Volatilità e recupero: cosa ci insegna la storia dei mercati
⏳ Tempo di lettura: 4 minutiSebbene la volatilità del mercato azionario statunitense si sia leggermente attenuata, rimane ancora elevata rispetto ai livelli storici. Per aiutare a contestualizzare i recenti movimenti di mercato, abbiamo pensato fosse utile guardarli attraverso una lente storica. Il grafico qui sotto mostra i periodi storici di drawdown dell’S&P 500 e la performance del mercato che è […] L' articolo Volatilità e recupero: cosa ci insegna la storia dei mercati è tratto da MoneyFarm


Sebbene la volatilità del mercato azionario statunitense si sia leggermente attenuata, rimane ancora elevata rispetto ai livelli storici. Per aiutare a contestualizzare i recenti movimenti di mercato, abbiamo pensato fosse utile guardarli attraverso una lente storica.
Il grafico qui sotto mostra i periodi storici di drawdown dell’S&P 500 e la performance del mercato che è seguita. In generale, si osserva che dopo un calo iniziale superiore al 15%, nella maggior parte dei casi i dodici mesi successivi hanno registrato rendimenti positivi. In particolare, dopo un ribasso del 15%, il rendimento mediano a dodici mesi è stato superiore al 20%.
A prima vista, ciò dovrebbe offrire un po’ di conforto agli investitori preoccupati per i recenti movimenti di mercato. Lo scenario è coerente anche con quanto osservato in passato: periodi di elevata volatilità, misurata tramite l’indice VIX, sono spesso stati seguiti da una solida performance azionaria.
Inevitabilmente, però, non è tutto così semplice. La tabella mostra anche quattro periodi in cui i dodici mesi successivi hanno registrato rendimenti negativi: 1929, 1973, 2001 e 2008 – abbiamo escluso il 1946, quando il rendimento fu sostanzialmente piatto. Come illustra il grafico, ciascuno di questi periodi è coinciso con una recessione negli Stati Uniti, secondo la definizione del National Bureau of Economic Research (NBER).
Detto ciò, non possiamo trarre conclusioni troppo nette. Una recessione non implica necessariamente una debolezza prolungata dei mercati azionari. Abbiamo assistito a recessioni anche nel 1981-82, nel 1991 e nel 2020, e in quei casi i dodici mesi successivi ai drawdown hanno comunque segnato rendimenti positivi.
Non è nemmeno facile generalizzare guardando alle valutazioni, soprattutto su un orizzonte temporale di dodici mesi. Se consideriamo un indicatore di valutazione di lungo termine (il CAPE, Cyclically Adjusted Price Earnings), vediamo che le valutazioni erano salite nettamente prima delle fasi di debolezza azionaria del 1929 e del 2001 – ma non è stato così nel 2008, per esempio.
Anche la redditività delle imprese restituisce un quadro misto dal 1970 in poi. Gli anni 2001 e 2008 hanno visto un calo marcato dei margini di profitto delle aziende statunitensi, come si vede nel grafico sottostante. Tuttavia, la flessione dei margini nel 1973 – non riportata nel grafico – è stata molto più contenuta. I margini sono scesi anche all’inizio degli anni 90, ma ciò non ha impedito la successiva ripresa dei mercati azionari statunitensi.
Quindi, dove ci porta tutto questo? In media, la storia suggerisce che i rendimenti futuri potrebbero essere positivi. Ma le eccezioni ci ricordano che non si tratta di una garanzia. Ogni fase di volatilità di mercato ha le sue peculiarità.
Al momento, l’attenzione resta focalizzata sui dazi commerciali – in particolare sul loro impatto sulla crescita globale e sull’inflazione. Riteniamo di essere entrati in una fase di negoziazione sull’entità delle barriere commerciali, che potrebbe protrarsi a lungo, soprattutto alla luce delle tensioni tra Stati Uniti e Cina.
Qualunque sia l’esito, sembra ormai evidente che le barriere al commercio saranno più elevate rispetto a sei mesi fa, e pensiamo che ciò fungerà da freno per la crescita globale, anche se è difficile valutare con precisione quanto forte sarà l’impatto.
Una crescita più debole probabilmente influirà sulla redditività aziendale. Tuttavia, come mostra il grafico sopra, l’entità del calo dei margini è stata variabile. Nel 2008 abbiamo assistito a un calo più marcato del solito, mentre nel 2020 i margini hanno mostrato una certa resilienza.
Il confronto tra il 2008 e il 2020 evidenzia anche un altro aspetto: il ruolo del supporto delle politiche economiche. Nel 2020, l’intervento politico – sia fiscale che monetario – è stato ampio e tempestivo. Nel 2008, invece, il supporto è arrivato, ma con un certo ritardo.
Questa volta, riteniamo che i margini potrebbero scendere se l’economia dovesse indebolirsi, ma ci aspettiamo comunque che restino relativamente resilienti. Sul fronte politico, il quadro è più sfumato: l’amministrazione statunitense sembra intenzionata ad aumentare il deficit fiscale, il che potrebbe sostenere la crescita.
Allo stesso tempo, i funzionari della Federal Reserve appaiono meno propensi a tagliare i tassi in modo deciso, dati i dubbi sulla traiettoria dell’inflazione. Probabilmente sarà necessaria una crescita molto più debole prima che la banca centrale intervenga.
Per quanto riguarda il posizionamento dei nostri portafogli, manteniamo un’approccio prudente rispetto ai nostri benchmark interni. Ci aspettiamo che la politica commerciale continui a pesare sul sentiment e sulla crescita. A nostro avviso, l’attuale livello dei mercati azionari riflette un rallentamento atteso, ma non una recessione profonda. Ci sembra una valutazione ragionevole in questa fase, e continueremo a monitorare da vicino le prospettive di crescita e di redditività aziendale, valutando l’evoluzione del contesto politico e di mercato.
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