Cosa c’è nei fondali del Mediterraneo? Forse non volete saperlo
Un’immersione a oltre 5.000 metri di profondità ha svelato un fondale pieno di plastica e rifiuti: la Calypso deep, nel cuore del Mediterraneo, si conferma uno dei luoghi più inquinati degli abissi marini.

Nell’immaginario comune, i fondali marini sono luoghi tanto affascinanti quanto spaventosi: luoghi bui popolati da creature con sembianze aliene, che ospitano relitti e segreti e stimolano la narrazione di leggende fin dagli albori dell’umanità. Purtroppo, però, la realtà che ci raccontano le profondità del Mediterraneo non è fatta di sirene o creature mitologiche, bensì da rifiuti. In quello che dovrebbe essere (e che credevamo che fosse) uno degli ultimi luoghi incontaminati della Terra, un gruppo di ricercatori ha trovato una distesa di spazzatura. Questo è il risultato drammatico di una missione condotta nel 2020 nella Calypso deep, la depressione più profonda del Mare Nostrum e pubblicato sulla rivista scientifica Marine pollution bulletin. Laggiù, a 5.109 metri di profondità, il sottomarino Limiting Factor ha documentato uno dei più alti livelli di inquinamento mai registrati in un ambiente abissale.
Nel cuore del Mediterraneo (e del problema)

“L’immersione nel Calypso deep era collegata alla Expedition deep ocean initiative, una rete globale di esperti che si occupa della gestione sostenibile delle risorse oceaniche profonde e che aveva l’obiettivo di immergersi nei siti più profondi di tutti i bacini oceanici e marini”, racconta Miquel Canals, uno degli autori dell’articolo.
La costruzione del sommergibile utilizzato per esplorare gli abissi e della sua nave madre è stata realizzata da Victor Vescovo e dalla sua società Caladan oceanic. Vescovo, “esploratore dello spazio e degli oceani”, è stato il primo essere umano ad aver raggiunto sia il punto più alto che quello più basso del nostro Pianeta, e il 10 febbraio 2020, accompagnato dal principe Alberto II di Monaco, ha guidato la spedizione verso il punto più profondo del Mediterraneo. Grazie all’utilizzo di sensori di ultima generazione, la spedizione ha confermato la profondità esatta della Calypso deep, che era già stata esplorata nel 1965 dal leggendario batiscafo francese Archimède.
“Come per tutte le immersioni in acque molto profonde, le sfide principali sono state di tipo tecnico – spiega il docente dell’Università di Barcellona – per garantire la sicurezza delle persone coinvolte e la possibilità di eseguire le operazioni previste una volta sul fondo, oltre che meteorologico e temporale, tra cui la discesa, la navigazione sul fondo e la risalita in superficie per il recupero da parte della nave madre”.
Durante la missione, i ricercatori hanno documentato un totale di 148 tipologie di rifiuti, costituiti per l’88 per cento da plastica, e in particolare da buste, sacchi industriali, bottiglie, tappi e coperchi. La densità di marine litter (il termine tecnico con cui si indica la spazzatura marina) stimata a partire dalle osservazioni, pari a 26.715 oggetti per chilometro quadrato, è tra le più alte mai registrate in ambienti abissali.
La Calypso deep, infatti, come spiegano i ricercatori, si comporta come una trappola naturale per la plastica: circondata da pareti che scendono per migliaia di metri e soggetta a correnti debolissime, ogni oggetto che vi precipita ha pochissime possibilità di uscirne. Canals sottolinea come la maggior parte della plastica provenga da rifiuti galleggianti trasportati dall’Adriatico e dallo Ionio, sospinti da correnti superficiali e poi affondati da processi naturali come la bioincrostazione. Con questo nome ci riferiamo al processo per cui microrganismi, alghe o piccoli animali marini si attaccano alle superfici immerse in acqua, come plastica, metallo o legno, facendo aumentare il peso degli oggetti e accelerando quindi la loro discesa verso gli abissi.
“Non è più una sorpresa”: la voce degli scienziati
Purtroppo, trovare rifiuti sul fondo del mare non è più una sorpresa, ma un segnale dei tempi in cui viviamo e una volta che toccano il fondo, i rifiuti possono restare lì per secoli.
Il seppellimento del materiale di origine umana, infatti, avviene in tempi molto variabili da oggetto a oggetto e dipende da fattori come le sue dimensioni e la sua forma, ma anche la sua capacità di deformarsi e appiattirsi a causa dei sedimenti che si accumulano sopra di esso. Tuttavia, commenta Canals, per avere un’idea: “Per un quarto di bottiglia di plastica che giace sul fondale, potremmo stimare una scala temporale di almeno secoli”.
La rimozione dei rifiuti è sempre “una questione delicata, perché potrebbe causare più danni che benefici all’habitat coinvolto”. Per questo motivo, potenziali operazioni di rimozione devono essere valutate attentamente, caso per caso, e, al momento, sono molto costose. “Per il momento – conclude – la rimozione dei rifiuti nelle profondità marine non è un’opzione”.
Il Mediterraneo non è nuovo a questi record (e non è solo)

Lo scarso stupore di Canals è conseguenza del fatto che la presenza di materiali antropici negli specchi d’acqua del Pianeta non è una novità. Infatti, dai canyon del Portogallo al mar Cinese meridionale, elevate concentrazioni di rifiuti plastici in ambienti profondi stanno diventando sempre più comune. Tuttavia, i valori osservati nella Calypso deep sono secondi solo ad alcuni hotspot asiatici e superano di gran lunga quelli degli oceani Pacifico e Atlantico. Anche in altri punti del mar Mediterraneo, precedenti ricerche hanno documentato alti livelli di rifiuti nei canyon sottomarini o sotto le rotte navali storiche, ma mai così in profondità.
La plastica è leggera, mobile e persistente. Il Mediterraneo, chiuso e fortemente antropizzato, la trattiene e la concentra.
Un richiamo ai leader globali dagli abissi planetari
Questo risultato, per gli autori della ricerca, deve essere un campanello d’allarme per la politica, poiché l’impossibilità di rimuovere i rifiuti accumulati in profondità rende la prevenzione l’unica strada percorribile. Per farlo è necessario rafforzare e integrare strumenti già esistenti come la Marine strategy framework directive e la Eu plastics strategy, o il Mediterranean action plan, ma soprattutto serve affrontare il problema alla larga scala, tenendo conto dell’immissione di rifiuti in mare sia da terra e da bordo, monitorando i fondali con metodi armonizzati e valutando in modo affidabile l’efficacia delle azioni adottate. In questo contesto, i nuovi strumenti normativi internazionali in arrivo – come il Trattato globale dell’Onu sull’inquinamento da plastica e l’Accordo sulla biodiversità marina nelle aree al di là della giurisdizione nazionale, rappresentano un’occasione senza precedenti.
La sfida sarà quella di portare avanti il complesso meccanismo della diplomazia dando valore anche a ciò che si trova fuori dalla nostra vista, come le profondità oceaniche. Perché se l’impatto umano arriva fino al punto più profondo del Mediterraneo, non esiste luogo troppo lontano per essere escluso da politiche di tutela.