Shrinkflation, occhio all’etichetta: prodotti rimpiccioliti e prezzi inalterati (e c’è anche la skimpflation)

L’Italia: trasparenza contro la sgrammatura, da ottobre obbligo di segnalare sulle confezioni il riporzionamento. Ma la Ue chiede spiegazioni: è un ostacolo al libero mercato. Federdistribuzione: “Pochi i casi di inganno”. Unione nazionale consumatori: “Battaglia giusta, il governo vada avanti”

Mar 30, 2025 - 01:38
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Shrinkflation, occhio all’etichetta: prodotti rimpiccioliti e prezzi inalterati (e c’è anche la skimpflation)

Roma, 29 marzo 2025 – Ma per Pasqua troveremo sugli scaffali colombe rimpicciolite dalla shrinkflation? In altre parole, ridimensionate dalla sgrammatura che da anni pesa nel carrello (anche) degli italiani, dal detersivo alla birra? Da capire. Di certo, il governo di Giorgia Meloni è deciso a introdurre dal 1 ottobre l’obbligo di un’etichetta che per trasparenza sveli al consumatore se il peso di un certo prodotto è stato ridotto. La Commissione europea si è appellata però alla libera circolazione delle merci. L’interlocuzione è in corso, da vedere se sfocerà in una procedura d’infrazione.

Etichette alimentari: a che cosa dobbiamo fare attenzione
A concerned shopper checks the nutrition labels of various boxes of cereal.

La storia per punti

Shrinkflation, che cos’è davvero 

Prima di andare avanti, fissiamo un concetto-base: quando possiamo parlare davvero di shrinkflation? Fa chiarezza Mauro Antonelli, ufficio studi dell’Unione nazionale consumatori (Unc): “Le condizioni per prevedere l’etichetta devono essere tre: che sia inalterato il confezionamento precedente, quindi parliamo di overpackaging; che ci sia stata una riduzione della quantità, come la mozzarella che passa da 125 a 100 grammi; che ci sia un correlato aumento del prezzo per unità di misura”.

L’etichetta anti shrinkflation

Tutte informazioni da mettere per iscritto su un’etichetta, anche adesiva. Poi sono arrivate le osservazioni dell’Europa. “Per la Ue questa iniziativa è un ostacolo al mercato interno e compromette la libera circolazione delle merci. Una tesi secondo noi sbagliata”, è l’analisi di Antonelli.

Basta rispolverare il Codice del consumo, suggerisce l’esperto dell’Unc. “Se un’azienda straniera vuole vendere ad esempio biscotti nel nostro paese, deve fare una confezione ad hoc, perché è obbligatorio usare la lingua italiana. Anche per questo, a nostro parere, con l’etichetta anti sgrammatura non si compromette nulla”. Non solo. “Il controsenso di tutta la vicenda è che l’Italia è tra i primi a fare questa battaglia in Europa e la Ue ci si mette contro”.

Mauro Antonelli, ufficio studi Unione nazionale consumatori

Il confronto tra Italia e Europa

Come finirà il confronto con Bruxelles? “Dipende dal nostro paese - prevede l’esperto -. Secondo noi il governo deve insistere. Perché su questo punto è importante arrivare a una direttiva europea. Chiaro che questo richiede tempo. Ma per fortuna, come dimostrano i balneari, la procedura d’infrazione è lunga. Il coinvolgimento dei distributori, senza passare dalle ditte, potrebbe risolvere gran parte dei problemi sollevati dall’Unione”.

Carlo Alberto Buttarelli, presidente Federdistribuzione
@ MICHELE D'OTTAVIO

Il punto di vista di Federdistribuzione

Carlo Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione – il fatturato di questo comparto si assesta sui 120 miliardi di euro - alla parola shrinkflation non si scandalizza. “Abbiamo partecipato anche ai tavoli ministeriali dove si è discusso dell’etichetta - ricorda -. Chiaro che se un produttore mette in commercio un alimento che può trarre in inganno per la quantità, deve rendere la cosa visibile. Questa ci sembra una condizione adeguata, equilibrata. L’abbiamo in sostanza condivisa”.

Buttarelli tiene a fare una distinzione, prevista peraltro dallo stesso Codice del consumo aggiornato dalla legge Concorrenza. Osserva: “Molto spesso si confonde la shrinkflation con il cambio di formato. Ma quest’ultima è una scelta legittima, a volte è una strategia di marketing o antispreco perché oggi il 30% delle famiglie è costituito da una sola persona. Il problema è se viene mantenuta la confezione di prima”.

“L’inganno va contrastato”

“Quando abbiamo verificato un possibile inganno - è diretto il presidente di Federdistribuzione -, lo abbiamo sempre contrastato. I casi ci sono stati, obiettivamente non moltissimi. Già nelle etichette, da tempo, abbiamo non solo il valore dell’unità di vendita che il consumatore acquista, ma c’è sempre anche il riporto al chilo-litro, quindi al valore di riferimento, chi compra può fare il confronto”. Nell’approccio con i produttori, è il ragionamento di Buttarelli, “abbiamo sempre ragionato per tutelare i consumatori clienti, per far sì che quando ci sono dei cambi, questi non incidano poi sugli aumenti. Se riduci la quantità del 20%, il prezzo deve scendere della stessa percentuale. Questo è stato il nostro approccio iniziale. Poi, in condizioni di grandissima inflazione come negli ultimi due anni, c’è stato effettivamente qualcuno che anziché aumentare il prezzo magari ha pensato di ridurre la quantità. In pochissimi casi mantenendo lo stesso packaging, cosa che abbiamo contrastato, in altri cambiando proprio la confezione, quindi con trasparenza verso chi acquista”.

E c’è anche la skimpflation

Intanto, però, le associazioni di consumatori hanno già aperto un altro fronte, e tengono alta l’attenzione anche sulla skimpflation, vuol dire “modificare la qualità del prodotto e lesinare, fare economia. In altre parole, risparmiare sugli ingredienti”, traduce Antonelli dell’Unc. Spiega: “La presentano spesso come fosse una cosa positiva. Nuova ricetta, scrivono. Sarebbe bene andare a vedere la lista degli ingredienti, in quel caso. Tra l’altro: questa è stata una vittoria storica dell’Unione nazionale consumatori. Nell’etichetta i prodotti vanno indicati in ordine di quantità decrescente. Quindi se il burro sparisce improvvisamente e al suo posto ci sono oli vegetali, se i canditi nella colomba di Pasqua scendono dalla terza alla quarta posizione, bisogna capire bene. In altre parole, se tu chiami lo stesso prodotto con il nome di prima ma la ricetta è completamente diversa, chiaro che anche quello diventa un problema”.