Casa Abis: su TikTok il teatro non è morto, ha solo cambiato palco
Gabriele Abis e Stella Falchi. Due attori, una visione: Casa Abis riscrive il teatro sui social senza svenderlo alla viralità L'articolo Casa Abis: su TikTok il teatro non è morto, ha solo cambiato palco proviene da Globalist.it.

di Alessia de Antoniis
Cosa accade quando due attori formatisi nel teatro classico, con alle spalle Pirandello, Shakespeare e Brecht, decidono di portare il loro mestiere nel mondo digitale? Succede che il palco si riduce a uno smartphone, la platea diventa una folla virtuale di centinaia di migliaia di follower e il teatro non si spegne: si reinventa.
Lui è Gabriele Abis, attore formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, lei è Stella Falchi, performer, attrice, ex insegnante e autrice. Insieme sono Casa Abis, uno dei progetti comico-narrativi più seguiti sui social in Italia, nati come coppia sul palco e poi diventati virali con micro sketch che sezionano con ironia le dinamiche della vita quotidiana. Ma chi pensa che siano solo “quelli dei reel” si sbaglia di grosso. Dietro c’è teatro, pedagogia, filosofia, artigianato artistico. E una visione.
A Cortinametraggio, dove erano in giuria, li abbiamo incontrati per parlare di linguaggi, trasformazioni e – come direbbe Brecht – dei bisogni spirituali del pubblico.
Da Shakespeare ai social: come siete arrivati fin qui?
Gabriele: Non è stato un passaggio immediato. Noi portavamo in scena Pirandello, Shakespeare, Brecht. Riscritture nostre, adattamenti da romanzi, poesie. Quando il mondo ha iniziato a muoversi sui social, complice anche la pandemia, ci siamo chiesti: come possiamo usare questi strumenti per continuare a raccontare storie? E abbiamo capito che dovevamo studiare. I primi video erano lunghi, troppo teatrali, e non funzionavano. Così abbiamo cambiato. Era necessario. Se vuoi raccontare, devi trovare chi ascolta. Anche Dante, se avesse chiuso la Commedia in un cassetto, non sarebbe arrivato a nessuno.
Stella: L’inizio è stato difficile. Abbiamo trasformato Instagram in un nuovo tipo di palcoscenico. Ma la regola è rimasta la stessa: togliere il superfluo, arrivare al cuore. Abbiamo dovuto imparare una nuova metrica, come nella poesia: dire qualcosa di vivo in 45 secondi.
Il vostro successo è frutto di una forma etica di adattamento. Non vi siete piegati alla viralità a tutti i costi…
Stella: Sì, ci dissociamo da chi vuole diventare virale “purché se ne parli”. Se ci fermiamo all’incidente in autostrada – per usare una metafora – stiamo solo cavalcando il voyeurismo. Noi volevamo costruire un contenuto, non una reazione.
Gabriele: E c’è di più. Per chi viene dalla formazione teatrale è difficile accettare l’eventualità di non piacere. Il social è uno specchio crudele: non è detto che chi ti guarda ti abbia scelto. Ma anche questa è una palestra. E poi, se Shakespeare scriveva per chi beveva birra nel retro dei pub, perché oggi non possiamo raccontare qualcosa in 60 secondi su TikTok?
Quindi i social non uccidono l’arte?
Gabriele: No, la costringono dentro una forma. Come la metrica fa con la poesia. Se non riesci a dire qualcosa in un minuto, forse non riesci a dirlo nemmeno in due ore.
Stella: È una questione di onestà artistica. Picasso è stato criticato perché faceva “stranezze”, ma chi lo criticava ignorava che sapesse disegnare benissimo. Noi cerchiamo di mantenere quella libertà, quella forza di fregarsene.
Cosa significa per voi adattarsi a questo nuovo linguaggio?
Gabriele: È stato un lento e sofferto percorso di studio. Non è bastato essere attori: abbiamo creato un’organizzazione da piccola casa di produzione: scrittura, girato, montaggio, programmazione editoriale. Abbiamo scelto un contenuto e lo abbiamo reso riconoscibile, strutturato, coerente.
Stella: Sui social devi adattarti come l’acqua al contenitore. Abbiamo scelto di raccontare la vita di coppia, in tutte le sue sfaccettature. È una scelta comunicativa precisa. Ma resta teatro. Giocato, costruito, scritto.
È corretto definirvi “influencer”?
Stella: Ci hanno chiamati a Cortinametraggio non perché facciamo i reel. Maddalena Mayneri ha capito che siamo attori. Il nostro obiettivo, ora, è essere riconosciuti anche in ambito cinematografico e televisivo. Perché tutto ciò che è venuto prima di Casa Abis – sei anni di produzioni teatrali – nessuno lo conosce. Ma esiste. E vale.
Gabriele: È come Ciufoli – conduce da 7 anni Cortinametraggio, nda – della Premiata Ditta: pochi sanno quanto fosse talentuoso anche come attore drammatico. C’è un pregiudizio enorme. Se sei nato sui social, sei “social”. Se fai il comico, puoi fare solo quello. Invece serve più profondità. E un pubblico che si informi.
Che tipo di pubblico vi segue?
Gabriele: Sui social non è semplice parlare di pubblico in senso tradizionale. In teatro il pubblico sceglie te. Sui social no: capita per caso sul tuo profilo. Ed è spietato. Per stare sui social devi purtroppo sopravvivere anche alle offese gratuite. Siamo in un cortocircuito: a teatro nessuno fischia più, per educazione o per non sentirsi fuori dal coro. Sui social, dietro un nickname, si insulta. Ma la verità è che il pubblico ha bisogno di verità. Di autenticità. E di bellezza.
Stella: Il nostro contenuto ha uno studio dietro. E il pubblico, anche online, se ne accorge. L’arte non deve adattarsi alla tendenza: deve restare autentica.
E comunque… il pubblico, come dice Umberto Orsini, dovrebbe tornare a fischiare. Il dissenso fa bene. Sui social invece si odia nell’anonimato. In teatro, il fischio era un atto utile. Perché significa: ti ho ascoltato.
E l’insegnamento? È ancora parte del vostro percorso? Oggi l’inglese lo insegnano le AI. Vale anche per la recitazione?
Stella: Per sette anni abbiamo insegnato recitazione a bambini, adolescenti e adulti. Nelle scuole, nei corsi, ovunque. Volevamo far innamorare i ragazzi del teatro. E alcuni nostri ex allievi oggi sono all’Accademia d’Arte Drammatica. E crediamo che insegnare non sia solo trasmettere nozioni – per quelle basta un motore di ricerca. È contagiare qualcuno con la tua passione. Lo dicevo anche ai ragazzi del Marateale in School: le opportunità vanno cercate dove gli altri non guardano.
Gabriele: L’intelligenza artificiale ti dà una nozione. Ma non ti fa brillare gli occhi. La passione, quella negli occhi del maestro, non è replicabile. Noi abbiamo sempre cercato di trasmettere quella.
C’è un pregiudizio anche verso il pubblico dei social?
Gabriele: Sì, e va superato. Chi sta sui social non è per forza ignorante. Anzi, spesso è più critico. Penso ai ragazzi di Geopop, che parlano a centinaia di migliaia di persone con rigore e passione. È questa la sfida: trasformare i social da mercato a palcoscenico.
Stella: La differenza la fa la preparazione. Non basta sapere, bisogna anche saper comunicare. E chi fa divulgazione vera sui social oggi è spesso più efficace di tanti che parlano da una cattedra.
Questa visibilità ha un rovescio della medaglia?
Stella: Essere riconosciuti solo per Casa Abis. Tutto il resto rischia di essere dimenticato. Ma abbiamo imparato a fregarcene. Se mettiamo un contenuto e viene criticato, va bene. Siamo in pace con quello che facciamo. La nostra forza è che ci bastiamo.
Casa Abis è molto più di una pagina social. È un laboratorio artistico, uno specchio ironico del quotidiano, un modo per tenere vivo lo spirito del teatro dentro una società che ha cambiato forma, ma non fame di storie. Avete capito che il vero palcoscenico non è un luogo: è uno sguardo. Ma c’è un lato di voi che pochi conoscono. Avete un hobby interessante… I giochi da tavolo. È vero?
Stella: Siamo due nerd! Abbiamo più di 400 giochi da tavolo. E ci capita di giocarci con colleghi attori come Francesco Lancia o Roberto Lipari. Il gioco per noi è fondativo.
Gabriele: Il nostro lavoro nasce dal gioco. In inglese si dice to play per recitare. In italiano “recitare” è una parola orrenda: vuol dire ripetere. Noi giochiamo. E ogni contenuto nasce da lì.
Qual è il prossimo palco che sognate?
Gabriele: Il cinema. O comunque un altro spazio narrativo, anche televisivo. Maddalena Mayneri ci ha chiamati non come influencer, ma come attori. Questo è già un segno. Ma ci piacerebbe essere riconosciuti anche per i sei anni di teatro che ci hanno formato prima del social.
Stella: Il punto è questo: oggi ci richiedono solo quello che abbiamo fatto dopo. Ma ciò che siamo lo abbiamo costruito molto prima. La nostra vera forza è che siamo ancora attori. Anche se oggi ci vedete su un telefono.
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