Cecchettin: “Il reato di femminicidio è una presa di coscienza collettiva. Ma la norma non basta”

Il papà di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato: l’educazione affettiva nelle scuole deve diventare sistematica. “Come sto? Ho da poco perso anche mia madre Quindi spero in momenti migliori”

Mar 8, 2025 - 08:13
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Cecchettin: “Il reato di femminicidio è una presa di coscienza collettiva. Ma la norma non basta”

Firenze, 8 marzo 2025 – L’introduzione del reato di femminicidio era una delle proposte che aveva in cantiere la Fondazione Giulia Cecchettin, nata a novembre scorso dalla volontà del padre Gino di dare un senso, se un senso può esserci, all’ennesima donna uccisa per mano di un uomo. Sua figlia, appunto, uccisa a novembre 2023 dall’ex fidanzato Filippo Turetta.

Cosa ne pensa della volontà di riconoscere giuridicamente il delitto di femminicidio?

Gino Cecchetin
Salieri/BUON VIVERE Gino Cecchetin incontra gli studenti dell'università .

“Finalmente è arrivato. È una presa di coscienza collettiva che esiste il femminicidio, una differenziazione di cui abbiamo bisogno. Il comitato legale della Fondazione aveva il desiderio di proporlo”.

Un passo importante, ma può bastare?

“Ovviamente no, come non bastano le leggi in generale. Serve poi un’azione culturale, che è alla base di una società civile”.

Il sistema scolastico è pronto ad avviare questo cambiamento culturale?

“Servono risorse. Bisognerebbe anche dare ai docenti i mezzi per poterlo affrontare. Come Fondazione, tra i primi progetti, abbiamo appunto la formazione dei docenti. L’educazione affettiva, a parte qualche progetto attivato dalle singole scuole, deve diventare sistematica. Sono gli studenti stessi a chiederlo”.

C’è consapevolezza fra i giovani?

“Tantissima. Sono loro che a volte chiedono ai docenti di confrontarsi su queste tematiche. Molti si chiedono cosa fare per poter garantire un futuro più tranquillo. Negli incontri nelle scuole noto grande partecipazione, voglia di condividere”.

C’è speranza nel cambiamento quindi?

“Direi di sì. Forse questa speranza viene annebbiata dalle notizie. Le cose negative vengono veicolate più velocemente, mentre il bello non fa notizia. Bisognerebbe dar loro più voce”.

Facciamo un passo indietro, come sta?

“Andiamo avanti con le nostre vite, con il pensiero sempre a Giulia. Ho da poco perso mia madre, quindi spero in momenti migliori”.

La sua vita però è cambiata da un anno e mezzo. Il modo in cui ha affrontato la tragedia, l’ha fatto diventare un simbolo di lotta...

“Non vorrei essere considerato tale, altri maschi prima di me hanno iniziato questo percorso. Da papà ho solo riscontrato un problema sociale e, ispirandomi a Giulia, ho cercato di capire cosa poter fare. È senza dubbio un impegno che richiede tempo, ormai ho due lavori, però è un’attività che restituisce molto”.

Si è mai pentito?

“No, assolutamente no. Guardo la foto di Giulia e penso che se questo percorso fosse stato fatto prima, forse non avrei perso mia figlia. Quindi vado avanti sperando che qualcuno possa trarne giovamento un domani, anche se a volte le energie possono cambiare”.

La Fondazione dedicata a Giulia è nata a un anno dalla morte. Come procedono i lavori?

“Il Comitato scientifico sta elaborando la proposta di formazione nelle scuole, ma richiede tempo. Stiamo cercando anche di capire quante scuole decideranno di aderire e poi lavoreremo in parallelo con gli studenti”.

A proposito di educazione, la prossima settimana sarà a Firenze, ospite di Anna Paola Concia per Fiera Didacta Italia. Potrebbe esserci una futura collaborazione con la Fondazione?

“Sono stato invitato ad un panel sull’educazione di genere e insieme a me ci sarà una componente del comitato scientifico. Ne stiamo parlando; su una futura collaborazione ancora non c’è nessun protocollo, ma non sarebbe male lavorare insieme”.