Uno studio aiuta a capire perché l’area dei Campi Flegrei è sismicamente diversa dalle altre

Sotto i Campi Flegrei esiste uno strato di crosta terrestre molto più fragile della norma, e questo potrebbe essere la chiave per comprendere la particolare attività sismica della zona: è quanto emerge dal lavoro condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università di Grenoble Alpes e Università di Bologna, […] The post Uno studio aiuta a capire perché l’area dei Campi Flegrei è sismicamente diversa dalle altre appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mag 12, 2025 - 13:38
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Uno studio aiuta a capire perché l’area dei Campi Flegrei è sismicamente diversa dalle altre

Sotto i Campi Flegrei esiste uno strato di crosta terrestre molto più fragile della norma, e questo potrebbe essere la chiave per comprendere la particolare attività sismica della zona: è quanto emerge dal lavoro condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università di Grenoble Alpes e Università di Bologna, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista AGU Advances. Secondo quanto scoperto, analisi di laboratorio e immagini tridimensionali ad alta risoluzione del sottosuolo mostrerebbero che tra i 3 e i 4 chilometri di profondità esiste uno strato che presenta una permeabilità e porosità superiori a quanto ipotizzato in precedenza, caratteristica che faciliterebbe l’accumulo e l’intrappolamento dei fluidi magmatici responsabili dei sollevamenti del suolo e della sismicità periodica dell’area. «Questi fluidi, intrappolati, aumentano progressivamente in volume e pressione, innescando deformazioni del suolo e attività sismica», spiega Lucia Pappalardo, coautrice e ricercatrice INGV.

I Campi Flegrei costituiscono una vasta caldera vulcanica situata nell’area metropolitana di Napoli. Si tratta di una delle aree vulcaniche più sorvegliate d’Europa, nota peraltro per il fenomeno del bradisismo — il periodico sollevamento e abbassamento del suolo — e per la sua lunga storia eruttiva. Nonostante negli ultimi decenni l’attività sismica e la deformazione del suolo abbiano suscitato diverse preoccupazioni, d’altra parte hanno anche acceso l’interesse scientifico verso le dinamiche profonde della zona. Per questo motivo, il team di scienziati ha deciso di indagare a riguardo utilizzando un pozzo geotermico profondo circa 3 chilometri per estrarre campioni rocciosi, combinando poi osservazioni dirette con simulazioni numeriche. Le immagini 3D del sottosuolo, poi, elaborate con tecniche avanzate, hanno permesso di analizzare le proprietà fisiche delle rocce e di ricostruire i meccanismi che regolano la circolazione dei fluidi e la possibile risalita del magma.

Secondo i risultati ottenuti dagli autori, intorno ai 2,5–2,7 chilometri di profondità si osserva una transizione cruciale: qui la crosta diventa più fragile, porosa e permeabile. «Al di sotto di questa soglia, la crosta appare più porosa e permeabile del previsto, e quindi meno resistente, favorendo l’accumulo di fluidi magmatici», spiegano gli autori, aggiungendo che, secondo le simulazioni, nelle epoche passate numerose piccole intrusioni di magma si sarebbero fermate proprio in quest’area, rafforzando la debolezza strutturale tra le rocce carbonatiche profonde e i tufi vulcanici superficiali. Si tratta di uno strato indebolito che, secondo i risultati, non solo funge da “trappola” per i fluidi magmatici profondi, ma potrebbe condizionare anche una futura fuoriuscita di magma, anche se non sempre tale meccanismo riesce a mantenerlo: se l’accumulo è rapido, potrebbe non raffreddarsi abbastanza e risalire, come accadde nel 1538, durante l’ultima eruzione che portò alla formazione del Monte Nuovo. In altri casi invece, spiegano gli autori, il magma potrebbe arrivare direttamente dalla profondità — a circa 7–8 km — superando la zona fragile. «Questa ricerca non influenza direttamente le nostre previsioni a breve termine, ma è un tassello fondamentale per comprendere il comportamento del vulcano e migliorare la nostra capacità di monitorarlo. Solo con una conoscenza sempre più dettagliata del sistema vulcanico e della sua dinamica possiamo sperare di anticipare segnali critici e ridurre i rischi per le persone», conclude Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

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