Confcooperative, Gardini: “con i dazi si rischia una perdita per l’agroalimentare di circa 1,5-2 miliardi di euro annui”

Un conto economico in chiaro scuro quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese. È necessario investire di più e meglio in ricerca e sviluppo e il paradigma va subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa. Questo in sintesi quanto emerge dal Focus Censis Confcooperativedal titolo Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?. Ne abbiamo parlato con il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, che ci ha spiegato il ruolo dell’economia sociale nel nostro Paese ed i rischi legati ai dazi paventati dal presidente americano Donald Trump. Quali sono i rischi ed i vantaggi dati dall’intelligenza artificiale al nostro Paese dal punto di vista economico e lavorativo? «Secondo il report, l’IA presenta un quadro economico in “chiaro scuro” per l’Italia, i vantaggi sono riassumibili in una crescita del PIL fino a 38 miliardi di euro entro il 2035, pari a un incremento dell’1,8%, mentre i rischi riguardano in particolare la perdita di posto di lavoro: 6 milioni di lavoratori sono a rischio sostituzione; 9 milioni potrebbero vedere l’IA integrarsi con le loro mansioni. In totale, circa 15 milioni di lavoratori sono esposti agli effetti dell’IA. Per questo è necessario correggere il paradigma mettendo “la persona al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa». Quali sono le professioni che rischiano di essere cancellate con l’avvento dell’AI? «Le professioni più esposte alla sostituzione sono quelle intellettuali ma automatizzabili. Tra le prime 10 professioni a rischio figurano quella del matematico, del contabile, periti, valutatori di rischio e liquidatori, bancari e i manager che si occupano di gestione e del controllo nelle imprese private e pubbliche». Secondo il report le donne risultano più esposte rispetto agli uomini. Come mai? «La maggiore esposizione delle donne le donne è dovuta principalmente al fatto che rappresentano il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità Il livello di esposizione all’IA aumenta con il grado di istruzione, e questo potrebbe acuire il gender gap esistente. Il documento non fornisce una spiegazione dettagliata del perché le donne siano più esposte, ma suggerisce una correlazione con i livelli di istruzione e presumibilmente con le tipologie di professioni in cui le donne sono maggiormente rappresentate». Maurizio Gardini presidente Confcooperative credit @franceschin Rispetto agli altri Paesi com’è messa l’Italia nell’adozione dell’AI? Siamo indietro? Perché? «L’Italia è in ritardo nell’adozione dell’IA. Solo l’8,2% delle imprese italiane ha utilizza l’IA nel 2024. Un dato è nettamente inferiore alla Germania (19,7%) e alla media UE (13,5%). Il divario è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifatturaSecondo il Government AI Readiness Index 2024, l’Italia si posiziona al 25° posto, dietro a 13 paesi europei. Un fattore determinante è l’investimento in ricerca e sviluppo: l’Italia investe l’1,33% del PIL, la media europea è del 2,33%, la Germania investe il 3,15%, la Francia il 2,18%. Per il biennio 2025-2026, il 19,5% delle imprese italiane prevede di investire in beni e servizi legati all’IA, con percentuali più alte nel settore informatico (55%) e più basse nella ristorazione (1,4%)». Parliamo di un altro tema scottante di questi giorni: i dazi americani. Le cooperative sono impegnate in molteplici settori imprenditoriali dall’agroalimentare, alla pesca al credito. Tutti settori che possono essere coinvolti dalle tariffe. Cosa rischiano le nostre imprese e qual è l’impatto economico stimato sui singoli settori? Come difendersi? «Potrebbero tradursi in una perdita di fatturato per il comparto agroalimentare di circa 1,5-2 miliardi di euro annui, considerando che gli USA rappresentano il terzo mercato di destinazione del nostro export con un valore di oltre 6 miliardi di euro. Le piccole e medie imprese agroalimentari sarebbero tra le più colpite, poiché hanno minore capacità di assorbire l’aumento dei costi o di diversificare rapidamente verso altri mercati. Si stima che circa il 30% potrebbe dover ridurre la produzione e l’occupazione, con particolare impatto sui distretti alimentari specializzati su formaggi e vini. I dazi sono sempre una sconfitta. Dazio chiama dazio. Il protezionismo è un danno per tutti». Economia 5 Marzo 2025 Coldiretti sui dazi, Prandini: “stimato aggravio di 2 miliardi a carico dei consumatori americani”

Mar 7, 2025 - 18:28
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Confcooperative, Gardini: “con i dazi si rischia una perdita per l’agroalimentare di circa 1,5-2 miliardi di euro annui”

Un conto economico in chiaro scuro quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese. È necessario investire di più e meglio in ricerca e sviluppo e il paradigma va subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa. Questo in sintesi quanto emerge dal Focus Censis Confcooperativedal titolo Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?. Ne abbiamo parlato con il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, che ci ha spiegato il ruolo dell’economia sociale nel nostro Paese ed i rischi legati ai dazi paventati dal presidente americano Donald Trump.

Quali sono i rischi ed i vantaggi dati dall’intelligenza artificiale al nostro Paese dal punto di vista economico e lavorativo?

«Secondo il report, l’IA presenta un quadro economico in “chiaro scuro” per l’Italia, i vantaggi sono riassumibili in una crescita del PIL fino a 38 miliardi di euro entro il 2035, pari a un incremento dell’1,8%, mentre i rischi riguardano in particolare la perdita di posto di lavoro: 6 milioni di lavoratori sono a rischio sostituzione; 9 milioni potrebbero vedere l’IA integrarsi con le loro mansioni. In totale, circa 15 milioni di lavoratori sono esposti agli effetti dell’IA. Per questo è necessario correggere il paradigma mettendo “la persona al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa».

Quali sono le professioni che rischiano di essere cancellate con l’avvento dell’AI?

«Le professioni più esposte alla sostituzione sono quelle intellettuali ma automatizzabili. Tra le prime 10 professioni a rischio figurano quella del matematico, del contabile, periti, valutatori di rischio e liquidatori, bancari e i manager che si occupano di gestione e del controllo nelle imprese private e pubbliche».

Secondo il report le donne risultano più esposte rispetto agli uomini. Come mai?

«La maggiore esposizione delle donne le donne è dovuta principalmente al fatto che rappresentano il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità Il livello di esposizione all’IA aumenta con il grado di istruzione, e questo potrebbe acuire il gender gap esistente. Il documento non fornisce una spiegazione dettagliata del perché le donne siano più esposte, ma suggerisce una correlazione con i livelli di istruzione e presumibilmente con le tipologie di professioni in cui le donne sono maggiormente rappresentate».

Maurizio Gardini presidente Confcooperative credit @franceschin

Rispetto agli altri Paesi com’è messa l’Italia nell’adozione dell’AI? Siamo indietro? Perché?

«L’Italia è in ritardo nell’adozione dell’IA. Solo l’8,2% delle imprese italiane ha utilizza l’IA nel 2024. Un dato è nettamente inferiore alla Germania (19,7%) e alla media UE (13,5%). Il divario è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifatturaSecondo il Government AI Readiness Index 2024, l’Italia si posiziona al 25° posto, dietro a 13 paesi europei. Un fattore determinante è l’investimento in ricerca e sviluppo: l’Italia investe l’1,33% del PIL, la media europea è del 2,33%, la Germania investe il 3,15%, la Francia il 2,18%. Per il biennio 2025-2026, il 19,5% delle imprese italiane prevede di investire in beni e servizi legati all’IA, con percentuali più alte nel settore informatico (55%) e più basse nella ristorazione (1,4%)».

Parliamo di un altro tema scottante di questi giorni: i dazi americani. Le cooperative sono impegnate in molteplici settori imprenditoriali dall’agroalimentare, alla pesca al credito. Tutti settori che possono essere coinvolti dalle tariffe. Cosa rischiano le nostre imprese e qual è l’impatto economico stimato sui singoli settori? Come difendersi?

«Potrebbero tradursi in una perdita di fatturato per il comparto agroalimentare di circa 1,5-2 miliardi di euro annui, considerando che gli USA rappresentano il terzo mercato di destinazione del nostro export con un valore di oltre 6 miliardi di euro. Le piccole e medie imprese agroalimentari sarebbero tra le più colpite, poiché hanno minore capacità di assorbire l’aumento dei costi o di diversificare rapidamente verso altri mercati. Si stima che circa il 30% potrebbe dover ridurre la produzione e l’occupazione, con particolare impatto sui distretti alimentari specializzati su formaggi e vini. I dazi sono sempre una sconfitta. Dazio chiama dazio. Il protezionismo è un danno per tutti».

Economia
5 Marzo 2025
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Per chiudere, qual è il ruolo delle cooperative nella crescita economica italiana ma anche europea? 

«Le cooperative rappresentano l’8% del Pil in Italia, danno lavoro a 1,3 milioni di persone, fatturano 160 miliardi di euro. La metà di questi numeri sono rappresentati dalle nostre 16.000 cooperative. In Europa, l’economia sociale è diventata un elemento cruciale per affrontare le sfide economiche e sociali. Con oltre 4 milioni di imprese che danno lavoro a 11,5 milioni di persone, questo settore sta mostrando come un approccio basato su cooperazione, solidarietà e innovazione possa essere un motore di crescita economica e inclusione sociale. Le cooperative ne sono parte integrante con 4,5 milioni di addetti. Aggiungo che in Italia le cooperative erogano servizi di welfare a 7 milioni di persone, oltre il 20% degli sportelli bancari, il 30% dei supermercati e producono il 25% dell’agroalimentare made in Italy. In più i nuovi filoni mutualistici sono rappresentati dalle cooperative di comunità che contrastano lo spopolamento delle aree interne o riqualificano un quartiere degradato di una città. I workers buy out, i lavoratori di un’impresa in default che la rilevano la trasformano in cooperativa e diventano imprenditori di se stessi. Le comunità energetiche per dare energia pulita e a costi contenuti a famiglie e imprese».

Quali le sfide da affrontare per garantire loro un futuro solido?

«Le cooperative nascono da una parte per rispondere ai bisogni di una comunità dall’altra alla necessità di dare reddito e occupazione. Bisogni che sono sempre rispondere a povertà e diseguaglianze. Siamo sommersi dalle povertà che non è solo quella economica, ma è anche sociale, culturale, energetica, abitativa, digitale. Tanto più le cooperative saranno capaci di dare risposte innovative ai nuovi bisogni tanto più riusciranno a declinare il ruolo che è affidato loro dall’art. 45 della Costituzione.

La vera sfida è questa, conclude Gardini: stare al passo con i tempi, dare risposte nuove a bisogni nuovi.

 

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