Black bag, Steven Soderbergh mette la sua firma d’autore a una pregevole spy story
Non abbiamo visto se sotto al tavolo è stata messa una bomba, ma in qualche modo sappiamo che a breve esploderà. Black bag non è certo un film di Alfred Hitchcock, ma Steven Soderbergh al maestro inglese potrebbe addirittura insegnare qualcosa. Lanciato il sasso non togliamo la mano, perché in tempi durissimi, dove il cinema […] L'articolo Black bag, Steven Soderbergh mette la sua firma d’autore a una pregevole spy story proviene da Il Fatto Quotidiano.

Non abbiamo visto se sotto al tavolo è stata messa una bomba, ma in qualche modo sappiamo che a breve esploderà. Black bag non è certo un film di Alfred Hitchcock, ma Steven Soderbergh al maestro inglese potrebbe addirittura insegnare qualcosa. Lanciato il sasso non togliamo la mano, perché in tempi durissimi, dove il cinema sta diventando reiterato strazio, peraltro in disuso, Soderbergh firma una pregevole spy story, genere che mancava nel suo articolato e versatile carnet, tagliando la merce da intrattenimento con polvere sofisticata d’autore.
La trama è bella intricata, ma lo sviluppo pratico evita la scorciatoia dell’azione e della violenza esibita (c’è una macchia di sangue, inevitabile, sul muro, verso la fine). E poi come nei migliori Soderbergh (Unsane, Ocean’s) il comparto suspense, ritmo (prima occhiata all’orologio al minuto 65 su 93 totali), capacità di decorare, pitturare, dare vita ad un’atmosfera d’epoca ma esasperatamente contemporanea, sfiora la perfezione. George (Michael Fassbender), un elegante agente alto in grado di una non ben identificata intelligence britannica, deve scoprire chi tra due coppie di colleghi e sua moglie Kathryn (Cate Blanchett) sta tradendo l’agenzia di spie super cool.
L’operazione Severus, con tanto di guerra nucleare dietro l’angolo, che coinvolge la Russia, sembra sia scattata proprio grazie all’inganno del traditore. Non basta un po’ di droga nel chana masala per gli invitati sospetti a cena in casa propria, bisogna disattivare e utilizzare in segreto videocamere satellitari, rovistare nel cestino dei rifiuti del salotto, usare il poligrafo, trafficare tra droni, IA e la solita vecchia pistola nascosta nella cassetta della pesca al lago. Ambientato tra Londra e un paio di esterni lacustri, Black bag “sembra una partita di tennis”, un continuo scambio e rimpallo di accuse, ammiccamenti e colpi bassi tra uffici di grattacieli, interni con luci flou e improvvisi sbalzi fuori fuoco nella stessa inquadratura, dove in ballo oltre ai destini del proprio paese e del mondo c’è soprattutto da verificare la fiducia matrimoniale e personale tra George e Kathryn.
Insomma, come se La Talpa, Mr & Mrs Smith e Allied venissero miscelati insieme da un abile bilanciatore di ingredienti. Perché Soderbergh ha questa impressionante sopraffina capacità di passare da un serrato dialogo frontale a due ad una sequenza zeppa di schermi iperattivi di mille monitor, da un’automobile che salta per aria al dettaglio crudo di una pietanza indigeribile, mantenendo sempre la stessa, pazzesca, mostruosa, sorniona intensità. Fassbender gelido, impeccabile, finanche cinico, supera di mezzo millimetro in funzionalità e charme la Blanchett, qui in versione noir un po’ troppo rimasticata. La sequenza dell’esame al poligrafo da parte di George a tutti i sospettati, montata magistralmente a mille con il continuo stratificarsi di domande ad un sospettato, il particolare dello schermo di un monitor che registra l’agitazione del soggetto e con l’ultima risposta che passa improvvisamente ad un altro sospettato, va semplicemente mandata a memoria.
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