Viaggio lungo il Trans adriatic pipeline (Tap), il gasdotto che attraversa l’Europa

Un viaggio lungo la linea del Tap cinque anni dopo l’entrata in funzione del gasdotto che attraversa l'Europa da est a ovest.

Apr 28, 2025 - 11:31
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Viaggio lungo il Trans adriatic pipeline (Tap), il gasdotto che attraversa l’Europa

Questa è la seconda di due parti del reportage dedicato Trans Adriatic Pipeline, Tap – la prima parte si può leggere qui

Era il 30 dicembre 2020 quando i primi tre milioni di metri cubi di gas venivano consegnati al gasdotto Transadriatico. Da allora, la Tap, società che lo gestisce, si è presentata come promotrice della transizione energetica di cui l’Italia e, soprattutto, l’Europa avevano bisogno. O almeno questo è ciò che il governo italiano, guidato da Giuseppe Conte prima e Giorgia Meloni poi, hanno dichiarato. Nonostante le perplessità sfociate in proteste, il progetto non ha conosciuto pause, continuando la sua espansione a oriente, nei Balcani, e a occidente, lungo la dorsale adriatica, con l’obiettivo di aumentare le capacità di stoccaggio e trasporto.

Compensazioni inadeguate e violazioni della Convenzione di Aarhus – che stabilisce l’obbligo di un’adeguata consultazione delle comunità coinvolte – sono solo alcuni degli esiti di uno squilibrio di potere di cui si è servita la compagnia e di una forte attività di lobbying tra la multinazionale e i territori attraversati. Ciò ha consentito alla società di proseguire con il progetto nonostante le opposizioni delle comunità locali nei paesi attraversati.

Per capire come si è arrivati alla situazione attuale, è utile ripercorrere geograficamente il percorso del gasdotto. Il punto di partenza è Shah Deniz, in Azerbaigian, uno dei più grandi giacimenti di gas al mondo. Da lì, il gas viene trasportato attraverso la Georgia e la Turchia tramite il gasdotto del Caucaso meridionale (Scp) e il Trans-Anatolian pipeline (Tanap).

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Il Tap parte dall’Azerbaigian e arriva in Italia © Tap

Il Tap – Trans Adriatic Pipeline – è l’ultimo segmento di questa infrastruttura energetica. Inizia a Kipoi, al confine tra Turchia e Grecia, dove si trova la prima stazione di compressione europea. Attraversa la Grecia, passando soprattutto attraverso aree agricole un tempo coltivate, per poi entrare in Albania, dove continua a interessare zone rurali e campi produttivi. Dopo aver attraversato il paese, il gasdotto si immerge nel mar Adriatico e arriva infine sulle coste salentine, completando un tracciato lungo 877 chilometri.

Il passaggo in Grecia

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Invece di incentivare l’uscita dalle fonti fossili e la riduzione delle emissioni di metano, questi investimenti continuano a favorire il gas naturale © iStock

Nel febbraio del 2015, un anno prima l’inizio dei lavori di costruzione del gasdotto, Panagiotis Lafazanis, ministro greco per la Ricostruzione, le Attività produttive, l’Ambiente e l’Energia, fece visita al presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, tutt’ora in carica. In quell’occasione, Aliyev sottolineò l’importanza strategica del gasdotto per l’Azerbaigian, osservando che sarebbe stato cruciale per aumentare le esportazioni di gas verso l’Europa.

“Il governo greco sostiene pienamente il gasdotto”, dichiarò allora Lafazanis. Il gasdotto avrebbe dovuto attraversare i comuni di Serres e Kavala, ma le opposizioni da parte di contadini locali, organizzazioni scientifiche e attivisti denunciarono i potenziali impatti del progetto. “Il problema principale che volevamo evitare è che, in caso di incidente, ad esempio un’esplosione, i danni impattassero gravemente il territorio circostante”, racconta Michalis Davis, ingegnere e fondatore del movimento greco No Tap.

Nell’ottobre 2013, il consiglio comunale di Serres decise all’unanimità di modificare il tracciato del Tap affinché non passasse attraverso terreni altamente produttivi, come richiesto dal movimento greco No Tap, e di allontanare il compressore dalle zone abitate, per evitare rischi per chi vive e lavora in quelle aree.

Al loro fianco lavorava l’avvocato Michalis Tremopoulos: “Nel 2014, sono riuscito a presentare una mozione di annullamento della costruzione del gasdotto al Consiglio di Stato,” racconta.

I vantaggi per il Paese sono stati definiti strategici, economici e sociali, ma l’obiettivo non era rifornire la Grecia di gas naturale, bensì far arrivare il gasdotto in Italia per poi trasportare il gas in Europa centrale.

Michalis Tremopoulus

Lafazanis convocò quindi i cittadini di Serres e Kavala per una riunione congiunta, dimostrandosi aperto al dialogo. Nel giro di una settimana, il castello crollò. Tap offrì al governo, a titolo compensativo, ambulanze, computer per le scuole e donazioni per costruire strade e marciapiedi, riuscendo a portare avanti il progetto.

“Non possiamo dire se siano stati usati mezzi illeciti per promuovere Tap, ma sembra che chi aveva preso decisioni unanimi contro il progetto non abbia proseguito fino in fondo”, afferma Sakis Boikos, insegnante e attivista No Tap che definisce la situazione “una grave immoralità politica”, pur evidenziando che tutti i “benefici compensativi” siano stati paradossalmente leciti.

Tra i contadini che si sono opposti, Themis Kalpakidis ha fatto uno sciopero della fame. “Se dovesse succedere di nuovo, rifarei tutto da capo”, afferma Kalpakidis, che è stato anche arrestato mentre tentava di bloccare la costruzione del gasdotto: “Li abbiamo denunciati, ma alla fine siamo stati arrestati noi”. La Grecia, pur essendo stata presentata numerose volte come hub del gas del Mediterraneo al fianco dell’Italia, non ha mai usufruito stabilmente del gas trasportato.

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Il governo greco sostiene pienamente il gasdotto © iStock

Il caso dell’Albania

Anche l’Albania non ha mai usufruito del gas trasportato da Tap, nonostante il governo avesse promosso il progetto come un’opportunità economica e politica per facilitare l’ingresso del paese nell’Unione europea e garantirsi l’accesso al gas. Le promesse fatte finora non sono state mantenute, mentre la compagnia continua a sostenere che fornirà l’accesso al gas all’Albania in concomitanza all’espansione della sua capacità.

“Ora facciamo parte di questa rete europea di gasdotti. Anche se non lo stiamo usando e non abbiamo nessun piano concreto per utilizzarlo”, afferma Gjergj Bojaxhiu, ex viceministro dell’Economia, del Commercio e dell’Energia.

Secondo quanto affermato nella documentazione ufficiale del progetto sono state condotte consultazioni pubbliche, ma lungo il tracciato del gasdotto – da Berat a Fier – nessuno sembra essere stato adeguatamente informato o coinvolto. Molti abitanti hanno saputo di Tap solo quando hanno visto le ruspe invadere i loro campi.

La maggior parte dei contadini ha ricevuto piccole compensazioni o ha perso le proprie terre. Misir Sylovari, ex agricoltore di Strum, frazione nella provincia di Fier racconta: “Non avevamo alcuna informazione. Non sapevamo dove sarebbe passato il progetto. Abbiamo ricevuto minacce dalla polizia. Quando sono arrivati, non abbiamo parlato. Hanno iniziato a lavorare, ma se avessimo ostacolato le macchine, saremmo finiti nei guai”.

Marjus Musko, anche lui agricoltore, ha vissuto un’esperienza simile. La compagnia ha abusato del suo potere attraverso minacce e ritorsioni, piuttosto che cercando di stabilire dei compensi adeguati per la perdita dei suoi terreni: “Quando ho ricevuto i soldi da Tap, mi hanno detto: “O accetti questi soldi, oppure li investiremo nella scuola del paese.” Musko ricorda inoltre che quando sono cominciati i lavori di costruzione, Tap ha distrutto la strada principale della cittadina, causando gravi danni alla circolazione degli abitanti per oltre un anno. Inoltre, la compensazione per la perdita dei suoi terreni, è stata irrisoria: “L’unica terra che avevamo è stata devastata. Dopo sette anni, abbiamo ricevuto solo delle briciole: 400mila leke”. Circa quattromila euro.

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Veduta aerea degli ulivi in Salento destinati a essere estirpati per far posto al gasdotto © Comitato No Tap

Tap: opportunità o strategia?

Ora, Tap sta promuovendo l’espansione del gasdotto come un’opportunità per nuovi territori, tra cui Slovenia, Ungheria, Serbia e Macedonia del Nord. Ma le le storie raccolte in Salento, Grecia e Albania fanno sorgere gli stessi dubbi sui potenziali costi per queste aree. Alcuni di questi paesi non importano gas, mentre altri non dispongono delle infrastrutture necessarie per utilizzarlo. Il sacrificio delle comunità che dipendevano strettamente dall’agricoltura avviene alle spese di una “transizione verde” che privilegia alcuni paesi piuttosto che altri. Non solo, è un piano per rinnovare gli interessi di grandi compagnie di combustibili fossili – da Eni a Snam, da Bp a Socar – e da stati autoritari come l’Azerbaigian, che si riconfermano centrali all’interno di uno schema che dovrebbe invece prevederne l’assenza.

Invece di incentivare l’uscita dalle fonti fossili e la riduzione delle emissioni di metano, questi investimenti continuano a favorire il gas naturale, avvantaggiando gli interessi dell’Europa centrale, maggiore beneficiaria di questa esportazione, che sembrano sempre più distanti dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Da Fier a Kavala fino a Melendugno, i tentativi di opposizione da parte delle comunità locali sono stati sistematicamente ignorati per portare avanti un’opera definita di interesse strategico, nonostante la domanda di gas sia in calo e il contesto energetico europeo stia cambiando. A Melendugno, il prossimo 12 maggio, si terrà un’udienza cruciale del processo contro Tap: potrebbe essere l’ultima occasione per fare chiarezza sulle responsabilità e per dare voce a chi, finora, è rimasto ai margini delle decisioni.