“Yellowstone” il supervulcano inquietante che parla

Nel dibattito scientifico e pubblico “Yellowstone” è spesso sinonimo di imminente apocalisse: immagini di cieli oscurati, nazioni in fuga, una “notte vulcanica” che avvolge il pianeta. La scienza, però, offre un quadro più sfumato, in cui la probabilità reale di un evento di scala VEI 8 è bassissima ma non nulla, mentre le conoscenze sul […] “Yellowstone” il supervulcano inquietante che parla

Apr 23, 2025 - 14:19
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“Yellowstone” il supervulcano inquietante che parla
Nel dibattito scientifico e pubblico “Yellowstone” è spesso sinonimo di imminente apocalisse: immagini di cieli oscurati, nazioni in fuga, una “notte vulcanica” che avvolge il pianeta. La scienza, però, offre un quadro più sfumato, in cui la probabilità reale di un evento di scala VEI 8 è bassissima ma non nulla, mentre le conoscenze sul sistema magmatico, sugli effetti climatici e sulle strategie di mitigazione si sono raffinate enormemente negli ultimi vent’anni. Quanto magma c’è davvero sotto Yellowstone? Tomografie sismiche, esperimenti di magnetotel­luri­ca e simulazioni elettro-conduttive descrivono un sistema a due livelli. Il serbatoio superiore, a 5-17 km di profondità, contiene circa 10-15 % di fuso silicatico in un volume totale di 10–12 000 km³; al di sotto, tra 20 e 45 km, un corpo basaltico di ~46 000 km³ ospita in media appena il 2 % di melt — ma per dimensioni è oltre quattro volte più grande del serbatoio superiore (Huang et al., 2015). Un aggiornamento USGS del 2025, basato su inversioni di onde convertite P-S e densimetria di gravità, indica che la porzione realmente eruttabile non supera 1 000 km³ (USGS, 2025)​. Quel volume potrebbe raggiungere temperature fra 750 °C e 900 °C, ma la presenza di cristalli e la viscosità della riolite smorzano la rapidità di qualunque pressurizzazione. In altre parole: il magma non è una “camera a pressione” pronta a esplodere al primo sussulto, bensì un grande sistema a bolle e tasche che evolve in tempi pluri-millenari. Probabilità e tempi di ritorno di una super-eruzione Dal punto di vista statistico, definire una “scadenza” è fuorviante: abbiamo solo tre eruzioni caldera-forming negli ultimi 2,1 Ma, un campione troppo esiguo perché un modello di Poisson sia robusto. L’USGS ricorda che la probabilità annuale di un nuovo evento VEI 8 è ~1 su 730 000 (0,00014 %) (USGS FAQ, 2024)​. In più, i segnali pre-eruttivi (sciami sismici ad alta frequenza, deformazioni accelerate, variazioni chimiche nelle fumarole) dovrebbero accumularsi per settimane o mesi prima di ogni scenario catastrofico (Lowenstern & colleghi, 2024)​. Meccanica di un’eventuale super-eruzione Quando il tasso di degassamento supera la capacità della roccia incrostata di dissipare pressione, si innesca la frammentazione: bolle di H₂O, CO₂ e SO₂ si espandono entro millisecondi, convertendo il magma in cenere e pomici. Le simulazioni fluidodinamiche mostrano che una colonna pliniana può superare i 35 km e generare un “ombrello” orizzontale largo oltre 1 000 km in poche ore (Caricchi et al., 2018)​. Pyroclastic Density Currents (PDC) derivanti dal collasso della colonna si muovono fra 100 e 200 m s⁻¹ e, in eventi come il Peach Spring (18,8 Ma), hanno sepolto aree a oltre 170 km dal punto di emissione (Roche et al., 2016)​. Per Yellowstone, modelli analoghi indicano un raggio di devastazione primario di 150–200 km, con temperature superiori a 300 °C e pressioni dinamiche capaci di demolire edifici in cemento armato. Dispersione della cenere: cosa dicono i modelli Il codice ASH3D dell’USGS, applicato a scenari di eruzione lunga una settimana con injection rate di 10⁹ kg s⁻¹, prevede metri di tefra sul Wyoming e centimetri su gran parte degli Stati Uniti occidentali; millimetri possono depositarsi fino a New York, Miami o Los Angeles (Mastin et al., 2014)​. Un press-release AGU conferma che lo spessore medio simulato sulla costa atlantica sarebbe 1–3 mm, sufficiente a bloccare turbine a gas e motori aeronautici (AGU, 2014)​. Una volta entrata in stratosfera, la nube sarebbe catturata da correnti a getto di 20–30 m s⁻¹: modellizzazioni a particella indicano che le prime ricadute su Europa occidentale potrebbero avvenire in 10-14 giorni, un tempo coerente con l’analoga dispersione del Pinatubo 1991 su scala emisferica. Effetti climatici: raffreddamento, AMOC e Monsoni Il nodo chiave non è tanto la cenere (che ricade in settimane) quanto gli aerosol solforici. Uno studio su Journal of Climate ha iniettato 100 Tg SO₂ a 26 km d’altezza: il raffreddamento globale mediano varia da −0,8 a −1,5 °C a seconda della dimensione delle particelle (Aubry et al., 2023)​. Ma il margine d’errore resta ampio: cambiare il diametro medio dei solfati di pochi micrometri muta l’anomalia termica di ordine intero (Marshall & Toohey, 2023)​. La risposta oceanica è altrettanto complessa: analisi CESM2 mostrano che forti forzanti aerosol possono indebolire la Circolazione Meridionale Atlantica di ~1 Sv per un decennio, alterando i pattern di precipitazione dell’Africa occidentale (Hassan et al., 2023)​. Anche se le simulazioni non concordano sul collasso dell’AMOC, gli autori sottolineano impatti su monsone indiano, ENSO e ghiacci artici. Impatti su salute, agricoltura ed economia Le particelle di cenere < 10 µm raggiungono gli alveoli polmonari, amplificando patologie respiratorie, irritazioni oculari e rischio cardiovascolare (WHO, 2024; CDC, 2024)​. L’opacità solare ridurrebbe la fotosintesi e taglierebbe i rendimenti agricoli di mais e soia nel Midwest già con −1 °C di raffreddamento medio, come mostrano gli scenari agro-economici RAND sul rischio catastrofico (RAND, 2024)​. Il trasporto aereo verrebbe sospeso in Nord America, Europa e Asia per giorni o settimane: l’esperienza Eyjafjallajökull 2010 suggerisce perdite di 200 M $ al giorno solo per le compagnie europee; scalare l’evento di due ordini di grandezza significa bilanci globali in rosso di almeno il 10 % di PIL nell’anno immediatamente successivo. Monitoraggio e allerta: che cosa può (già) fare la tecnologia Il Yellowstone Volcano Observatory gestisce 33 stazioni GPS continua, estensimetri e oltre 40 sismometri; la risoluzione di spostamento è inferiore ai 5 mm, mentre l’InSAR satellitare rileva deformazioni di 1–2 cm su aree di decine di chilometri quadrati (UNAVCO, 2023)​. Secondo l’USGS, un aumento anomalo di sollevamento (> 2 cm mese⁻¹) unito a sciami sismici di magnitudo > 4 costituirebbe un trigger per alzare l’allerta da “verde” a “giallo” con settimane d’anticipo (USGS, 2023)​. Evacuare integralmente Wyoming, Idaho e Montana rimane però logisticamente titanico: piani FEMA parlano di 1,5 milioni di residenti da delocalizzare, senza contare i flussi di rifugiati climatici da altre regioni. Altri super-volano a rischio L’attenzione non può limitarsi a Yellowstone. A ovest di Napoli, la caldera dei Campi Flegrei mostra un’accelerazione della bradisismo e uno scadimento della qualità sismica di rocce di copertura: deformazioni cumulative di 90 cm dal 2000 indicano uno stress crescente verso condizioni critiche (Moretti et al., 2024)​. Nature ha definito l’area “il sistema vulcanico più monitorato d’Europa” dopo un terremoto M 4.3 nel settembre 2023 (Nature News, 2023)​. Nel Pacifico, la caldera di Taupō in Nuova Zelanda conserva il record dell’Ōruanui (26 ka, > 1 100 km³ DRE). Analisi di tefra in carote antartiche mostrano che anche eruzioni più piccole (1800 a.C.) hanno lasciato cenere a 5 000 km di distanza, prova della capacità di dispersione globale (Dunbar & colleghi, 2024)​. L’Indonesia ospita Toba, la cui eruzione ~74 ka iniettò 94–194 Tg SO₂, con raffreddamento oceanico di 0,3 °C (Costa et al., 2021)​. Concludendo: rischio raro, conseguenze enormi La migliore sintesi è forse statistica: una probabilità annua dello 0,0001 % non giustifica il panico, ma l’impatto sistemico di un’unica super-eruzione è tale da rendere essenziali ricerca, monitoraggio e resilienza. L’ingegneria delle early-warning, l’agricoltura resiliente al freddo, la diversificazione logistica e le reti di cooperazione internazionale andrebbero finanziate con la stessa serietà riservata ai cambiamenti climatici o alle pandemie. Vivere su un pianeta geologicamente vivo significa accettare il paradosso di un rischio esistenziale ma a bassa frequenza: se Yellowstone (o Campi Flegrei, Taupō, Toba) non dovesse mai eruttare in scala VEI 8, avremo comunque investito in sistemi che miglioreranno la nostra capacità di adattamento a molte altre crisi — dagli aerosol solforici naturali alle perturbazioni antropiche del clima. In caso contrario, quelle stesse infrastrutture potrebbero fare la differenza fra una catastrofe regionale e un collasso globale.

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