Vi spiego fini ed effetti dei dazi di Trump
Ecco tutti gli effetti macroeconomici dei dazi di Trump. L'analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm

Ecco tutti gli effetti macroeconomici dei dazi di Trump. L’analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
Nel corso del tanto atteso Liberation Day, il presidente Trump ha annunciato l’entrata in vigore di un nuovo regime di politica commerciale, con l’applicazione di una tariffa base universale del 10% su tutte le importazioni, accompagnata da dazi ancora più elevati per una selezione di partner commerciali chiave degli Stati Uniti. Secondo le prime stime, le aliquote tariffarie effettive – calcolate sulla base degli attuali flussi commerciali – supererebbero il 20%, con importanti conseguenze in termini di crescita economica e inflazione. Se, da un lato, i dazi porteranno a un aumento delle entrate fiscali nelle casse dello Stato, dall’altro il rallentamento della crescita potrebbe in parte compensare questa tendenza. Per quanto riguarda l’impatto strutturale sull’inflazione, nel lungo periodo l’effetto rialzista dei dazi sui prezzi potrebbe essere bilanciato dall’indebolimento della domanda dei consumatori, con conseguenze positive per il reddito fisso. L’amministrazione ha lasciato aperta la possibilità di una riduzione dei dazi nel caso di un miglioramento dei rapporti con gli altri Paesi, che però potrebbero reagire imponendo a loro volta dazi mirati per settore.
L’indebolimento della crescita si tradurrà probabilmente in un rallentamento degli utili a livello globale e in un sentiment più cauto di mercati e investitori, dinamica che si è in parte già riscontrata nel calo dell’azionario statunitense delle ultime settimane. L’equity europeo, invece, ha tenuto meglio, anche grazie ad aspettative più basse e alla prospettiva di un aumento della spesa pubblica a sostegno dell’economia. I titoli di Stato hanno generalmente registrato un rialzo, con i rendimenti in calo sulla scia delle crescenti aspettative di un rallentamento economico. Dal punto di vista dei portafogli, i movimenti del mercato confermano l’importanza della diversificazione all’interno di una strategia multi-asset, con il reddito fisso sovrano che continua a rappresentare, a nostro avviso, un’opportunità interessante. L’esposizione a obbligazionario governativo e oro ha offerto un contributo significativo alla performance dei portafogli a medio e basso rischio. Sul piano operativo, a partire dallo scorso trimestre, in un contesto caratterizzato da un’elevata volatilità e dall’aggravarsi dei rischi per la crescita, abbiamo ridotto l’esposizione all’azionario Usa e, in alcuni portafogli, all’azionario in generale. Continuiamo a monitorare da vicino l’evoluzione del quadro macroeconomico per valutare ulteriori aggiustamenti, ma nel complesso un posizionamento difensivo ci sembra attualmente il più indicato. Allo stesso tempo, manteniamo margini di manovra per cogliere eventuali opportunità su asset più rischiosi.
L’amministrazione statunitense rimane concentrata sul riequilibrio della bilancia commerciale e sul controllo del valore del dollaro, elementi che il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti avrebbe utilizzato per definire dazi differenziati per Paese, con l’obiettivo dichiarato di azzerare i disavanzi bilaterali. L’indebolimento della domanda di importazioni – spinta dal rallentamento della crescita e dai dazi – dovrebbe, secondo questa logica, contribuire a migliorare la bilancia commerciale nel complesso. Non riteniamo che l’intento sia quello di provocare una recessione, ma appare chiaro come l’amministrazione sia disposta a tollerare una crescita più debole pur di perseguire i propri obiettivi di lungo termine. La missione ultima è quella di rilanciare la manifattura Usa, segnata dal calo costante dell’occupazione che, cominciato negli anni ’40, si è intensificato dopo il 2000, pur sullo sfondo della crescita complessiva dell’occupazione. Si tratterà, in ogni caso, di un processo lungo anni, nel frattempo, tutto lascia intendere che i dazi continueranno a rappresentare uno strumento fondamentale per la politica economica americana.