Caffè e crisi climatica: una filiera sempre più fragile

La crisi climatica mette a rischio la produzione di caffè e la sopravvivenza dei piccoli produttori. Ecco cosa sta accadendo L'articolo Caffè e crisi climatica: una filiera sempre più fragile proviene da Valori.

Mag 12, 2025 - 06:54
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Caffè e crisi climatica: una filiera sempre più fragile

Sembra solo una tazzina di caffè. Ma dentro ci sono storie di foreste che spariscono, temperature che salgono e persone che lavorano senza tutele. Questo articolo fa parte di un mini-dossier che prova a guardare oltre l’aroma: per capire davvero cosa beviamo ogni mattina — e perché dovremmo farci qualche domanda in più.

Gli articoli del dossier:


Caffè e crisi climatica: una filiera sempre più fragile

La produzione di caffè contribuisce in modo significativo ai cambiamenti climatici, ma allo stesso tempo ne subisce le conseguenze. Il riscaldamento globale rende la coltivazione sempre più instabile: negli ultimi anni si è assistito a una contrazione dell’offerta, mentre la domanda non ha smesso di aumentare.

Cosa sta succedendo ai Paesi produttori di caffè con la crisi climatica

Gli effetti della crisi climatica sui Paesi produttori di caffè saranno tanti e diversi: dall’aumento delle temperature a un clima più secco, o al raffreddamento del clima e a una maggiore umidità. Gran parte della produzione globale di caffè avviene nell’emisfero meridionale. Al contrario, il consumo si concentra soprattutto nei Paesi del nord del mondo. Quasi tutto il caffè che si beve in Europa e Nord America proviene da Brasile, Vietnam e Colombia. E in misura minore da Indonesia, Etiopia, Messico, Guatemala, Honduras e Perù. A consumarne di più, però, sono le persone che vivono nell’Unione europea e negli Stati Uniti. 

Più della metà del caffè che si produce in tutto il mondo proviene dalla cosiddetta “cintura del caffè” che va dal Brasile (40% della produzione globale nel 2023) al Vietnam (17%).  Da quando gli impatti della crisi climatica sono più intensi, però, i modelli meteorologici sono imprevedibili: le temperature sono più alte, siccità e gelate sono sempre più frequenti. Questo incide sui raccolti. E, di conseguenza, anche sui prezzi. La crisi climatica peggiora le condizioni dei piccoli coltivatori, produttori del 60% del caffè bevuto in tutto il mondo. Il 44% di questi vive già al di sotto della soglia di povertà; il 22% in povertà estrema. Gli impatti degli eventi estremi sui raccolti li rendono sempre più vulnerabili. 

Temperature in aumento e raccolti a rischio: i danni alla produzione

Stime recenti affermano che entro il 2050 più della metà delle terre utilizzate per coltivare caffè potrebbe non essere più adatta allo scopo. Il Brasile, principale produttore mondiale, rischia di perderne tra il 35% e il 75%. Quasi due terzi del caffè in commercio provengono dalla Coffea arabica, mentre l’altra varietà più diffusa è la Coffea canephora, nota anche come robusta. Entrambe crescono in condizioni ottimali a temperature comprese tra i 18 e i 23 °C tutto l’anno. In molte zone del Brasile, però, si è ormai prossimi al limite superiore di questa soglia.

L’aumento delle temperature genera due ulteriori effetti negativi. C’è la “ruggine del caffè” (Hemileia vastatrix), un fungo che degrada le foglie della pianta rendendo complicata la fotosintesi. Nel 2012 in America centrale ha devastato i raccolti e fatto perdere il 12% della produzione. Dall’altro ci sono gli insetti. In particolare, la Leucoptera coffeella e la Hypothenemus hampei. La prima è una falena che depone le uova nei frutti, mentre sono in fase di maturazione. La seconda è un coleottero, detto “piralide della bacca di caffè”, che scava le bacche creando veri e propri tunnel, perché diventino riparo per le sue uova. 

Gli effetti della crisi climatica sul settore sono già evidenti anche in Vietnam, dove le regioni meridionali — attualmente dedicate alla coltivazione del caffè — rischiano sempre più spesso di superare l’intervallo termico ideale di 18-23 °C. In particolare, il fenomeno climatico El Niño ha causato nella regione prolungate ondate di caldo. Secondo i dati del dipartimento dell’agricoltura, la produzione è calata del 20% tra 2023 e 2024, toccando il punto più basso dal periodo pre pandemico. Mentre in Brasile la produzione di caffè è in gran parte industriale e concentrata nelle mani di grandi aziende, in Vietnam prevalgono i piccoli produttori. In caso di un aggravarsi della crisi climatica, questi ultimi difficilmente potranno permettersi di investire in innovazione o, nei casi più critici, trasferire le coltivazioni altrove.

Prezzi del caffè in salita: tra scarsità e speculazione

Tutti questi fattori hanno contribuito a far schizzare i prezzi del caffè, aggravando una situazione già critica. Molti produttori di caffè, infatti, in previsione dell’aumento hanno frenato le vendite. Le conseguenze sul mercato sono state devastanti. A dicembre 2024 l’Arabica ha subìto un aumento del 13% arrivando a costare il 60% in più rispetto al 2023. Anche la Robusta ha visto il proprio prezzo raddoppiare. L’aumento continuerà anche nel corso di quest’anno, visto che per il 2025 si prevede un calo di produzione del 4,4% in Brasile e un calo globale dell’Arabica del 12%. Costi che ricadranno per lo più su chi consuma. 

A incidere sul prezzo del caffè, però, non sono stati solo gli effetti diretti della crisi climatica. A partire dalla pandemia di Covid-19, la vulnerabilità del sistema delle catene di approvvigionamento si è fatta sempre più palese. Tra chiusure, ritardi nei trasporti e mancanza di manodopera, il mercato del caffè ha subito un duro colpo, aggravato dalla situazione geopolitica. Gli attacchi nel Mar Rosso hanno imposto alle navi che passavano dal Canale di Suez di passare per il Capo di Buona Speranza. Rendendo la rotta non solo più lunga, ma anche più costosa. 

In tutto il mondo, inoltre, si sta registrando un notevole aumento della domanda che, in condizioni di scarsità come quelle attuali, comporta un ulteriore contributo alla crescita del costo del caffè. La diminuzione e il peggioramento della qualità del raccolto da un lato, le interruzioni per il conflitto in Medio Oriente dall’altro, hanno reso più forte l’effetto dell’inflazione. In questo momento il prezzo del caffè ha raggiunto i massimi storici da quindici anni a questa parte. 

Come adattarsi: soluzioni e nuove strategie per la filiera del caffè

Per affrontare la crisi climatica nella filiera del caffè, analisti e ricercatori stanno proponendo diverse strategie di adattamento. Da un lato si interviene sulla disponibilità complessiva del prodotto, diversificando le specie coltivate o recuperando varietà dimenticate, come la Coffea affinis in Sierra Leone, la Coffea stenophylla o la Gibberella xylarioides, abbandonate da oltre un secolo a causa dell’omologazione del mercato globale sulle sole due specie principali. Dall’altro lato, si punta a migliorare i metodi di coltivazione adottando pratiche agronomiche più avanzate.

La combinazione di queste strategie potrebbe favorire la diffusione di nuove varietà di caffè, più resilienti di fronte a condizioni climatiche imprevedibili. In America Latina si stanno sviluppando varietà resistenti alla ruggine e promuovendo la coltivazione in aree boschive. Anche se le piante coltivate all’ombra rendono fino a tre volte meno rispetto a quelle esposte al sole, la copertura arborea offre numerosi vantaggi: protegge le coltivazioni, crea habitat per la fauna e può contribuire ad aumentare il reddito dei produttori. In Perù, ad esempio, le sperimentazioni con piantagioni a media ombra hanno mostrato rese e ricavi lordi più elevati.

In generale nei prossimi anni emergeranno – e in alcuni casi stanno già emergendo – nuove aree di approvvigionamento: dalla regione cinese dello Yunnan al Burundi alla Papua Nuova Guinea. Il loro ruolo sarà fondamentale anche nella stabilizzazione del mercato. 

Il caffè e il debito ecologico verso i Paesi più colpiti

Un dato fondamentale non può essere ignorato: la maggior parte della produzione di caffè, come già evidenziato, si concentra in Paesi in via di sviluppo o in economie fragili. Si tratta di aree che spesso non dispongono né delle infrastrutture né delle risorse necessarie per attuare strategie di adattamento. Eppure sono proprio queste regioni a subire le conseguenze più gravi della crisi climatica, pur avendo contribuito in minima parte a causarla.

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