Stipendi netti, male l’Italia tra i Paesi Ocse: crolla il potere d’acquisto

Gli stipendi netti in Italia sono più bassi rispetto a quelli delle altre grandi economie europee Ocse: sempre più giovani vanno all'estero attratti da condizioni migliori

Feb 20, 2025 - 14:53
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Stipendi netti, male l’Italia tra i Paesi Ocse: crolla il potere d’acquisto

In Italia gli stipendi netti sono inferiori rispetto alla media dei Paesi Ocse economicamente sviluppati. A riferirlo in maniera molto chiara è la mappa interattiva dell’Eurostat (Ufficio statistico Ue) che ha parametrato gli incassi dei lavoratori con il potere d’acquisto degli stessi su beni e servizi. Il risultato per l’Italia è che sempre più cittadini, specie i più giovani, si formano nel Paese per poi andare a lavorare all’estero attratti da condizioni di vita migliori.

Gli stipendi Italiani sempre più bassi

Il parametro utilizzato da Eurostat per il suo studio è il Purchasing Power Standard (PPS), ovvero l’unità di misura che permette il confronto tra il potere d’acquisto dei diversi Paesi. Il rapporto, come detto, non rende onore all’Italia, che si colloca ultima tra le grandi economie Ocse, dietro Francia, Germania e Spagna e 19esima nella classifica generale composta da 34 Paesi. Entrando più nello specifico, considerando uno stipendio medio di una single senza figli nell’Unione europea pari, nel 2023, a 27.500 PPS, l’Italia presenta un valore di soli 24mila PPS, ovvero il 15% in rispetto alla media.

Per comprendere la situazione drammatica italiana è utile fornire anche i dati dei Paesi più virtuosi, con dei PPS ben sopra la soglia di 27.500. In vetta troviamo la Svizzera, con 47mila PPS, seguita dai Paesi Bassi, 38mila, Norvegia, Lussemburgo, Austria (retribuzioni annue che oscillano tra 35mila e 38mila PPS). Interessante è anche notare il confronto dell’Italia con le altre grandi economie europee. La Germania ha registrato un reddito medio di 34.900 PPS, la Francia di 28.500 PPS e la Spagna di 24.500 PPS, il che vuol dire per l’Italia rispettivamente meno 45, 18 e 2%.

A non brillare, oltre all’Italia sono anche Paesi come Polonia, Grecia e Portogallo, con le ultime posizioni della classifica sono occupate da Bulgaria, Lettonia e Slovacchia con retribuzioni intorno ai 14mila PPS.

Italia penalizzata anche dalla tassazione

Il basso dato registrato dall’Italia nello studio Eurostat risente anche del sistema fiscale nazionale che, tra detrazioni e bonus accumulati nel corso del tempo, ha portato a una tassazione definita come caotica. Proprio tale scenario ha reso possibile un paradosso in Italia, ovvero che l’aumento di uno stipendio lordo può portare a una riduzione di quello netto.

I problemi maggiori, in tema fiscale, riguardano in Italia chi ha stipendi annui superiori ai 50mila euro. In questi casi, infatti, la pressione fiscale è più elevata in virtù della modifica della soglia Irpef ridotta, nel 2021, da 75mila a 50mila euro. Ecco dunque che a risentirne è il ceto medio alto, costretto a pagare la stessa aliquota di chi ha guadagno di molto superiori ai suoi.

Il fenomeno della fuga di cervelli

La prospettiva di lavorare in un Paese che non garantisce un livello salariale paragonabile a quello di altri alimenta, sempre più, la cosiddetta fuga di cervelli dall’Italia. I giovani, in particolare, ultimato il loro percorso di studi nel Paese cercano soddisfazioni lavorative altrove, dove possono contare su una migliore qualità della vita, sia in termini di servizi offerti che di tassazione.

A lasciare l’Italia sono soprattutto categorie professionali medio alte che, dunque, hanno un potenziale maggiore sul mercato internazionale del lavoro. I cervelli in fuga italiani sono anche agevolati dalla riscontrata qualità della formazione ricevuta in patria, specie nei campi in cui è richiesta maggiore specializzazione.