The Handmaid’s Tale 6×05 – Un episodio in cui nulla fila liscio

C’è uno strano senso di pace che pervade l’inizio di questo nuovo episodio di The Handmais’d Tale, che sta arrivando al cuore pulsante della sua ultima stagione. Sulle note di Atmosphere dei Joy Division, che crea un tappeto sonoro di calma apparente, di stasi concentrata prima del grande salto, assistiamo ai preparativi di Mayday per… Leggi di più »The Handmaid’s Tale 6×05 – Un episodio in cui nulla fila liscio The post The Handmaid’s Tale 6×05 – Un episodio in cui nulla fila liscio appeared first on Hall of Series.

Apr 22, 2025 - 18:56
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The Handmaid’s Tale 6×05 – Un episodio in cui nulla fila liscio

C’è uno strano senso di pace che pervade l’inizio di questo nuovo episodio di The Handmais’d Tale, che sta arrivando al cuore pulsante della sua ultima stagione. Sulle note di Atmosphere dei Joy Division, che crea un tappeto sonoro di calma apparente, di stasi concentrata prima del grande salto, assistiamo ai preparativi di Mayday per l’ingresso al Jezebel, il fulcro dell’azione che dovrebbe assestare un duro colpo al regime con l’uccisione di molti comandanti.

Com’era da aspettarsi, non c’è una cosa che fili liscia, in questo episodio, come ormai The Handmaid’s Tale ci ha abituato. Ed è fino ad ora la puntata che meglio ha saputo combinare i momenti adrenalinici con quelli introspettivi.

E l’episodio inizia proprio con uno di questi momenti: la camminata di June, travestita da Marta, che lancia occhiate speranzose a Moira, che l’ignora perché è ancora arrabbiata per essersi intromessa nel piano suo e di Luke. Il bacio appassionato di June con suo marito, prima di partire per una missione “di famiglia”. Tutto senza dire nemmeno una parola, tutto affidato agli sguardi, alla luce, alle inquadrature che svelano il non detto, quello che non si può svelare per non far saltare il piano ma che si esplicita in un bacio sul retro di un furgone, un bacio che potrebbe essere d’addio.

The Handmaid’s Tale ci ha abituato, fin dalla prima stagione, ai suoi “quadri in movimento”, scene in cui luce, movimenti, atmosfere e musica si fondono, creando una visione che non si ferma al visibile ma parla, soprattutto, di ciò che non si può vedere.

La calma, l’apparente rilassatezza che June, Moira e Luke fingono davanti alle guardie mentre si preparano a entrare a Jezebel, finisce presto, per lasciare spazio a un’atmosfera cupa, soffocante, in cui pare quasi di sentire l’odore acre di sudore, alcol, pianto. Jezebel è l’inferno in Terra, il buco nero di Gilead, dove vengono gettate le ancelle non più utili al loro scopo ma ancora “buone” per soddisfare le voglie e le perversioni dei comandanti. Ma nessuna donna è al sicuro a Jezebel, nemmeno una mite e anonima Marta.

L’episodio si intitola “Janine” per un motivo: l’ex ancella, ora prostituta, avrà un ruolo cruciale nella riuscita del piano di Mayday. Janine, però, non è più la svampita e ingenua ancella di un tempo e, quando finalmente si riunisce alle sue amiche, ci tiene a fargli sapere che, lì dentro, da tempo le donne aspettavano solo un segnale per scatenare la loro vendetta. “Si sono fatte preparare dei coltelli” dice Janine fiera a Moira e June, come a dire: non siamo damigelle che aspettano che il principe ci salvi. Quando sarà il momento, combatteremo.

Ma il momento che Mayday sta preparando potrebbe non arrivare o essere molto diverso da come avevano pianificato. Non una singola cosa va per il verso giusto, dal momento in cui Moira e June entrano a Jezebel. Niente può andare liscio perché Jezebel è il posto meno sicuro sulla faccia della Terra per una donna, e nemmeno due anonime e miti Marte sono al sicuro lì dentro, come June e Moira scopriranno presto. L’appetito famelico dei comandanti non sembra poter essere saziato solo dalle disgraziate ex ancelle lì presenti, ma sembra volersi proiettare, con fantasie di dominio e di umiliazione, anche nei confronti di donne che il regime di Gilead ha disegnato per essere invisibili, mere servitrici, volti tutti uguali e corpi nascosti.

Per sopravvivere in un inferno simile, o ti spezzi o ti pieghi: Janine ha imparato a piegarsi quando serve, per trascinare la sua vita in avanti nella sempre più lontana speranza che è racchiusa nel disegno di sua figlia appeso allo specchio. Riesce persino a ritagliarsi qualche barlume di spensieratezza, come quando entra nei camerini abbracciata a una compagna canticchiando What’s up delle 4 Non Blondes, poco prima che il suo sguardo incroci quello di June. “Che sta succedendo?”, dice questo pezzo iconico degli anni Novanta: sta arrivando la rivoluzione.

Troviamo (finalmente) una Janine che sa manipolare, più consapevole, disillusa ma che non ha perso quel barlume di speranza folle che ce l’ha sempre fatta amare e che si riaccende non appena rivede le sue amiche. Una Janine che, con un semplice sguardo, lancia un messaggio d’acciaio al comandante Lawrence: “Pensi di essere un brav’uomo?” gli dice, sottintendendo “solo perché non mi hai mai stuprata?”. Janine per Lawrence è lo specchio in cui vedere ciò che cerchiamo di nascondere agli altri. Lawrence sa di essere migliore degli altri comandanti, e lo sa anche Janine, ma questo non basta per assolverlo dalle sue responsabilità. Fare parte di un sistema che opprime le donne, e non fare niente per cambiarlo, porta comunque una parte di colpa nella prosecuzione di quello stesso schema di sopraffazione.

Lawrence pensa che la sua Nuova Betlemme sia il modo per fare ammenda, per lavare le proprie responsabilità degli orrori di Gilead: ma avrebbe dovuto sapere che qualsiasi idea progressista sarebbe stata stroncata sul nascere, insieme al suo ideatore, dal regime. E grazie a Janine, che gli mostra come spiare gli altri comandanti, viene a conoscenza della verità: della sua Nuova Betlemme, dove le donne possono scrivere, lavorare e anche essere single, non importa niente a nessuno. Sarà la sua rovina, la sua condanna a morte.

In questa puntata di The Handmaid’s Tale passiamo, nel giro di pochi istanti, da uno dei momenti più intimi e riflessivi al più adrenalinico. June e Moira hanno modo di chiarire le tensioni che aleggiano dall’inizio della sesta stagione. Moira confida all’amica di essere stanca che tutto le giri sempre intorno, come se anche lei non avesse traumi. June sembra spiazzata, in qualche modo anche sorpresa, dal dolore dell’amica. La sofferenza spesso divide anziché unire e non sempre due persone che hanno attraversato lo stesso dolore trovano conforto nella vicinanza. Ma, come dice June, se continueranno a fare a gara a chi ha sofferto di più, saranno loro, i bastardi, a vincere.

E, come un tragico appuntamento con il destino, ecco il momento per le due amiche di mettere in pratica questo principio di sorellanza estrema che le unisce, affrontando e uccidendo una guardia che ha provato ad approfittare di due Marte sole e indifese. Due donne che non sono al sicuro in quel posto, perché nessuna donna è al sicuro a Jezebel. E, come se non bastasse, arriva anche per Lawrence il momento di dimostrare che non è solo meglio di un branco di squallidi predatori, ma che può essere davvero un buon uomo.

Darà davvero una mano a June e Moira, che hanno mancato l’appuntamento con Luke per uscire da Jezebel, o le tradirà?

In questo episodio di The Handmaid’s Tale si delinea meglio non solo quello che sarà il cuore dell’ultima stagione, ma anche con quale livello di consapevolezza e autocoscienza ogni personaggio si presenterà al momento della resa dei conti finale. June è animata da buone intenzioni ma che appare incapace di attenersi ai piani, come quando si offre di portare via Janine da Jezebel, senza preoccuparsi delle conseguenze. Moira ha tolto la maschera della donna forte e si mostra, finalmente, fragile. Nick si conferma un eccellente calcolatore, capace anche di sacrificare un innocente, la guardia a cui ha sparato nella puntata precedente e che, apparentemente, non lo ha riconosciuto, pur di non farsi scoprire. Lawrence ha incontrato proprio in questo episodio il suo punto di svolta e ha la sua occasione per decidere se essere il migliore dei bastardi o un bastardo che prova a essere migliore.

Rimane, e rimarrà fino alla fine, il grande interrogativo di Serena Joy: davvero il suo destino è quello di sposare il comandante Whalton e regnare con lui su Nuova Betlemme o, addirittura, su una Gilead riformata? Per un personaggio come lei, un prisma umano indecifrabile degna delle migliori villain Disney, potrebbe essere una conclusione alquanto “borghese” e scontata.

The Handmaid’s Tale ci sta facendo penare, in questa ultima stagione, il momento in cui vedremo i piani del Mayday realizzarsi, la furia delle ancelle scatenarsi e Gilead vacillare. Complice anche il minutaggio veramente risicato (quaranta minuti a episodio va un po’ controcorrente rispetto agli standard seriali degli ultimi anni, con puntate che sfiorano la durata di un film), ogni puntata sembra prometterci qualcosa che ancora non vediamo concretizzarsi. Sembra che gli autori ci stiano chiedendo di dare un’ultima occhiata alla scacchiera e ai pezzi che hanno posizionato con tanta cura e meticolosità, prima di sferrare la mossa rapida e letale che capovolgerà il re e trascinerà con lui tutti gli altri pezzi.

La resa dei conti è, nuovamente, rimandata al prossimo episodio di The Handmaid’s Tale, che continua a spostare in alto l’asticella delle aspettative. La difficoltà di gestire diverse storyline allo stesso tempo e di portarle man mano a chiudersi è amplificata dal fattore temporale. La serie riuscirà a regalarci il gran finale che tutti attendiamo, concludendo ciò che è rimasto in sospeso quel tanto che basta per lasciare abbastanza hype per I Testamenti, o il finale di stagione ci lascerà con più domande che risposte?

Vi lasciamo con la recensione dell’episodio 6×04: una necessaria boccata d’aria.

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