Dentro le Parole | Sei un boomer: ne parliamo?
Il concetto di generazione è una convenzione arbitraria, ma anche un potente mezzo di costruzione identitaria collettiva, che permette di elaborare il passaggio fra passato e presente, fra genitori e figli, fra vecchio e nuovo. Lo spiega Alessandro Lucchini nella quarta stagione della serie sul linguaggio inclusivo

In collaborazione con Luca Stoppioni e Lorena Zerbin
Ogni generazione ride delle vecchie mode,
ma segue religiosamente le nuove.
Henry David Thoreau
Podcast Gener-azioni.
Titolo della puntata: Sei un boomer: ne parliamo?
Partiamo dalla definizione, Boomer.
Deriva da Baby-Boomer, cioè chi è nato nel periodo del Baby Boom, a cavallo fra il 1946 e il 1964. Il boom dapprima demografico nel secondo dopoguerra (che voglia di riprendere a vivere!), diventato poi economico alla fine degli anni 50.
In senso ironico e spregiativo (Treccani), visto dalle generazioni successive i baby boomer – in Italia, circa 15 milioni di persone – sono portatori di modi di pensare e agire superati e perfino nocivi.
Quel tono abituale dei podcast: supponente ma intrigante insieme, erudito ma condiscendente, saputello ma effettivamente utile. Si può dire enciclo-pop?
“Ok, boomer” è un’espressione usata da adolescenti e giovani per zittire o prendere in giro cose percepite come lamentele paternalistiche della generazione dei 50-60-70enni, ritenuta responsabile delle attuali crisi sociali, finanziarie e climatica. Fu coniata il 6 novembre 2019 dalla deputata neozelandese Chlöe Charlotte Swarbrick, allora 25enne, che durante un discorso in Parlamento, peraltro centrato proprio sul tema del rinnovamento generazionale delle posizioni di potere, interrotta da un collega più anziano, lo liquidò con due parole, “ok boomer”, appunto, continuando poi a parlare.
Sulle parole del podcast discutono una voce matura e una giovane. Chiamiamoli per comodità B come Boomer e GZ come GenZ.
GZ -Ah, credevo che Ok, Boomer fosse solo una canzone dei Zen Circus. Dice così: I ragazzi di oggi una volta eravamo noi, Eravamo noi quelli sbagliati, maleducati, E adesso siamo noi che facciamo i nostalgici, patetici, … E adesso invece, lo dici tu che ‘sti ragazzi di oggi non li capisci più…
Nonostante qualche punzecchiatura, i toni sembrano permettere uno scambio aperto.
B – Lo vedi? Il mondo gira. Passano i decenni, e i comportamenti si ripetono. Comunque certe differenze restano evidenti. A me pare, per esempio, che per la vostra generazione il valore del sacrificio, nello studio e poi nel lavoro, non sia centrale. Sbaglio?
GZ -Guarda, lo so che voi boomer siete cresciuti con il culto del lavoro. E ci sta la vostra dedizione. E immaginiamo che anche per voi non sia stato facile. Ma è il senso del futuro che ci divide: la realizzazione nel lavoro per noi non è più una traccia così sicura. Dobbiamo reinventarci continuamente, e questo ci lascia spesso con più incertezze che certezze.
B -Oh, non è che per noi l’affermazione nel lavoro rappresentasse solo certezze, sai. Non aiuta mai idealizzare il passato. Anche noi abbiamo affrontato molte fasi d’instabilità, e abbiamo sempre dovuto reinvertarci (pensa a quando abbiamo cominciato a usare i computer), quella è una caratteristica umana, bisogna esserne forniti in ogni età. La questione delle età è complessa e in continua evoluzione, pensa solo a com’è cambiata la durata della vita.
Riprendono ad ascoltare il podcast.
Le tre dimensioni dell’età
Possiamo individuare tre modi d’intendere l’età.
Età anagrafica. È un numero, una data stampata sulla carta d’identità. Di solito quando si dice “età” si pensa a quella.
Età psicologica. È il modo che si ha di percepirsi in rapporto all’età anagrafica; come ci si vede e ci si rapporta con la realtà e le altre persone. Ha molte sfaccettature: il primo aspetto è la percezione soggettiva, ci si può sentire più giovani o più maturi rispetto agli anni effettivi, anche in rapporto a situazioni e contesti diversi; il secondo è la maturità emotiva, ossia quanto si è capaci di gestire emozioni e relazioni o situazioni difficili: si può essere emotivamente più maturi rispetto all’età anagrafica o viceversa. Terzo aspetto, la vitalità: sentirsi energici e motivati fa percepire un’età più giovane. Ci sono poi le capacità cognitive, il saper coltivare pensiero, memoria e attenzione. E poi le esperienze di vita: situazioni che richiedono responsabilità precoci possono portare a una percezione di maggior maturità.
Età sociale. Indica la posizione di un individuo nella società in base ai ruoli, alle aspettative culturali e alle norme legate alle fasi della vita. Dipende dai ruoli assunti (figlia/o, genitrice/ore, studente, lavoratrice/ore, pensionata/o), dalle aspettative culturali (come vestirsi, come comportarsi, se e quando avere figli, quando entrare nel lavoro e quando uscirne ecc.), dalle transizioni di vita (un cambio di status familiare, un trasferimento) e dall’aspetto fisico, che non sempre riflette l’età anagrafica.
GZ -Interessante ’sta cosa delle tre età. In effetti l’abitudine di etichettare le generazioni prende quasi sempre in considerazione solo l’età anagrafica?
B – Eh certo, creando così una quantità di stereotipi, più o meno inconsapevoli. Racconta Valentina Di Michele nel suo Scrivi e lascia vivere:
A 28 anni ero giovane per anagrafe e mi sentivo matura psicologicamente: a 47 sono considerata giovane nel mio contesto sociale anche se a livello fisiologico vedo sul mio corpo i segni del tempo. Per lo Stato sono troppo giovane per la pensione, ma nella mia cartella clinica c’è scritto persona di età matura.
GZ – Ecco, gli stereotipi. Torniamo al podcast, che ora propone quelli sui boomer, promettendo anche di smontarli uno per uno.
Stereotipi e confutazioni
1. Non capiscono la tecnologia. Davvero? Una ricerca di Hearts & Science del 2023 sfata questo mito. Molti boomer usano molto i social, fanno acquisti online e partecipano a discussioni digitali. Bill Gates, Steve Jobs e Jeff Bezos sono qui dentro: difficile considerarli tecnofobi. Spassoso, sul tema, il Protocollo boomer, l’idea del gruppo comico The Jackal, che spiega le difficoltà tecnologiche esibite da madri e padri come un pretesto per ottenere l’attenzione di figlie e figli.
2. Sono mentalmente rigidi e chiusi. Eppure hanno guidato grandi cambiamenti sociali e culturali, dal ’68 ai diritti civili, dalla rivoluzione sessuale alle prime battaglie ambientali. Sono stati i primi a ribellarsi ai padri e alle istituzioni, a quel modello di famiglia vecchio di secoli e a consegnarne uno nuovo ai figli, meno rigido, più fluido, tale da permettere a figlie e figli di criticare anche pesantemente i genitori.
3. Criticano sempre i giovani. Sebbene esista il cliché del boomer che rimprovera i giovani, in realtà molti sostengono figli e nipoti sia sul piano economico sia su quello emotivo. Dipingerli come sempre critici nei confronti delle nuove generazioni è una semplificazione che non tiene conto della complessità dei rapporti intergenerazionali.
4. Sono tutti benestanti. Se hanno vissuto un’epoca con maggiori opportunità, hanno affrontato anche crisi economiche, disoccupazione e difficoltà finanziarie. Il benessere è stato frutto di impegno e sacrifici.
5. Non capiscono la cultura contemporanea. Questo è abbastanza vero: con la musica, le serie TV e i meme dei più giovane arrancano. Comunque spesso partecipano a eventi musicali, cinema e nuove forme di intrattenimento. Poi restano avvinghiati al rock
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