Rischi e resilienza delle abitazioni elettrificate
Quando la tempesta Eowyn ha colpito l’Irlanda fra il 21 e il 25 gennaio, sferzandola con venti a 185 kmh, migliaia di abitazioni si sono ritrovate al buio, per il crollo di tralicci e cavi strappati dal vento o da alberi caduti. Nel disastro post tempesta nelle aree più colpite due abitazioni hanno però continuato […] The post Rischi e resilienza delle abitazioni elettrificate first appeared on QualEnergia.it.

Quando la tempesta Eowyn ha colpito l’Irlanda fra il 21 e il 25 gennaio, sferzandola con venti a 185 kmh, migliaia di abitazioni si sono ritrovate al buio, per il crollo di tralicci e cavi strappati dal vento o da alberi caduti.
Nel disastro post tempesta nelle aree più colpite due abitazioni hanno però continuato a funzionare e ad essere alimentate come al solito.
Una era quella di Margaret Gallagher, un’anziana signora di 83 anni, che vive nella sua piccola casa con il tetto in paglia vecchia ormai di oltre 200 anni, in Irlanda del Nord. Il segreto della sua resilienza è l’aver sempre rifiutato, un po’ per scelta, un po’ per povertà, la cosiddetta “modernità”.
Margaret si riscalda e cucina con legna e torba, e illumina la casa con lampade a petrolio e candele. Neanche il blocco delle pompe idrauliche l’ha interessata: lei l’acqua la prende dal pozzo con un secchio.
Stesso risultato, ma con mezzi opposti, si è avuto nel caso di Michael Wilkinson, meccanico che vive nel sudest dell’Irlanda: stufo delle continue interruzioni di corrente causate dalla rete vetusta e inadeguata della sua zona, si è reso elettricamente indipendente con pannelli solari, una turbina eolica autocostruita e batterie di un camion.
Quando Eowyn ha colpito, la sua abitazione è rimasta illuminata, a differenza di quelle dei vicini. “Però dopo alcune ore abbiamo dovuto azionare il nostro generatore a benzina di backup, per l’esaurimento delle batterie”, ha spiegato alla BBC.
Questi due casi illustrano bene un problema della transizione energetica di cui si parla poco: cosa accade nell’eventualità di disastro naturale, anche causato dall’uomo come una guerra, ad abitazioni, mezzi di trasporto e attività che usano solo energia elettrica?
In quelle situazioni la prima a cadere è spesso la rete elettrica e le batterie non possono supportare i consumi di case e mezzi per più di qualche ora. Al contrario i combustibili fossili possono viaggiare anche in taniche, bottiglie, bombole, persino secchi, e continuare in qualche modo ad alimentare i sistemi che li richiedono.
Diverse ricerche scientifiche hanno già analizzato il problema per quanto riguarda le auto elettriche.
L’ingegnere ambientale Mohammad Hossein Babaei dell’University of Alberta ha compiuto una revisione di questa letteratura scientifica, esaminando una trentina di studi teorici su cosa può accadere: quando migliaia di persone con auto elettriche devono abbandonare un’area colpita da un terremoto, un incendio forestale o un’alluvione. Ne illustra le sue conclusioni su Transportation Letters.
“In realtà il primo esempio che ho trovato era positivo: nel 2011, durante il grande terremoto del Tohoku in Giappone, quello di Fukushima, i danni subiti dalle raffinerie nelle aree colpite, fecero sì che per qualche tempo solo i veicoli elettrici potessero circolare e portare soccorsi. Ma in genere avviene il contrario: i combustibili fossili restano accessibili, magari attingendo ai serbatoi dei distributori, mentre sparisce o si riduce la possibilità di ricaricare le batterie, spesso proprio in situazioni di emergenza in cui non si possono attendere tempi lunghi per la ricarica”, spiega Hossein Babaei.
Non diciamo che le auto elettriche non abbiano la loro utilità durante questi disastri. Molti modelli consentono il trasferimento di elettricità dalla batteria dell’auto all’esterno, e quindi inizialmente possono essere usate per ricaricare dispositivi elettronici, illuminare abitazioni o azionare altri dispositivi elettrici indispensabili, come quelli medici.
In futuro veicoli elettrici con accumulatori ad alta capacità, potrebbero essere inviati nei luoghi dei disastri per fornire elettricità a specifici edifici.
“Ma questo non rende meno grave il problema”, dice l’ingegnere canadese. Il problema, spiega, si pone quando quelle batterie andranno ricaricate: si rischiano colonne di auto abbandonate per le strade, se il blackout elettrico è totale e si estende per aree molto vaste. “Mentre se i danni alla rete sono parziali, ci possono essere assalti alle poche stazioni di ricarica funzionanti, con sovraccarico della rete e rischio di nuovi blackout”, aggiunge.
Le soluzioni? Non sono facili. Sperando che la tecnologia dei mezzi elettrici assicuri autonomie sempre maggiori, il ricercatore indica come possibile strada l’istituzione di grandi stazioni di ricarica di emergenza, disposte lungo le probabili vie di fuga a intervalli regolari, dotate di batterie ad alta capacità, costantemente ricaricate da impianti a fonti rinnovabili, così che restino in funzione anche in caso di una rete non funzionante.
Oppure anche camion batteria, che ricarichino i mezzi bloccati lungo le strade, permettendogli di ripartire e arrivare in luoghi più sicuri.
“Il problema è che, a parte alcuni studi teorici, non si sono ancora fatti test e simulazioni nel mondo reale. Direi che è tempo di farli e valutare seriamente le possibili soluzioni, prima che un grave disastro colpisca un’area con una maggioranza di veicoli elettrici”, conclude Hossein Babaei.
E mentre l’ingegnere pensava alle auto elettriche, l’informatico Philip Odonkor, dello Stevens Institute of Technology, ha deciso di valutare la vulnerabilità agli eventi meteo estremi di case convenzionali o di case del tutto elettrificate.
“Abbiamo utilizzato dati raccolti dal Dipartimento dell’Energia americano, sui consumi energetici di 129mila case unifamiliari in 8 Stati, per cercare di individuare le ‘firme’ energetiche che distinguono le case completamente elettrificate, da quelle che utilizzano una combinazione di fonti energetiche”, ha spiegato Odonkor sul Journal of Smart Cities and Society.
“Per scoprire le firme i dati sono stati fatti esaminare a nove diversi modelli di intelligenza artificiale, i migliori dei quali hanno dimostrato di poter distinguere con il 95% di accuratezza i due tipi di abitazione”.
A quel punto i ricercatori hanno creato delle simulazioni in cui venivano riprodotti gli effetti di due eventi tipici degli Usa: i blackout causati da danni sulla rete per tempeste di neve e gelo invernali, o i blackout derivanti dalle ondate di calore che moltiplicano i consumi sovraccaricando la rete.
“I risultati sono stati abbastanza eloquenti: le case elettrificate e dotate di grandi impianti FV su tetto e batterie, se la cavano molto meglio di quelle convenzionali durante i blackout dovuti alle ondate di calore estivo, per motivi abbastanza intuitivi: il sole diurno può fornire abbastanza energia per alimentare condizionatori, luci e tutti gli elettrodomestici della casa, di giorno e di notte, se si calibrano i consumi in base alla capacità dello storage”, ha spiegato il ricercatore americano.
I calcoli indicano una vulnerabilità media del 55% per le case convenzionali in queste situazioni, derivante largamente dal blocco dei condizionatori, e del 25% circa di quelle elettrificate, soprattutto se non dotate di batterie abbastanza capienti.
Ma le cose si ribaltano in caso di mancanze prolungate di elettricità durante l’inverno.
“In quel caso – chiarisce Odonkor – l’impianto solare fra poche ore di luce, neve e cielo coperto, non può assolutamente sostenere i consumi di un impianto di riscaldamento elettrico, anche a pompa di calore. E anche grandi batterie non possono assicurare più di poche ore di elettricità”.
Le case elettrificate in questi casi hanno un 90% medio di vulnerabilità, vedendo bloccarsi praticamente tutto nell’abitazione, contro un 27% per le case ad energia mista.
“La vulnerabilità delle case convenzionali, in questi casi, deriva dal non poter usare eventuali scaldabagni o cucine elettriche, mentre in genere il riscaldamento a combustibili continua a funzionare, per esempio con un piccolo generatore autonomo che fornisca l’elettricità per le pompe idrauliche e le ventole, anche durante prolungati blackout”, ricorda Odonkor.
Questo non vuol dire che si debba abbandonare l’elettrificazione delle case in aree soggette a blackout invernali.
“Bisogna però essere preparati a questi eventi. In attesa che la tecnologia fornisca sistemi di accumulo stagionale, per esempio a idrogeno, che spostino all’inverno parte dell’eccesso di elettricità prodotta d’estate, chi elettrifica completamente la casa, non dimentichi sistemi di backup di lunga durata che possano sostituire in emergenza riscaldamento, cucina e boiler elettrici, per esempio stufe, scaldacqua o fornelli che funzionino con bombole di Gpl”, conclude il ricercatore dello Stevens Institute of Technology.The post Rischi e resilienza delle abitazioni elettrificate first appeared on QualEnergia.it.