche nel lasciarsi?
"Fondamentale. La violenza nasce proprio dalla mancanza della parola. Se sono capace di esprimermi, sono in grado di comprendere le ragioni dell’altro; se no, la mia impotenza linguistica mi porterà a sostituire la parola con il gesto violento".
Ancora troppi i femminicidi per mano di partner o ex. Ha dichiarato che "non siamo una società all’altezza dell’amore". Dove sbagliamo?
"Nel non riconoscere all’amore la nobiltà che gli è propria, il suo intrinseco bisogno di libertà, la sua refrattarietà a essere carcerato, controllato, banalizzato e mercificato. Si finisce per concepire l’altro come un feudo, un bene mobile afferente alla proprietà privata. Ma nessuno appartiene a nessuno. L’amore vola alto sulle nostre bassezze e sarà sempre un animale libero, alla faccia di ogni sfregio".
Si sta parlando molto di “educazione emotiva”. Che cosa ne pensa?
"Personalmente, le cose che ho trattenuto e di cui ho fatto tesoro nella vita sono quelle che ho imparato per fascinazione, prendendo a modello le capacità espressive di un altro. Credo che sia la passione a trasmettere la voglia di emulare e approfondire, fino a costruirsi una propria strada. Non penso che l’imposizione produca risultati, quanto meno sui tempi medio-lunghi. Si apprende più per seduzione. “Sedurre“ vuol dire “portare a sé“, attraverso l’esempio e l’empatia".
Quale ruolo ha la letteratura in questo processo educativo (o seduttivo)?
"Un ruolo, credo, fondamentale. Del resto, la parola è anche uno strumento di fascinazione".
A proposito di parole, molte delle più belle opere letterarie – romanzi, poesie, canzoni – nascono dal dolore di una perdita. Qual è la potenza narrativa della separazione?
"Il sentirsi nudi davanti allo sgomento della fine. Sono circostanze in cui la lingua si scarnifica, perde gli orpelli e ogni velleità formale. In questo spogliarsi, trova una potenza espressiva che rigenera la scrittura".
I protagonisti del suo romanzo rifiutano di lasciare l’epilogo della loro storia alla penna degli avvocati…
"Volevo raccontare proprio la frustrazione di trovarsi rappresentati da una lingua riduttiva e impersonale, quella giuridica appunto, che non conosce il dolore e tratta la separazione come un CID, un verbale di constatazione amichevole. In quelle circostanze, siamo portatori di un dolore che vorrebbe parole letterarie, che rispettino ciò che è stato e che sta per finire. Negli uffici di un tribunale non c’è nulla di tutto ciò. La fine dell’amore è una pratica come altre".
Lei ha affrontato di recente la malattia e un grave lutto in famiglia. Che rapporto ha con la fine? La spaventa?
"Mi spaventa la morte, ma non vivo con la sua paura. Non voglio darle anche la soddisfazione di diventare ipocondriaco per aver superato due volte un tumore. Il mio senso di precarietà nello stare al mondo si è acuito, certo, ma non per questo sto lì a “vivere ogni istante come fosse l’ultimo” (ho sempre trovato un po’ stupida questa massima). Se pensassi ogni istante di dover morire, farei prima a buttarmi di sotto. Per citare Woody Allen “riguardo alla morte continuo a mantenere la stessa posizione: sono contrario“".