Cosa farà la Commissione Ue per difendere l’alluminio dai dazi di Trump
A causa dei dazi di Trump, l'Unione europea rischia un aumento delle importazioni di alluminio a basso costo, che danneggerebbe un'industria già in difficoltà. Così, la Commissione vuole aprire un'indagine per introdurre misure di protezione commerciale (oltre a quelle sull'acciaio). Tutti i dettagli.

A causa dei dazi di Trump, l’Unione europea rischia un aumento delle importazioni di alluminio a basso costo, che danneggerebbe un’industria già in difficoltà. Così, la Commissione vuole aprire un’indagine per introdurre misure di protezione commerciale (oltre a quelle sull’acciaio). Tutti i dettagli
Secondo il Financial Times, mercoledì la Commissione europea annuncerà l’apertura di un’indagine sul mercato comunitario dell’alluminio, con l’obiettivo di difendere il settore da un aumento delle importazioni a basso costo provenienti da paesi terzi. Si tratta di una possibile conseguenza dei dazi del 25 per cento imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump: visto che il mercato americano è diventato meno facilmente accessibile, le nazioni produttrici di alluminio potrebbero riorientare le loro esportazioni verso l’Unione europea.
COSA FARÀ LA COMMISSIONE EUROPEA PER DIFENDERE L’INDUSTRIA DELL’ALLUMINIO
Per difendere la produzione interna di alluminio, dunque, Bruxelles potrebbe adottare delle contromisure commerciali nel caso in cui l’indagine dovesse accertare un aumento repentino delle importazioni del metallo. Anche perché l’industria europea dell’alluminio è già in difficoltà, tra prezzi alti dell’energia, fiacchezza della domanda e difficoltà a competere con le importazioni, più economiche. Nel documento visionato dal Financial Times si legge che i dazi di Trump – ai quali la Commissione risponderà con delle tariffe sulle merci statunitensi fino a 26 miliardi di dollari – “rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione”, creando una “significativa minaccia di deviazione del commercio da molteplici destinazioni”.
I PAESI COLPITI DALLE CONTROMISURE
Bruxelles riconosce che i produttori europei di alluminio hanno “perso quote di mercato significative nell’ultimo decennio”. I principali esportatori del metallo nel blocco, e che quindi potrebbero venire colpiti dalle contromisure commerciali, sono – escludendo Norvegia e Islanda, che fanno parte dello spazio economico europeo – gli Emirati Arabi Uniti, la Russia e l’India. Le importazioni russe verranno azzerate entro la fine del 2026.
A differenza degli Stati Uniti, che hanno giustificato l’imposizione dei dazi sull’alluminio e l’acciaio con la tutela della sicurezza nazionale, l’Unione europea farà riferimento al diritto di difesa commerciale basato sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Le misure di protezione dell’industria dell’alluminio potrebbero allora assomigliare a quelle introdotte nel 2018 a tutela dei produttori di acciaio, che prevedono – scadranno a giugno del 2026 – un’imposta del 25 per cento sulle importazioni superiori a una certa quota.
E L’ACCIAIO?
A proposito di acciaio, nel 2023 l’output europeo ha toccato il livello più basso dalla crisi pandemica: come già detto per l’alluminio, la domanda nel blocco è fiacca, l’energia costa molto ed è difficile competere con i prezzi bassi della concorrenza, soprattutto cinese. La Commissione sostiene che la pressione sull’industria siderurgica comunitaria “probabilmente si aggraverà” quando anche altri governi aumenteranno le tariffe sulle importazioni della lega: se non prenderà delle contromisure, l’Unione europea potrebbe diventare il “principale terreno di ricezione delle capacità in eccesso a livello mondiale” di acciaio (quando si parla di surplus e sovraccapacità, ci si riferisce innanzitutto alla Cina).
Tra le altre cose, Bruxelles ha intenzione di rispondere a quei paesi che bloccano le esportazioni di rottami ferrosi, impiegati nella produzione siderurgica con forni elettrici, con un ban reciproco. Negli ultimi anni le esportazioni europee di rottami in acciaio sono più che raddoppiate, lasciando i produttori privi di una “materia prima seconda” essenziale.
I COSTI DELLA DECARBONIZZAZIONE
Al di là dei rischi connessi ai dazi di Trump, l’industria europea dell’acciaio sta avendo difficoltà a gestire i costi della decarbonizzazione. Per ridurre le proprie emissioni e allinearsi alla transizione energetica, l’industria siderurgica stima di dover spendere 14 miliardi di euro all’anno fino al 2030 ma sostiene di non potersi permettere di investire nelle nuove tecnologie “pulite”, come i forni a idrogeno (un combustibile ricavabile dall’elettricità e in grado di sostituire il gas naturale, ma dai prezzi molto elevati).
A dicembre il gruppo indiano-lussemburghese ArcelorMittal ha annunciato la sospensione dei progetti per la produzione di acciaio “verde” in Europa a causa sia del contesto energetico e di mercato svantaggioso, sia della regolazione sfavorevole.
Nel documento riportato dal Financial Times, la Commissione europea ammette che “la maggior parte di questi progetti [sull’acciaio verde, ndr] non sono probabilmente realizzabili dal punto di vista economico nel contesto attuale”. Così, Bruxelles afferma che gli stati membri potrebbero ridurre le tasse sull’energia per l’industria pesante e aumentare i sussidi alla produzione di idrogeno, il cui mercato fatica a partire; l’Unione europea, inoltre, incoraggerà la domanda di acciaio verde modificando le norme sugli appalti e stabilendo misure sostenibilità per molti prodotti industriali.