Turismo di massa e affitti brevi, due ricercatrici: “Il problema è nelle politiche neoliberiste sulla casa”
Gli affitti brevi e il fenomeno del turismo di massa che espelle i residenti dalle città? Secondo due studiose del fenomeno, la giornalista Cristina Nadotti e la ricercatrice Sarah Gainsforth, non sono altro che l’epigono finale di politiche sulla casa sbagliate fin dall’inizio. Politiche che hanno puntato tutto sulla proprietà immobiliare, diventata oggi un vero […] L'articolo Turismo di massa e affitti brevi, due ricercatrici: “Il problema è nelle politiche neoliberiste sulla casa” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Gli affitti brevi e il fenomeno del turismo di massa che espelle i residenti dalle città? Secondo due studiose del fenomeno, la giornalista Cristina Nadotti e la ricercatrice Sarah Gainsforth, non sono altro che l’epigono finale di politiche sulla casa sbagliate fin dall’inizio. Politiche che hanno puntato tutto sulla proprietà immobiliare, diventata oggi un vero strumento finanziario, una rendita troppo poco tassata. Lo raccontano in due libri appena usciti, rispettivamente Il turismo che non paga (ed. Ambiente) e L’Italia senza casa (Laterza).
“Se dovessimo fare una fotografia del presente, ebbene si tratta della fine di un ciclo, durato decenni, di promozione della proprietà”, spiega Sarah Gainsforth. “Nel secondo dopoguerra, c’è stata una fase di intervento diretto del pubblico nella costruzione di case, di edilizia residenziale pubblica, e di regolazione urbanistica del suolo, poi anche attraverso i piani regolatori – con un occhio di riguardo per i ceti fragili. Questa fase però è poi stata smantellata con le politiche di stampo neoliberista degli anni Ottanta e Novanta, che hanno interrotto la costruzione di case e sostenuto il mercato, passando da politiche di sostegno dell’offerta a politiche di sostegno della domanda”. Una serie di passaggi verso la finanziarizzazione di un’economia sempre più fondata sulla rendita immobiliare in cui la casa è stata un perno centrale, con il risultato che la rendita cresceva e i salari no. Oggi i valori immobiliari sono totalmente sganciati dai salari, con vantaggio di chi è diventato proprietario grazie alle favorevoli politiche di decenni fa. “Siamo”, spiega la ricercatrice, “in una situazione di paralisi, di immobilità sociale ed economica, opposta a quella in cui le persone trovavano un lavoro, poi affittavano casa, poi la compravano; oggi se non hai una casa non vai da nessuna parte, l’accesso alla casa determina anche la possibilità di lavorare, e per questo c’è carenza di lavoratori”. Ma le soluzioni proposte come quelle di un welfare aziendale paternalistico che fabbrica case per gli operai non funziona più. “Quello della casa è un problema che riflette un problema strutturale di tutta l’economia”, afferma la ricercatrice.
Tanto meno si risolve il problema, spiega Gainsforth, “con la famosa rigenerazione urbana come fatta oggi, che altro non è che la valorizzazione immobiliare privata attraverso fondi pubblici. Se il pubblico migliora lo spazio urbano con una piazza pedonale o una metropolitana, ma poi non fa politiche abitative per controllare l’effetto del miglioramento dello spazio urbano, il valore creato con investimenti pubblici finisce assorbito dalla rendita perché aumentano i prezzi delle case: non viene redistribuito ma è catturato solo dai proprietari di case. Questa, in sostanza, è la gentrificazione, ed è usata intenzionalmente come politica pubblica”. Di più, c’è uno spostamento di risorse pubbliche dall’edilizia pubblica vecchio stile a una nuova edilizia ‘sociale’ vagamente definita. Si dice che per ogni costruzione occorra destinare il 30 per cento all’edilizia sociale ma, nota l’autrice, “non c’è controllo, non c’è trasparenza, non ci sono graduatorie pubbliche, ma la cosa più grave è che di fatto questa edilizia è tutta in vendita non in affitto”. E poi c’è il problema degli studentati. Si è scelto di finanziare il privato, con il risultato che l’Italia rischia di perdere 1,2 miliardi di PNRR perché non hanno fatto i posti per studenti. Gli studentati poi sono classificati come edilizia residenziale sociale godono di una serie di agevolazioni fiscali, benefici, perché poi facessero canoni convenzionati. “Ebbene, a Milano le convenzioni hanno riguardato il canone, ma la voce di spesa è composta dal canone e poi da servizi, infatti sono stati fatti studentati di lusso con piscina e palestra, così che ai 300 euro concordati per la stanza si aggiungono 600 di servizi”, continua Gainsforth. Il problema non è “demonizzare il privato, ma avere un pubblico forte che ha chiaro cosa si deve fare”.
Gli affitti brevi, dunque, sono l’epigono di questa visione. Ma soprattutto, spiega a sua volta la giornalista Cristina Nadotti, non è vero che gli affitti brevi producano una vera ricchezza. “Alghero, ad esempio, ha vissuto un grande aumento del turismo, e più ci ha puntato, ma mentre ogni anno aumentano le presenze – da 40.000 in inverno ai 120.000 d’estate – aumentano anche i disoccupati, quindi il turismo non ha portato reale benessere. Il turismo è un’industria pesante, estrattiva, non a caso si parla di ‘turismo petrolio d’Italia’”. Parliamo, nel 2024, di 458,4 milioni di presenze turistiche negli esercizi ricettivi; secondo i dati Istat il nostro Paese è al secondo posto nella classifica dei partner europei in termini di presenze totali, superando la Francia (450,1 milioni di presenze) e dietro solo alla Spagna (501,1 milioni di presenze). “Ci fanno credere”, prosegue Nadotti, “che il turismo come industria può risollevare le sorti di alcuni territori, ma gli studi dimostrano che dove il turismo è l’unica industria, muore tutto il resto e anche il turismo stesso ne risente”. L’autrice rivendica la libertà di muoversi e viaggiare, ma in maniera diversa. “Il punto non è solo l’arrivo dei turisti, la spinta al consumo non va bene, non va bene che i luoghi cambino solo per uno sfruttamento commerciale. Inoltre non è vero che chi più spende porti avanti un turismo di qualità, non può essere che si critichi l’eccesso soltanto quando le persone hanno poca capacità di spesa”. Si parla, poi di turismo come esperienza che deve essere autentica, “ma come fa ad essere tale se il turista trova già una città adattata ai suoi gusti? Pensiamo ai sassi di Matera, ormai diventati camere d’albergo di lusso con piscina. Di nuovo: il turismo è la cartina di tornasole delle cose che non funzionano”.
C’è un poi una questione ulteriore. Dove finiscono i soldi generati dal turismo, in che modo arricchiscono la comunità? Ad esempio la tassa di soggiorno, nata con un intento ambientale e che dovrebbe essere impiegata per servizi alla popolazione, alla fine viene usata “per attrarre ancora più turisti, sempre senza chiedersi che turismo vogliamo e che società vogliamo. Posso anche mettere una tassa di soggiorno a 50 euro ma cosa ci voglio fare con quei soldi?”, si chiede Nadotti, che pone anche la questione di quanto i turisti influiscano sui servizi della città, mettendoli in crisi. “Nel libro”, spiega “cito il pronto soccorso, ma anche i trasporti e tutti i servizi di pubblica sicurezza, perché nelle località turistiche tutti questi servizi sono tarati sui residenti”.
Non è una soluzione neanche il cosiddetto turismo green. “A parte il problema delle certificazioni, con i vari bollini dati a sproposito”, afferma la giornalista, “non esiste un turismo che impatti zero, servirebbe il controllo di tutta la filiera. Non basta andare in un albergo col buffet biologico o con i pannelli solari, o dove ti dicono di non sprecare l’acqua, per fare turismo ecologico”.
Ma allora cosa serve perché i residenti non vengano cacciati dalle città e al tempo stesso si possa ricominciare a parlare di come restituire il diritto alla casa? Per Nadotti “servono dei limiti, che siano fondati su un’idea precisa di turismo. Quindi serve programmare, prendere decisioni politiche per non lasciare che le scelte in ambito turistico le facciano soltanto i privati e gli imprenditori”. Secondo Gainsforth, invece, “andrebbero interrotti i piani di vendita dell’edilizia pubblica e ci vorrebbero politiche per l’affitto sociale, soprattutto sulle case vuote: occorre parlare dall’esistente, non serve altro consumo di suolo e per costruire nuovi immobili ci sono anni. Bisogna poi regolamentare gli affitti brevi. Ma soprattutto ci vuole un dibattito culturale sui tema dell’edilizia, sui valori immobiliari, sulla tassazione delle case, che deve essere differenziata a seconda delle aree. Un dibattito, insomma, sul diritto alla casa, oggi sempre più negato”. Sia dal turismo di massa che da politiche assenti o sbagliate.
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