Con la Riforma della Corte dei Conti addio definitivo alla "paura della firma"?
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Le Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera hanno dato l’ok alla discussione in Aula della proposta di Riforma della Corte dei Conti che ha tra i suoi principali obiettivi lo stop alla cosiddetta “paura della firma”.
La proposta di legge mira a riformare in profondità le funzioni e le responsabilità della Corte in materia di giustizia contabile. Il testo, sostenuto dalla maggioranza di governo e osteggiato dalle opposizioni e dalla stessa Corte dei Conti, inizierà il suo iter parlamentare la prossima settimana.
Il provvedimento, identificato con la sigla C.1621-A e testi abbinati, interviene sulla normativa del 1994 che regola l’attività della Corte, così come sul codice della giustizia contabile varato nel 2016. L’obiettivo principale è riorganizzare le competenze dell’organo, ridefinendone sia il ruolo consultivo che quello di controllo, con una delega al Governo per attuare il riordino dell’istituzione.
La Riforma della Corte dei Conti vuole superara la “paura della firma”
Una delle motivazioni principali alla base della proposta di riforma della Corte dei conti è il tentativo di superare un blocco decisionale che, negli ultimi anni, ha preso sempre più piede all’interno della pubblica amministrazione. Si tratta della cosiddetta “paura della firma”, un fenomeno conosciuto anche con il nome di burocrazia difensiva. Con questa espressione si fa riferimento all’atteggiamento di cautela estrema che induce molti funzionari pubblici a evitare decisioni potenzialmente innovative o fuori dagli schemi, anche se chiaramente orientate all’interesse pubblico, per timore di conseguenze personali sul piano contabile o giudiziario.
Questa sindrome della paralisi amministrativa nasce dalla percezione – spesso giustificata – che ogni atto adottato, se non inquadrato rigidamente in prassi consolidate, possa esporre il dirigente o il responsabile del procedimento a contestazioni, richieste di risarcimento o procedimenti di responsabilità per danno erariale. In questo clima di costante incertezza, la prudenza diventa regola e l’inerzia una sorta di auto-tutela: meglio non firmare, che rischiare.
Lo “scudo erariale”: origine, evoluzione e limiti
Per cercare di arginare questo clima di paura e rendere l’amministrazione pubblica più efficiente, già nel 2020 – in piena emergenza pandemica – il legislatore aveva introdotto una norma di carattere straordinario, nota come “scudo erariale” (art. 21, comma 2, del decreto-legge 76/2020). Si tratta di una disposizione che, in modo transitorio, ha ristretto la responsabilità amministrativa per danno erariale ai soli casi di dolo. In altre parole, un pubblico funzionario può essere chiamato a rispondere del danno causato solo se ha agito con intenzionalità, cioè con la volontà deliberata di nuocere o di perseguire interessi diversi da quelli pubblici.
Tuttavia, questo meccanismo non vale per tutte le ipotesi. La norma distingue infatti tra condotte attive (azioni compiute) e condotte omissive (azioni non compiute, ma che si sarebbero dovute compiere). Solo nel primo caso – quello delle decisioni prese e degli atti firmati – opera lo scudo: se manca il dolo, il funzionario non è punibile. Nel secondo caso, invece – quello dell’inerzia o della mancata adozione di un provvedimento – resta ferma la possibilità per la Corte dei conti di esercitare l’azione contabile, anche in presenza di semplice colpa grave.
Una disparità che alimenta l’immobilismo
Questa asimmetria tra comportamenti commissivi e omissivi ha però prodotto un paradosso: chi agisce può contare su una relativa protezione, mentre chi omette rischia comunque sanzioni, anche se il danno deriva da una grave negligenza e non da un’intenzione dolosa. In pratica, l’inerzia viene trattata con maggiore severità rispetto all’azione, anche quando entrambe le condotte risultano ugualmente dannose per l’interesse pubblico.
Ne è scaturito un effetto boomerang: anziché stimolare i dirigenti a sbloccare procedure o ad assumersi responsabilità, la norma ha finito col rafforzare l’atteggiamento attendista. Temendo di incorrere in responsabilità per colpa grave anche per semplici omissioni, molti preferiscono continuare a non agire, rimanendo in un limbo che non porta né a innovazione, né a efficienza. E così la “paura della firma” resta salda al suo posto.
Le possibili strade indicate dalla Corte Costituzionale
Sulla questione si è recentemente espressa anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 132 del 17 luglio 2024. I giudici hanno confermato la legittimità della disciplina transitoria, ritenendola giustificata dal contesto straordinario della crisi post-pandemica e dalla necessità di accelerare l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tuttavia, la Consulta ha sollecitato il legislatore a una riforma complessiva del sistema di responsabilità amministrativa, per evitare che il carico del rischio venga trasferito integralmente sulla collettività.
Nel motivare la necessità di una revisione sistemica, la Corte costituzionale ha delineato alcune vie percorribili. Tra queste:
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una definizione più precisa della “colpa grave”, per evitare incertezze interpretative affidate alla discrezionalità del giudice;
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l’introduzione di un tetto massimo di responsabilità a carico del singolo, oltre il quale l’eventuale risarcimento dovrebbe essere sostenuto dall’amministrazione;
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l’obbligo, in certe situazioni tipiche, per il giudice di ridurre l’importo del danno imputabile al dipendente;
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una valorizzazione del ruolo preventivo della Corte dei conti, affiancata da esenzioni per chi si attenga alle sue indicazioni;
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l’incentivazione (ma non l’imposizione) di assicurazioni a copertura delle eventuali responsabilità;
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la previsione di esclusioni eccezionali di responsabilità colposa per specifiche categorie di funzionari, soprattutto in presenza di compiti particolarmente complessi o a elevato rischio patrimoniale;
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infine, norme che evitino la sovrapposizione di procedimenti sanzionatori per uno stesso fatto.
Un banco di prova per il Parlamento
La proposta di legge si muove dunque lungo un crinale delicato: da un lato, intende rendere più fluida e coraggiosa l’azione amministrativa, soprattutto in una fase di ricostruzione economica e istituzionale; dall’altro, è chiamata a garantire che l’uso di risorse pubbliche resti trasparente e soggetto a controlli efficaci.
L’avvio della discussione in Aula segnerà un momento chiave per il confronto politico, anche perché l’eventuale riforma andrà a incidere sul cuore stesso del rapporto tra pubblica amministrazione e responsabilità individuale. Con un equilibrio ancora tutto da costruire.
Il dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati
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