Da canto partigiano a inno globale: la lunga storia ribelle e meticcia di Bella Ciao nel mondo

L’ultima esecuzione pubblica di Bella Ciao è avvenuta pochi giorni fa al Festival Jazz di Bergamo.  Il chitarrista Marc Ribot, uno dei migliori strumentisti del mondo, che pratica varie musiche oltre al jazz, ha proposto come bis proprio la canzone partigiana, dedicandola agli italiani che furono capaci di sconfiggere quel fascismo verso cui gli USA sembrano incamminarsi. L'articolo Da canto partigiano a inno globale: la lunga storia ribelle e meticcia di Bella Ciao nel mondo proviene da Globalist.it.

Apr 18, 2025 - 23:08
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Da canto partigiano a inno globale: la lunga storia ribelle e meticcia di Bella Ciao nel mondo

L’ultima esecuzione pubblica di Bella Ciao è avvenuta pochi giorni fa al Festival Jazz di Bergamo.  Il chitarrista Marc Ribot, uno dei migliori strumentisti del mondo, che pratica varie musiche oltre al jazz, ha proposto come bis proprio la canzone partigiana, dedicandola agli italiani che furono capaci di sconfiggere quel fascismo verso cui gli USA sembrano incamminarsi. E ‘stata una interpretazione dura, abrasiva, dilaniata,  al termine della quale il musicista, dopo aver lasciato quasi senza fiato il pubblico ha urlato nel microfono “resist, resist, resist.”

La prima versione discografica di questa semplice melodia (Con il titolo di Kolein) è del 1919. Incisa da un fisarmonicista di Odessa, Mishka Ziganoff, che riprendeva forse un più antico tema del folklore ebraico dell’Europa centrale, quando gli ebrei erano i paria 

Nella resistenza italiana ebbe una diffusione tutto sommato limitata. Fra i pochi a cantarla, i primi furono i partigiani della Brigata Majella. Ma nella tradizione popolare italiana questa musica girava già da secoli. Aveva vari titoli e forme musicali diverse, La nonna morta o La pianta sonnifera. I vari studiosi che si sono arrovellati sul tema le attribuivano origini francesi. Niente che sia in contrasto, naturalmente con eventuali origini centro europee. La musica popolare attraversa liberamente le frontiere, da sempre, incrocia altre tradizioni e si mescola con esse.

A far conoscere Bella Ciao attraverso i grandi media italiani fu, nel 1962, Yves Montand, grande cantante italo francese, bilingue, nato a Monsummano Terme, in Toscana, la cui famiglia fu costretta all’esilio dal fascismo. 

La cantava con un accompagnamento leggero e di facile ascolto, basato su chitarre suonate in stile manouche (ovvero il jazz franco-gitano). E a questo stile si rifà anche un coro di combattenti curde, che hanno fatto di Bella Ciao il loro inno di battaglia.

Bella Ciao è infatti una canzone ribelle e di origine oscura, non si cura delle lingue e delle frontiere, è antica ma si rinnova continuamente, si canta in tutto il mondo. Si può suonare manouche o, come fa Tom Waits (Con Marc Ribot alla chitarra) cantarla come una ballata malinconica. Si addice ai cori accompagnati dal battito delle mani o alle grandi bande musicali. 

Può esser eseguita con piglio tutto balcanico da Goran Bregovic. Viene usata come musicoterapia dagli psicologi di Gaza, per calmare i bambini atterriti dai bombardamenti. Secondo la blogger Alessia Piperno, la cantano spesso le donne detenute nel carcere femminile di Evin, a Teheran, dove la Piperno stessa fu imprigionata per qualche tempo.

Il merito di questo successo internazionale, è però di un gruppo di artisti (il Nuovo Canzoniere Italiano) che nel 1964 presentarono, non senza polemiche, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, uno spettacolo Le canzoni di Bella Ciao, lunga sequenza di brani del patrimonio popolare italiano, poi ripresa in un disco fortunato. 

Questa lunga storia, è raccontata da Jacopo Tomatis, in un bel libro uscito esattamente un anno fa; Bella Ciao, una canzone, uno spettacolo, un disco (Il Saggiatore, 2024, pagg 229, Prezzo ci copertina Euro17,10- Ebook 8,99). Tomatis è scrittore essenziale, accurato nell’uso delle fonti, nemico delle facili mitologie. Sottopone quindi a un vaglio fitto e severo quel progetto e l’ideologia che lo sottendeva: quella di opporre una musica delle classi subalterne a quella delle grandi aziende discografiche che invadevano l’ancora giovane mercato del disco (sembra di parlare di secoli fa). Fra i miti smontati da Tomatis c’è anche quello della celeberrima Bella Ciao Delle Mondine, che pure faceva parte dello spettacolo originario. Fu scritto, nel 1953, da tale Vasco Scansani, un lavoratore delle risaie con un talento per i versi, ma non fu mai un canto di protesta delle mondine in epoca fascista, come si era sempre creduto. Una vera e propria invenzione di una tradizione. Lo stesso progetto teatrale era in parte catalogabile come tale. Le canzoni di bella Ciao ebbe, in ogni caso, grande rilevanza culturale e lasciò il segno, almeno fino alla fine degli anni 70. Un’immagine del libro mostra Enrico Berlinguer, in vista ad Hanoi nel 1966, che regala il disco a Hò Chi Mihn

 Bella Ciao, finti gli anni delle grandi contestazioni, cominciò sua nuova vita, meticcia e internazionalista. Oggi è il canto di libertà forse più popolare al mondo e il più detestato dai sovranisti e dai nemici della libertà. 

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