Crisi delle uova, Usa chiamano Italia ma la produzione è in affanno
Negli Stati Uniti le uova sono care e cercano aiuto in Europa, ma l’Italia non riesce a esportare: le galline sono poche rispetto alla richiesta e le scorte ancora meno

Mentre negli Stati Uniti una confezione da dodici uova ha toccato gli otto dollari, spinta dalla recrudescenza dell’influenza aviaria e dal nervosismo del mercato, Washington ha avviato una vera e propria offensiva diplomatica per cercare forniture in Europa. Tra i paesi contattati figura anche l’Italia, dove però gli allevamenti faticano a garantire l’autosufficienza nazionale. Il Veneto, regione chiave del comparto avicolo, ha ricevuto numerose sollecitazioni, ma ha risposto di non essere in grado di soddisfare richieste internazionali.
Usa, la fiammata dei costi delle uova e la pressione politica
Negli Stai Uniti, nel giro di un anno, il cartellino del prezzo delle uova ha fatto un salto acrobatico: da due a oltre otto dollari per una dozzina. Non una bolla speculativa, ma il risultato di un mix indigesto tra virus aviari, catene logistiche sfilacciate e una politica agricola che arranca. Il presidente Donald Trump ci ha costruito sopra una parte del suo copione elettorale, giurando di stroncare la crisi dal minuto uno.
Da allora, l’argomento non si è mai davvero raffreddato. Anzi, il termometro politico continua a segnare febbre alta. Le cifre raccontano di valori mai visti da decenni, mentre dalla Casa Bianca arrivano comunicati rassicuranti che cozzano con gli scontrini dei cittadini. Così, il caso delle uova è diventato molto più di una faccenda da colazione: è l’emblema di una tensione economica profonda, che si insinua tra scaffali vuoti e portafogli sempre più leggeri.
Italia sotto pressione: produzione in affanno e richieste dagli Usa
L’approccio americano ha trovato poche sponde concrete nel Vecchio Continente. Gran parte dei produttori europei preferisce concentrarsi sulla stabilità dell’offerta interna. Inoltre, esistono ostacoli tecnici non trascurabili: negli Stati Uniti le uova vengono lavate prima della vendita, una pratica vietata in molte zone dell’Unione Europea. Questo dettaglio comporterebbe lavorazioni aggiuntive per rendere le esportazioni compatibili con gli standard richiesti dal mercato americano.
L’Italia si trova dunque in una posizione delicata: da un lato riceve sollecitazioni da oltre Atlantico, dall’altro deve fronteggiare una filiera interna già provata. Il Veneto, con una produzione annua che sfiora i 2 miliardi di unità, rappresenta una delle roccaforti del comparto avicolo nazionale. In regione si contano oltre 250 allevamenti con più di 250 capi ciascuno. Secondo Confagricoltura, ogni italiano consuma in media 219 uova all’anno, includendo quelle contenute nei prodotti trasformati. Con questi numeri, destinare parte delle scorte al mercato americano appare impraticabile. L’intero settore è infatti impegnato a salvaguardare l’autosufficienza nazionale.
Dalla Danimarca alla Turchia, la mappa dei contatti
Stando a quanto riportato da AgriWatch e Foodwatch, media di settore danesi, il dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti avrebbe contattato diverse autorità europee a partire dalla fine di febbraio, proseguendo poi a marzo con richieste più dettagliate sui volumi esportabili. La Finlandia ha fatto sapere che non esistono al momento accordi formali e che, in ogni caso, non dispone di una produzione sufficiente per incidere sui fabbisogni americani.
A fine febbraio, l’Usda ha chiesto ai governi europei di quantificare quante uova sarebbero disposti a spedire oltreoceano. Poi, il silenzio. Nessuna risposta, nessun aggiornamento.
La Turchia è invece tra i pochi paesi che hanno risposto positivamente alla richiesta, avviando spedizioni di uova verso gli Stati Uniti a partire da febbraio. Secondo Ibrahim Afyon, presidente dell’Unione centrale dei produttori di uova, i carichi continueranno fino a luglio per un totale di 15.000 tonnellate.