"Vittima dei crimini di mio nonno". Parla Laura, nipote del boia di S.Polo
"L’incontro con gli eredi della strage mi ha cambiato la vita: tornerò presto, ricevo lettere e messaggi" .

"Sono qui con voi per mantenere viva la memoria di quei terribili crimini". San Polo, un anno fa. Laura Ewert abbraccia i familiari delle vittime della strage nazista ordinata dal nonno. Poi si inginocchia davanti al cippo che ricorda l’eccidio e depone un mazzo di fiori bianchi. Arriva dalla Germania, dove vive e dove ha vissuto il nonno Wolf Ewert. Era il comandante del 274 reggimento della Wehrmacht: il 14 luglio del 1944, a San Polo, ordinò uno dei peggiori eccidi del periodo nazi-fascista. Furono quarantotto le persone costrette a scavarsi la fossa nei giardini di Villa Gigliosi, dove furono fatte saltare in aria con la dinamite. Altre sedici persone vennero uccise nella vicina località di San Severo. Il colonnello Ewert è morto prima delle indagini avviate dalla procura militare di La Spezia.
Laura, stimata giornalista, ha scoperto il ruolo del nonno nel massacro ed ha voluto conoscere, incontrare, sapere, scoprire. Con un intento preciso: capire e scusarsi con i familiari delle vittime. Laura ha messo in comune il suo dolore con quello delle famiglie che piangono le persone trucidate dai nazisti. Un anno dopo la visita a San Polo, ha tradotto la condivisione in impegno contro ogni crimine perchè "senza memoria, non c’è futuro".
Laura, come è cambiata la tua vita da quando hai scoperto il ruolo di tuo nonno nella tragedia della guerra?
"In seguito alla scoperta, ho fatto molte ricerche e letture e tutto ciò mi ha reso più sensibile al fatto che le ferite, le guerre e i crimini che le persone commettono colpiscono le famiglie per generazioni".
E cosa ha voluto dire per te l’incontro con gli eredi delle vittime di San Polo?
"È stato forse il giorno più importante della mia vita: non dimenticherò mai i racconti, gli abbracci, gli sguardi, le lacrime. Tutte le emozioni provate mi sono rimaste profondamente nel cuore e spero sinceramente che sia stato possibile per noi portare un po’ di pace".
Dopo quella giornata ti sono arrivate lettere, chiamate, messaggi da quegli eredi o da altri segnati dalla guerra di allora?
"Sarei molto felice di poter continuare a parlare con i parenti delle vittime di San Polo. E mi ritengo molto fortunata ad aver trovato un’amica in Alessia Donati, nipote di una testimone oculare dei crimini di San Polo, con la quale ho un’incredibile quantità di cose in comune. Tra le altre cose, la grande speranza che il nostro scambio possa porre fine alla spirale di dolore e raccontare a più persone quanto siano terribili e di vasta portata questi crimini".
Tornerai ad Arezzo, hai già programmato qualcosa per approfondire quel legame? E darai la disponibilità a incontrare le vittime di allora che ti era stata chiesta da Rondine Cittadella della Pace?
"Voglio assolutamente tornare ad Arezzo. Alessia Donati e io parliamo spesso di cosa possiamo fare per far sì che le storie di coloro che soffrono per le conseguenze della guerra vengano ascoltate. Abbiamo avuto interessanti conversazioni con il presidente di Rondine Cittadella della Pace su questo tema durante la nostra visita dell’anno scorso e non vedo l’ora di sentirlo di nuovo".
Nel tuo Paese che eco ha avuto questa tua straordinaria presenza a San Polo?
"L’anno scorso ho scritto per il quotidiano Die Zeit un articolo sugli atti di mio nonno e sulla mia visita a San Polo, al quale hanno risposto alcune persone che hanno fatto i conti con la loro storia familiare. Ma in Germania purtroppo non ho sentito una risposta così calorosa e profondamente commovente come in Italia".