Sulla nozione di “contratto pendente” ai sensi dell’art. 97 CCII: la sentenza della Corte d’Appello di Lecce.
Nota a App. Lecce, Sez. I, 13 marzo 2025. Massima redazionale Preliminare a ogni valutazione, è la necessità di individuare l’ambito di operatività dell’art. 97 CCII, che autorizza il debitore ammesso alla procedura concordataria a chiedere l’autorizzazione a sospendere un contratto pendente. La questione de qua è riconducibile al dibattito che ha portato il legislatore […]

Nota a App. Lecce, Sez. I, 13 marzo 2025.
Massima redazionale
Preliminare a ogni valutazione, è la necessità di individuare l’ambito di operatività dell’art. 97 CCII, che autorizza il debitore ammesso alla procedura concordataria a chiedere l’autorizzazione a sospendere un contratto pendente.
La questione de qua è riconducibile al dibattito che ha portato il legislatore a modificare nel 2015 la rubrica – da “Contratti in corso di esecuzione” in “Contratti pendenti” – e, soprattutto, il tenore del primo comma dell’art. 169bis legge fall., chiarendo che deve trattarsi di «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso» (s’intende) «da entrambe le parti», come si legge nell’incipit dell’analogo art. 72 legge fall., cui il legislatore ha evidentemente voluto uniformare il testo della norma in disamina.
Invero, una parte minoritaria di dottrina e giurisprudenza, ha sostenuto che, a differenza del fallimento, nel concordato preventivo dovrebbero ritenersi “pendenti”, non solo i contratti bilaterali ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, ma anche quelli unilaterali con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti.
Secondo l’orientamento maggioritario, invece, i contratti pendenti nel concordato preventivo sarebbero solo quelli a prestazioni corrispettive che, nel momento in cui una delle parti presenti il ricorso ex art. 161 legge fall., per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, risultino ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti.
Tra i vari argomenti addotti a favore di quest’ultima tesi sono stati richiamati:
- l’argomento normativo, avendo la Relazione al D.L. 27 giugno 2015, n. 83 esplicitato l’intento di dare all’espressione “contratti pendenti”, la stessa estensione di quella contenuta nell’art. 72 legge fall., sostituendola alla locuzione “contratti in corso di esecuzione”, proprio per porre fine ai dubbi interpretativi sulla possibilità di sciogliere anche i contratti già interamente eseguiti da una delle parti;
- l’argomento storico, per cui a un enunciato normativo deve essere attribuito lo stesso significato tradizionalmente e costantemente attribuito in passato agli analoghi enunciati regolatori della stessa materia, a tal fine constatandosi che, con l’espressione “contratti pendenti” (e relative varianti lessicali), sono stati sempre designati i rapporti contrattuali bilaterali, in tutto o in parte ineseguiti da entrambe le parti al tempo del fallimento di una di esse;
- l’argomento sistematico, in base al quale, se un rapporto contrattuale pendente con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti, è assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 42 e 52 legge fall., quello stesso rapporto non può essere ricompreso tra quelli bilaterali, cui si applicano le regole di cui all’art. 72 legge fall.;
- l’argomento “prospettico”, avendo il legislatore della riforma organica delle procedure concorsuali, dettato una disciplina sui contratti pendenti nel concordato preventivo che li definisce espressamente «contratti non eseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali, da entrambi i contraenti, alla data del deposito della domanda di concordato» (art. 97, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – di seguito CCII la cui entrata in vigore è stata differita dal 14 agosto 2020 al 1 settembre 2021).
La tesi maggioritaria è stata avallata dalla Corte Suprema di Cassazione[1], attraverso un condivisibile percorso argomentativo, così sintetizzabile: «a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8, comma 10 lett. a), D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 6 agosto 2015 n. 22 132, con il quale la locuzione “in corso di esecuzione”, presente nella rubrica dell’art. 169 bis legge fall., è stata sostituita da quella “pendenti”, il legislatore ha voluto in modo inequivocabile ricondurre la nozione di contratti “pendenti”, di cui all’art. 169 bis legge fall. a quella di “rapporti pendenti “di cui all’art. 72 comma 1, legge fall., con la conseguenza che deve farsi riferimento a fattispecie negoziali che non abbiano avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo»; «se è pur vero che l’art. 169 bis legge fall. non contiene un espresso richiamo ad “entrambe le parti”, tuttavia l’utilizzo di una locuzione identica a quella della rubrica dell’art. 72 legge fall., non fa residuare alcun dubbio in ordine alla intenzione del legislatore, rivelata, peraltro, dalla relazione alla legge di conversione, inequivocabile sul punto»; «dunque, alla luce anche della chiara formulazione legislativa (confermata anche all’art. 97 del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, che fa espresso riferimento ad “entrambe le parti”), l’art. 169 bis legge fall., non è applicabile ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria obbligazione».
La citata pronunzia ha, altresì, chiarito che, mentre a fronte di un contratto con immediata efficacia traslativa (come nell’ipotesi – ivi scrutinata – di cessione di credito a scopo di garanzia pro solvendo) gli effetti dell’operazione negoziale si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo sicché «non si pone neppure la questione della “pendenza” del singolo contratto di anticipazione bancaria» – nel caso, invece, di contratto di «anticipazione bancaria con mandato all’incasso e patto di compensazione, non può parimenti ritenersi “pendente” la singola operazione di anticipazione, avendo la banca, con l’erogazione della somma al cliente, già compiutamente eseguito la propria prestazione», senza che a diversa conclusione possa indurre la presenza di una “prestazione aggiuntiva” rientrante nel sinallagma contrattuale, quale «la previsione a favore della Banca di un mandato all’incasso, con patto di compensazione», trattandosi di un mandato in rem propriam «esclusivamente finalizzato a realizzare la funzione di garanzia», sicché la banca ha solo l’onere, non già l’obbligo giuridico, di incassare presso il terzo il credito del cliente; e, comunque, «anche ove si volesse ritenere che l’attività di incasso dei crediti del cliente verso i terzi, rientrasse tra le obbligazioni della banca, si tratterebbe comunque di una prestazione di natura accessoria, non idonea ad incidere sulla nozione di compiuta esecuzione della prestazione a norma dell’art. 72 legge fall.».
Tale ultima precisazione, si pone in linea di continuità con la pertinente giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha più volte statuito che «ai fini dell’art. 72 legge fallimentare, per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie»[2].
Detta riferita continuità si è inequivocabilmente proiettata nella norma di cui all’art. 97 del CCII, la quale prevede, nella prima parte del decimo comma, che «salvo quanto previsto dall’art. 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato».
A giudizio della Corte territoriale, non deve essere, inoltre, trascurato[3] che nella recente “Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Dir. (UE) 2017/1132” non è dato rinvenire una disposizione analoga all’art. 169bis legge fall., che consenta al debitore quantomeno la sospensione, se non anche lo scioglimento, dai contratti in corso; e ciò nonostante il Titolo II della direttiva disciplini in modo analitico i «Quadri di ristrutturazione preventiva» con riguardo ai concordati in continuità aziendale, che pure dovrebbero offrire opportunità maggiori (a corrispondente detrimento dei creditori) rispetto ai concordati meramente liquidatori, come quello per cui è causa.
Ciò per un verso testimonia la cautela del legislatore unionale nell’estendere oltremodo il sacrificio dei diritti dei terzi nell’ambito delle pur favorite soluzioni di risanamento delle imprese, per altro verso induce a interpretare restrittivamente e rigorosamente i maggiori “spiragli” lasciati aperti dalla normativa nazionale, in linea con il c.d. obbligo di interpretazione conforme che deriva dal principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, TUE.
Le direttive, invero, generano, sin dalla loro entrata in vigore, non solo l’obbligo del legislatore nazionale di astenersi dall’adottare misure che possano compromettere il conseguimento dei risultati perseguiti (c.d. stand still), ma anche l’obbligo degli organi giurisdizionali di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla loro lettera e ratio, obbligo gradualmente esteso dalle norme di recepimento all’intero diritto nazionale, anteriore o successivo (c.d. interpretazione conforme o adeguatrice), se non altro con riferimento ai principi stabiliti dalla direttiva in modo preciso e incondizionato[4].
Le superiori considerazioni inducono a ritenere che, ove entrambi i contraenti non abbiano adempiuto la propria prestazione debba trovare applicazione l’art. 97 CCII.
Invero, nella specie. posto che la richiesta di sospensione, non riguarda il contratto di finanziamento, ma la cessione del credito – vincolata a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione di restituzione della somma oggetto del finanziamento – il contratto di cessione del credito deve ritenersi ancora pendente con riferimento alle prestazioni di entrambe le parti: ciò in quanto il debitore/cedente è tenuto a non ostacolare la cessione, in adempimento dell’obbligo di garanzia prestato con il contratto di finanziamento ed accettare che i pagamenti del suo debitore – con funzione liberatoria – avvengano in favore del cessionario; il creditore/cessionario è tenuto ad accettare i pagamenti che volta per volta vengono eseguiti dal debitore ceduto in esecuzione degli accordi intervenuti fra le parti con la cessione, imputando tali pagamenti a deconto del debito derivante dal contratto di finanziamento.
In altri termini, la cedente – in adempimento del contratto di finanziamento, ovvero a garanzia del rimborso delle relative rate – ha ceduto, in favore dell’istituto erogatore, i crediti vantati nei confronti del proprio debitore, e maturati via via che incassava dallo stesso la controprestazione delle forniture di energia. Non è, pertanto, revocabile in dubbio che il caso di specie, si collochi nell’ambito di applicabilità dei commi 1 e 14 dell’art. 97 CCII.
[1] Cfr. Cass. n. 11524/2020 e Cass. n. 26568/2020.
[2] Cfr. Cass. n. 11524/2020.
[3] Cfr. Cass.n. 26568/2020.
[4] Cfr., ex multis, CGUE, 10 aprile 1984; CGUE, 13 novembre 1990; CGUE, 5 ottobre 2004; CGUE, 22 novembre 2005; CGUE, 15 aprile 2008; CGUE, 19 gennaio 2010; Cass. Civ., Sez. Un., n. 27310/2008.