Una politica illusoria per il Made in Usa

Tanto tuonò che piovve! C’eravamo domandati come il presidente Trump avrebbe dato seguito all’ intendimento di imporre nuovi dazi sulle importazioni negli Stati Uniti. Una leva di negoziazione bilaterale con Canada, Messico, Cina e Unione Europea? Una scelta di politica fiscale con l’illusione di proteggere il Made in Usa? Dopo 55 giorni l’incertezza resta ed […] L'articolo Una politica illusoria per il Made in Usa proviene da Economy Magazine.

Apr 3, 2025 - 12:40
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Una politica illusoria per il Made in Usa

Tanto tuonò che piovve! C’eravamo domandati come il presidente Trump avrebbe dato seguito all’ intendimento di imporre nuovi dazi sulle importazioni negli Stati Uniti. Una leva di negoziazione bilaterale con Canada, Messico, Cina e Unione Europea? Una scelta di politica fiscale con l’illusione di proteggere il Made in Usa? Dopo 55 giorni l’incertezza resta ed i rischi aumentano. Cosa è accaduto finora? Il primo febbraio gli Stati Uniti hanno annunciato nuovi dazi del 25% su tutti i beni importati dal Canada e dal Messico e del 20% su quelli provenienti dalla Cina. Hanno poi sospeso per due volte la misura verso il Messico per lasciare spazio a una negoziazione sul controllo dei flussi migratori e del traffico di droga. Col Canada è in corso un’escalation che ha portato al 50% la tariffa Usa sull’acciaio e quattro round di misure di ritorsione canadesi. La Cina ha introdotto nuove tariffe in misura del 15% su alcuni prodotti agricoli americani, selezionati in ottica negoziale per indebolire il consenso interno Usa.  Per l’UE l’introduzione di dazi del 25% su acciaio e alluminio è stato il primo fulmine, dopo tuoni dalla Casa Bianca verso l’Europa che mai erano stati così roboanti. Il 12 marzo l’UE ha reagito con un pacchetto di ritorsione su vari beni importati dagli Usa per un valore di € 26 m.di, analogo alla misura americana. Una scelta che dovrà passare per il burosauro di Bruxelles e l’approvazione di 15 su 27 Paesi membri. L’immediata reazione Usa mette Italia e Francia nel mirino: 200% su vini e champagne. La partita è aperta e segnerà altre tappe prima che leggiate queste righe. Ad oggi (16/3) l’unico risultato evidente è la bocciatura dell’agenda Trump da parte di Wall Street: dal 20 gennaio l’indice S&P500 ha bruciato $ 4.3 trilioni di capitalizzazione. Per ora non sembra che l’attività diplomatica stia dando risultati, che il Wto eserciti il suo ruolo regolatorio né che ci sia spazio per fughe in solitaria di qualche Stato membro, dato che la politica commerciale è materia comunitaria. Per l’85% dei Paesi UE che aderiscono alla Nato la tensione commerciale si incrocia con quella sulle spese per la difesa e con la definizione di un nuovo ordine mondiale in cui l’Europa non può essere spettatore. Insomma una tempesta perfetta, la cui portata va oltre il calcolo del maggior onere per gli esportatori italiani (Prometeia ha stimato 4-7 € m.di). In questo quadro di incertezze è urgente preparare le imprese italiane ad affrontare lo scenario di nuovi dazi, considerato che l’interscambio con gli Usa rappresenta il 10.6% dell’export e genera il 71% del surplus commerciale del nostro Paese.

L’onere dei dazi ricadrà sull’esportatore europeo e/o sul consumatore americano in ragione dell’elasticità della domanda al prezzo. Quanto più l’offerta è differenziata e competitiva tanto più l’esportatore potrà recuperarlo sui prezzi di vendita. Diversamente ne pagherà il costo, perdendo o volumi o margini. Su questa base, concludo con 3 suggerimenti. 1) Servono misure che accelerino l’innovazione e migliorino la competitività. Gli incentivi alla digitalizzazione dei processi e la riduzione del cuneo fiscale sono importanti, in particolare per le filiere B2B, come meccanica, macchinari e automotive. 2) È utile differenziare il Made in Italy rispetto alla concorrenza locale nella percezione dei consumatori e contrastare il cosiddetto Italian sounding con campagne di informazione mirate. Si tratta di stanziare e spendere bene un piccolo budget – una decina di milioni – per una campagna a supporto dell’offerta B2C (agroalimentare, tessile-moda, farmaceutico, nautica e arredo). 3) Le imprese che perderanno margini e/o volumi sul mercato Usa, devono essere incentivate ad impegnarsi su altre destinazioni per i loro prodotti. Qui ricordo la proposta di strutturare un incentivo fiscale per le esportazioni extra UE (Notepad, aprile 24). Tre “ombrelli” per limitare i danni. 

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