Separazione e assegno di mantenimento: la Cassazione stronca il concetto di ‘tenore di vita’

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Mag 10, 2025 - 07:12
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Separazione e assegno di mantenimento: la Cassazione stronca il concetto di ‘tenore di vita’

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Con l’ordinanza numero 3355 depositata il 10 febbraio 2025, la Corte di Cassazione torna su un tema molto dibattuto nel diritto di famiglia: il diritto all’assegno di mantenimento dopo la separazione, in relazione al tenore di vita goduto durante il matrimonio.


Il caso riguardava un uomo che, dopo 17 anni di matrimonio e un divorzio con condizioni economiche inizialmente favorevoli (assegno di 1.500 euro), contestava una riduzione dell’assegno a soli 300 euro, poi aumentato a 1.200 euro dalla Corte d’Appello di Milano. Il marito riteneva la cifra insufficiente a garantirgli lo stile di vita che aveva condotto durante il matrimonio e per questo ha portato il caso in Cassazione.

Tuttavia, gli Ermellini hanno dichiarato inammissibile il suo ricorso. Non è bastato affermare di aver avuto un tenore di vita agiato: il ricorso mirava infatti a una rivalutazione dei fatti già giudicati, cosa che la Cassazione, in quanto giudice di legittimità, non può fare. Quello che la Corte può esaminare è solo l’errore di diritto, non il merito della valutazione dei fatti, che spetta ai giudici di grado inferiore.

Separazione e assegno di mantenimento: per la Cassazione il ‘tenore di vita’ va dimostrato e attualizzato

Il principio secondo cui il coniuge separato ha diritto a mantenere un tenore di vita simile a quello matrimoniale è tuttora valido. Tuttavia, va dimostrato non solo il tenore goduto, ma anche l’effettiva impossibilità di sostentarsi autonomamente. Nel caso in questione, il marito – sebbene non avesse un impiego fisso – aveva comunque in precedenza lavorato nei maneggi, insegnando equitazione, sia in Sardegna che in Campania. Aveva sempre avuto una casa, un’auto ed era stato in grado anche di acquistare un immobile. Non poteva quindi sostenere di non avere mezzi economici sufficienti per mantenersi.

I soldi della famiglia della moglie non contano

Un punto interessante riguarda le risorse economiche della famiglia d’origine della moglie. Il marito le citava come prova dell’alto tenore di vita della coppia. La Cassazione, però, è netta sul punto: le elargizioni da parte dei familiari non possono essere considerate reddito, nemmeno se abituali. Si tratta, al massimo, di atti di liberalità. Quindi, se il coniuge separato non ha accesso diretto e stabile a quelle risorse, esse non incidono sul diritto al mantenimento.

L’accordo sul “non lavorare” non basta

L’uomo sosteneva che durante il matrimonio risultava concordato che lui non dovesse lavorare, in una divisione dei ruoli all’interno della coppia. Per la Corte questo tipo di accordo può rilevare solo se, una volta venuto meno, il coniuge dimostri di non potersi reinserire nel mondo del lavoro. In questo caso, il marito non aveva fornito prove sufficienti: nessuna iscrizione a centri per l’impiego, nessuna richiesta di aiuto sociale, nessuna dimostrazione di reali tentativi per cercare lavoro.

Alla fine, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, giudicando inammissibile il ricorso principale del marito e inefficace quello incidentale della moglie, presentato oltre i termini. Ha anche condannato il ricorrente al pagamento delle spese legali, come previsto nei casi di rigetto.

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