Zamboni (ri)legge e canta Pasolini. Un profeta ancora contemporaneo

“P.P.P. Profezia è Predire il Presente“ dallo spettacolo al cd: il musicista si misura con l’attualità del poeta .

Feb 18, 2025 - 09:02
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Zamboni (ri)legge e canta Pasolini. Un profeta ancora contemporaneo

Roma, 18 febbraio 2025 – Per Massimo Zamboni le celebri iniziali di Pier Paolo Pasolini – PPP – stanno per “Profezia è Predire il Presente“: così il musicista reggiano titola il suo spettacolo dedicato al poeta, ora in un cd accompagnato da un libretto (Le Vele - Egea Records). Pasolini stesso sapeva di questo suo dono, o forse era una maledizione: sapeva di riuscire a cogliere, negli abissi della vita osservata, vissuta e bruciata, i segni di quel che avviene e avverrà. Nell’ultima intervista della sua vita, quella con Furio Colombo, che lo impegnò fra le 16 e le 18 del 1° novembre 1975, poche ore prima d’essere ucciso sulla spiaggia di Ostia, PPP spiegò così la sua condizione di uomo e di intellettuale: "Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. (...) Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere".

Ecco il Pasolini che a metà degli anni Settanta descrive in diretta, con profetica esattezza, la "mutazione antropologica" degli italiani, sopraffatti dall’edonismo consumista e resi indistinguibili gli uni dagli altri: il fascista dall’antifascista, arrivò a dire PPP. Non aveva torto, come ben sappiamo. La sua profetica predizione dell’omologazione culturale, politica e perfino sentimentale degli italiani è il nostro presente e Pasolini lo intuiva. È l’Italia che non vuole né sogna una rivoluzione, l’Italia assuefatta e rinunciataria, l’Italia che dal ’75 in poi, nel post Pasolini, non ha più trovato una svolta, una presa di coscienza, men che mai la manifestazione di un vero desiderio di rottura.

L’intervista fatta da Colombo è quella che Pasolini stesso chiese di intitolare “Siamo tutti in pericolo", un’indicazione che risultò sconvolgente per la sua morte avvenuta poche oro dopo; e “siamo tutti in pericolo“ dice Zamboni nel brano scelto per chiudere il cd, Persona non grata: “Siamo tutti in pericolo / Forse sono io che sbaglio, ma io continuo a dire che siamo / tutti in pericolo“ e poco dopo, con tono accorato, urlato e quasi disperato: “Nessuna voce dietro di me / nessuna voce dento / Nessuna voce dopo me / canto l’isolamento“. Anche Zamboni ha un incontro con Pasolini da raccontare: il primo libro del poeta comprato durante l’Assemblea nazionale della Fgci a Rimini nell’ottobre 1975. Non era, quel libro, Una vita violenta o Ragazzi di vita, i due romanzi romani di PPP, e nemmeno Le ceneri di Gramsci o Il sogno di una cosa, bensì Canzoniere italiano. La poesia dell’altra Italia, i testi poetici popolari delle regioni italiane, un volume curato da Pasolini e dal quale Zamboni prende una “villotta friulana“, E jo çanti, per metterla in apertura del cd. È questo il Pasolini etnografo, cultore della provincia e di un’Italia pre industriale, ancora immune dal “nuovo fascismo“ dei consumi. Zamboni racconta che Pasolini aveva definito i ragazzi della Fgci "l’unica eccezione rimasta alla regola della degradazione. Temo che avesse ragione anche su questo".

Non c’è nostalgia nello spettacolo e nel disco di Zamboni, nemmeno il vittimismo degli sconfitti, piuttosto la consapevolezza che la frattura profetizzata da PPP ci riguarda ancora, non è stata affatto superata. E semmai Zamboni sembra guardare al tempo stesso avanti e indietro, tentando un’opera di ricucitura, col desiderio di non cedere all’oblio, né alla rassegnazione. Guarda dunque indietro, per esempio con un brano portoghese a suo tempo famoso, un canto della fratellanza, quel Grândola vila morena la cui messa in onda, a Radio Renascença, fu il segnale d’avvio della Rivoluzione dei garofanì (1975), o anche nell’evocazione, con Fermamente collettivamente, un brano del 2022 ora riproposto, della sconfitta di tutte le sinistre: “Lentamente / ogni cosa / che ci empiva / dimorava, si ritrae“. Ma guarda anche avanti, Zamboni, perché nella vita e nell’opera di Pasolini, e nel suo stesso percorso d’artista, trova un possibile filo conduttore: il noi da opporre all’io. In Sorella sconfitta, dall’iniziale verso sulle “tre piaghe nel cuore / e nessun filo per poterle cucire / e il coraggio per poterle cantare“, si arriva al finale “Mi hai dato gli occhi e tre lame nel cuore / qualche canzone da rimarginare / mi hai dato gli occhi e il microfono in mano / e il coraggio di poterla cantare“. E nel Canto degli sciagurati sembra comparire il “popolo“ di Pasolini, quell’umanità incontrata all’inferno, ai margini dell’"ansiosa volontà di uniformarsi": “L’onda immensa del popolo minuto / chiama la tempesta e l’edificio crollò / sacra la vittoria delle moltitudini / non temo ciò che viene / temo chi è venuto già".

In un noto intervento alla Festa dell’Unità di Milano nell’estate del ’74, l’intervento nel quale parlò del "genocidio" di "larghe zone della società italiana" tramite la "distruzione e sostituzione di valori", Pasolini concluse così: "Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto a essa, e all’angoscia che produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, fra voi, a parlare". Zamboni chiude il suo libretto citando il famoso j’accuse di PPP, l’articolo Il romanzo delle stragi degli Scritti corsari, quello in cui Pasolini dice di sapere i nomi dei colpevoli, ma di non avere le prove, e chiosa così, con pasoliniano slancio: "Li sappiamo anche noi quei nomi, e sappiamo la loro versione aggiornata; e come lui non abbiamo le prove per poterli dire. Ma un’altra cosa sappiamo, per avere guardato in faccia i portatori di quei nomi: che, ancora una volta, il Potere logora chi ce l’ha". Pasolini profeta ancora contemporaneo.