Addio ai test sugli animali? Il dolore ora si studia su un mini sistema nervoso

C’è un piccolo frammento di sistema nervoso umano – lungo appena due centimetri, simile a una minuscola salsiccia traslucida – che sta rivoluzionando il modo in cui comprendiamo il dolore. Non è un cervello, né un essere vivente. È un modello creato in laboratorio da un gruppo di neuroscienziati della Stanford University, formato da cellule...

Apr 21, 2025 - 18:08
 0
Addio ai test sugli animali? Il dolore ora si studia su un mini sistema nervoso

C’è un piccolo frammento di sistema nervoso umano – lungo appena due centimetri, simile a una minuscola salsiccia traslucida – che sta rivoluzionando il modo in cui comprendiamo il dolore. Non è un cervello, né un essere vivente. È un modello creato in laboratorio da un gruppo di neuroscienziati della Stanford University, formato da cellule umane coltivate e guidate con precisione a diventare ciò che la scienza chiama organoidi: strutture tridimensionali che imitano alcune funzioni del nostro sistema nervoso.

Ma questa volta la novità è davvero senza precedenti. Per la prima volta, gli scienziati sono riusciti a ricostruire in laboratorio l’intero circuito sensoriale del dolore umano. Dalla pelle fino alla corteccia cerebrale, ogni tappa del viaggio che compie un impulso doloroso è stata replicata. Il tutto senza arrecare alcuna sofferenza a un essere vivente, come illustra Sergiu Pasca, autore principale dello studio e professore di psichiatria a Stanford.

Abbiamo ora un modello che ci permette di osservare come si trasmette il dolore, senza doverlo causare a nessuno.

Dalle cellule della pelle a un sistema nervoso funzionante

Il cuore di questo straordinario esperimento è un modello chiamato sensory assembloid. Si tratta di un sistema formato da cellule della pelle umana che, una volta riprogrammate in cellule staminali pluripotenti, sono state guidate a trasformarsi in diverse componenti del sistema nervoso.

Il team ha costruito quattro organoidi, ciascuno rappresentante una parte chiave del circuito del dolore:

  • il ganglio della radice dorsale (dove iniziano i segnali sensoriali),
  • il midollo spinale,
  • il talamo (centro di smistamento delle informazioni nel cervello),
  • e la corteccia somatosensoriale, dove le sensazioni diventano percezione cosciente.

Questi quattro elementi sono stati posizionati uno accanto all’altro, e nel giro di circa 100 giorni, i neuroni hanno iniziato a collegarsi spontaneamente, formando veri e propri circuiti elettrici funzionanti. Quando i ricercatori hanno stimolato la parte sensoriale, il segnale ha attraversato tutti e quattro gli organoidi, proprio come accade nel corpo umano.

Per rendere l’esperimento ancora più concreto, è stata utilizzata la capsaicina, la molecola che dà il piccante ai peperoncini. Il suo effetto ha innescato una cascata di segnali elettrici, che sono stati osservati in tempo reale attraverso registrazioni neurali e imaging al calcio. Non solo: i segnali viaggiavano in modo sincrono, imitando il ritmo e la coordinazione con cui il nostro cervello processa le sensazioni, come sottolineato da Pasca.

Il cervello non è solo un insieme di parti, ma un organismo sincronizzato. Con questo modello possiamo finalmente osservare tutto il circuito sensoriale in azione.

La svolta etica e scientifica

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui studiamo il dolore cronico e i disturbi neurologici. Solo negli Stati Uniti, oltre 100 milioni di persone convivono con il dolore cronico, e spesso si ricorre a farmaci non specificamente sviluppati per questo scopo, come antidepressivi, anticonvulsivanti e oppioidi, con effetti collaterali anche gravi.

Ma la vera rivoluzione di questo studio è duplice:

  • Permette di studiare il dolore umano senza infliggere sofferenze ad animali o pazienti.
  • Offre una nuova strada per comprendere meglio come funziona il dolore a livello molecolare e genetico.

Un esempio concreto è la proteina Nav1.7, un canale del sodio nei neuroni sensoriali. Alterazioni nel gene SCN9A che la codifica possono rendere una persona ipersensibile al dolore o, al contrario, completamente insensibile. Quando i ricercatori hanno introdotto nel modello una versione mutata di questa proteina, il sistema ha reagito con scariche nervose più intense. Al contrario, bloccando la proteina, la trasmissione del dolore si interrompeva, pur mantenendo l’attività dei neuroni, come spiegato da Pasca.

Non è un singolo neurone a determinare il dolore, ma la rete che si attiva insieme. E ora possiamo studiarla in dettaglio, senza mai far male a nessuno.

Dal laboratorio alla clinica

Nonostante il modello sia ancora in una fase iniziale – manca ad esempio l’amigdala, che è fondamentale per attribuire una componente emotiva al dolore – le sue potenzialità sono enormi.

Il team sta già lavorando a versioni più complesse degli assembloidi, in grado di simulare i circuiti di feedback del cervello. In futuro, migliaia di questi mini sistemi nervosi potrebbero essere prodotti in serie per testare nuovi farmaci, valutarne l’efficacia e gli eventuali effetti collaterali sulla percezione sensoriale.

E non solo: questa tecnologia è già stata utilizzata per studiare geni coinvolti in disturbi dello spettro autistico e nella sindrome di Tourette, che spesso includono anche una sensibilità estrema a stimoli tattili, sonori o dolorosi.

L’università di Stanford ha già depositato il brevetto per questa tecnologia, aprendo la strada a una nuova era in cui la ricerca sul dolore non sarà più sinonimo di sofferenza.

Non vuoi perdere le nostre notizie?

Fonte: Nature

Ti potrebbe interessare anche: